Von der Leyen e le perplessità dell’Ue sul governo italiano post-Draghi: «Se dovesse andare male abbiamo gli strumenti per recuperare»

La presidente della Commissione Ue: «Qualunque governo democratico sarà disposto a lavorare con noi, troverà nell’Ue la volontà di collaborare. Ma la democrazia è un costante lavoro in corso, non è mai al sicuro»

Chi è davvero Giorgia Meloni? Sarà la prima presidente del Consiglio italiana? E cosa farà realmente una volta al governo, qualora dovesse vincere le elezioni ed essere nominata premier? E soprattutto, le parole e gli impegni assunti in campagna elettorale, così come quelli degli alleati di coalizione del centrodestra, sono davvero affidabili e si potrebbero concretizzare in futuro? Sono domande che aleggiano in diverse cancellerie europee, e destano non poche preoccupazioni. Già, perché malgrado l’agenda gialla di Meloni sia diventata, almeno secondo alcune delle sue più recenti dichiarazioni, sempre più sovrapponibile a quella del presidente del Consiglio uscente Mario Draghi, c’è chi non si fida troppo dalla leader di Fratelli d’Italia. Ma l’appunto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen resta valido per qualunque esecutivo che nascerà dopo il voto del 25 settembre.


E durante un’intervento all’Università di Princeton negli Stati Uniti, la presidente della Commissione Europea, rispondendo a una domanda sui possibili scenari che si apriranno in Italia dopo il voto, ha replicato: «Ho già parlato dell’Ungheria e della Polonia. Se le cose dovessero andare in una direzione difficile abbiamo gli strumenti (per recuperare). Se invece dovessero andare nella direzione giusta, allora i governi responsabili possono sempre giocare un ruolo importante». Certo, non si è ancora votato e l’esito delle elezioni del 25 settembre è ancora tutto da vedere, equilibri di maggioranza inclusi. Ma di certo da Bruxelles, ma anche nel resto d’Europa e del mondo, si guarda all’Italia con curiosità, ma anche con alcune perplessità.


«La democrazia è un costante lavoro in corso, non è mai al sicuro: non puoi metterla in una scatola e basta»

«La democrazia è un costante lavoro in corso, non è mai al sicuro: non puoi metterla in una scatola e basta», ha osservato la presidente della Commissione Ue. «Vedremo l’esito del voto. Abbiamo avuto elezioni anche in Svezia (vinte dalla destra, ndr). Qualunque governo democratico sarà disposto a lavorare con noi, da parte nostra ci sarà la volontà di collaborare». Ma sostanzialmente quali sono i punti critici che preoccupano l’Ue? Innanzitutto il rispetto da parte dell’Italia degli obiettivi e del cronoprogramma del Pnrr, fino al 2026. Qualora questo non dovesse avvenire, l’Italia rischia di perdere i 150 miliardi di euro ancora da ricevere a cui si aggiungono i 70 miliardi di fondi di coesione destinati al nostro Paese.

L’esempio dell’Ungheria e della Polonia e il richiamo alla credibilità e trasparenza di Draghi

Il nuovo esecutivo – qualunque esso sia – deve portare avanti le riforme previste dal Recovery Plan, altrimenti verranno meno i fondi europei. Non a caso la presidente della Commissione Ue, rispondendo alla domanda sugli scenari post-voto in Italia, ha richiamato l’esempio dell’Ungheria di Viktor Orbán che ha ottimi rapporti con la leader di FdI. Lo scorso 18 settembre la Commissione Ue ha proposto il taglio dei fondi di coesione a Budapest a causa delle debolezze dello stato di diritto nel Paese, così come della scarsa trasparenza negli appalti pubblici, ma anche sulla mancata indipendenza della magistratura e sull’assenza di misure per lottare contro l’eccessiva corruzione.

Discorso leggermente diverso per Varsavia che recentemente ha ricevuto un richiamo da parte della Commissione a causa dei ritardi nel varo della riforma della Giustizia, essenziale per far arrivare in Polonia i fondi del Recovery che spettano al Paese. Ma attenzione. Prima di chiamarle «ingerenze esterne» è bene ricordare il monito lanciato dal presidente Draghi nella sua più recente conferenza stampa, richiamando tutti i partiti alla trasparenza e alla credibilità nazionale e internazionale. Resta pur sempre una questione di metodo per mantenere alta la bandiera italiana, in Europa e nel mondo. Ovviamente questo significa anche non sprecare le risorse europee, non minare la tenuta economica del Paese e non precludere i possibili investimenti esteri in Italia, ça va sans dire.

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