Esiste davvero la variante Deltacron? Al momento non ci sono prove certe

L’ibridazione tra le varianti Delta e Omicron non è dimostrata. La probabilità di un errore è elevata

Secondo il professore di scienze biologiche dell’Università di Cipro Leondios Kostrikis, esisterebbero già 24 casi di infezione dovuti alla variante ibrida Deltacron, che combinerebbe assieme le varianti Delta e Omicron del nuovo Coronavirus. I dati depositati nel database Gisaid, mostrerebbero una frequenza relativa maggiore nei pazienti ospedalizzati. «Vedremo in futuro se questo ceppo è più patologico o più contagioso o se prevarrà», ha affermato il Professore. Preso dalla fretta di annunciare l’esistenza di una nuova variante Covid ibrida, lo scienziato non ha atteso di verificare la presunta scoperta, che continua a ritenere accertata, nonostante lo scetticismo dei colleghi. Se da un lato non si può escludere del tutto la possibilità di ibridazione, dall’altro non si può ignorare nemmeno l’eventualità di trovarsi di fronte a un artefatto involontario. Ed effettivamente la probabilità che si tratti di un errore è molto alta. Kostrikis ha quindi l’onere della prova, che dovrebbe produrre con uno studio scientifico, non attraverso interviste.

Per chi ha fretta:

  • Non è impossibile che avvengano fenomeni di ricombinazione e co-infezione tra varianti diverse.
  • La co-infezione non implica necessariamente una ricombinazione, che in questo caso non è stata dimostrata.
  • I 24 casi di presunta variante Deltacron si spiegano più probabilmente con errori nel sequenziamento delle tracce genomiche.

Analisi

«Quanto vediamo può essere il prodotto di un semplice errore di laboratorio, dovuto a simultanea presenza dei due virus nel campione esaminato», spiega Enrico Bucci, microbiologo e professore presso la Temple University. «Hanno sbagliato i ricercatori a comunicare alle agenzie questi dati prima di verificare che corrispondano a qualcosa di reale», ha aggiunto in un intervento successivo.

Non si è fatto attendere nemmeno l’esperto di genomica comparata dell’Università di Trieste Marco Gerdol, che ha pubblicato su Facebook una spiegazione dettagliata del problema, esordendo con un lapidario «Deltacron non esiste». Oltre all’ipotesi dei dati contaminati infatti dovremmo escludere anche quella della co-infezione da parte di entrambe le varianti. I dati presentati al Gisaid sono stati raccolti in blocco, per tanto Kostrikis prima di preoccuparsi che Deltacron soppianti le altre, avrebbe dovuto attendere questo genere di accertamenti.

Co-infezione e ricombinazione

I fenomeni di ricombinazione non sono una novità quando si parla dei Coronavirus. La possibilità in sé non è campata per aria e ha giocato un ruolo importante nell’evoluzione dei Betacoronavirus e nell’emergere di SARS-CoV-2: dall’analisi del genoma abbiamo scoperto legami di parentela non solo coi Coronavirus dei pipistrelli, ma anche con quelli del pangolino.

I casi di co-infezione tra lignaggi differenti del virus non è una novità, per questa ragione sono già emersi casi documentati di ibridazione. Ma co-infezione non implica necessariamente la ricombinazione. Per tanto la possibilità di errori dovuti al fatto che si rilevano assieme le tracce di varianti diverse è sempre elevata.

In un lavoro recentemente pubblicato su Virus Evolution, gli autori hanno stimato che solo il 30% circa delle sequenze genomiche di SARS-CoV-2 potenzialmente ricombinanti depositate in GISAID avesse delle caratteristiche tali – continua Gerdol -, da poter supportare una effettiva origine tramite eventi ricombinativi. Sono dunque già avvenuti per SARS-CoV-2 nell’ospite umano, ma fino a questo momento hanno sempre generato varianti mai diventate particolarmente prevalenti.

Fretta di pubblicare

Abbiamo quindi un 30% di casi in cui avverrebbe una ricombinazione, senza dar luogo a varianti rilevanti. L’altro 70% sono sequenze potenzialmente ricombinanti, spiegabili prevalentemente come artefatti di sequenziamento. La combinazione si vedrebbe infatti nei campioni analizzati, ma non vi sarebbe riscontro nella realtà. Un precedente noto è quello della presunta variante ibrida Alfa-Epsilon, diffusa dai Media americani nel febbraio scorso e rivelatasi un abbaglio.

Le 24 sequenze genomiche virali di cui si parla tanto e depositate un paio di giorni fa proprio su GISAID con ogni probabilità si riferiscono proprio a questi casi – spiega Gerdol -, si tratta di sequenze mediamente di scarsa qualità, che occasionalmente mostrano alcune mutazioni caratteristiche di omicron sparpagliate nel mezzo di una sequenza nucleotidica facilmente identificabile come delta.

La fretta di pubblicare dei risultati aveva tratto in inganno la Stampa anche nel campo delle origini di SARS-CoV-2, quando l’Istituto Tumori di Milano annunciò la scoperta della presenza del virus in Italia fin dal settembre 2019, basandosi esclusivamente sulla reattività degli anticorpi trovati in campioni sierologici e senza una verifica molecolare; in quel caso i ricercatori ignorarono il fenomeno della cross-reattività, che permette agli anticorpi di risultare efficaci contro diversi tipi di patogeni.

Conclusioni

Se le sequenze a cui fa riferimento Kostrikis sono quelle 24 depositate su Gisaid, la probabilità che ci troviamo di fronte a delle contaminazioni sono piuttosto alte. La possibilità di una ricombinazione tra Delta e Omicron non è esclusa, anzi, ci aspettiamo che accada. È tuttavia ingenuo pensare che una ipotetica Deltacron ricombini esattamente le proprietà di Delta e Omicron, portando a una variante allo stesso tempo super-trasmissibile e virulenta, senza che vi siano già riscontri nel Mondo. I ricercatori ciprioti hanno annunciato l’esistenza di una variante ibrida, prima di eseguire i debiti controlli.

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