Perché lo studio israeliano sulla carica virale dei vaccinati non nega l’efficacia dei vaccini anti Covid-19

La ricerca condotta in Israele non dimostra che i vaccinati siano più contagiosi dei non vaccinati

Diverse condivisioni Facebook stanno promuovendo un articolo di Paolo Bellavite su ImolaOggi. Sia l’autore che il sito Web sono molto apprezzati negli ambienti No vax. Bellavite in particolare è un noto sostenitore dell’omeopatia. La narrazione distorce il senso di uno studio apparso su Nature Communicazions risalente al settembre scorso che analizza la carica virale dei vaccinati in Israele, osservando che l’effetto di riduzione della carica virale nei positivi alla variante Omicron diminuisce nel tempo. Così ImolaOggi titola «Pietra tombale sulle campagne pro-vax». Ma i ricercatori non mettono in discussione l’efficacia dei vaccini contro il nuovo Coronavirus rispetto all’immunità naturale.

Per chi ha fretta:

  • I vaccini sono stati approvati perché in caso di contagio riducono la probabilità di forme gravi di Covid-19.
  • Lo studio israeliano suggerisce un calo nel tempo della riduzione di carica virale nei vaccinati contro Omicron, ma non dimostra che generalmente i vaccinati contagino più dei non vaccinati.
  • Le considerazioni di Bellavite a seguito dello studio israeliano sull’utilità dei vaccini e il rischio di eventi avversi sono prive di fondamento.

Analisi

Riportiamo un esempio di condivisione della narrazione proposta, in questo caso senza riferimenti a ImolaOggi:

Pietra tombale sulle campagne pro-vax

Nelle campagne vaccinali, un aspetto importante da considerare è il loro impatto sulla trasmissibilità dei patogeni, che ha importanti implicazioni per le politiche di salute pubblica. Poiché la carica virale è un fattore importante dell’infettività, la soglia del ciclo rt-PCR (Ct), può essere utilizzata per studiare l’efficacia del vaccino sulla contagiosità. lo studio su prodotto Pfzdimostrante che la recente inoculazione riduce la carica virale per un paio di mesi ma il suo effetto svanisce rapidamente e poi si inverte (cioè gli inoculati hanno nel naso più virus dei non inoculati).

Ciò è dovuto alla combinazione del rapido declino dell’immunità vaccinale e dell’evasione virale (varianti). Gli individui guariti da COVID-19 sono invece meno contagiosi.

Gli autori sostengono che si dovrebbero ripensare le campagne vaccinali considerando le false rassicurazioni dovute alla breve durata all’immunità sterilizzante. L’immunità di breve durata suggerisce di concentrare la necessità di richiami solo per i gruppi ad alto rischio.

Solo due considerazioni:

1) c’è da chiedersi perché le grosse riviste “scientiste” si sveglino dopo due anni e comincino ora a pubblicare critiche ai sieri

2) bisogna notare che quando si parla del vantaggio per i gruppi ad “alto rischio” si dovrebbero mettere in conto gli effetti avversi degli inoculi, soprattutto se ripetuti.

Lo studio

Lo studio retrospettivo israeliano si basa sulle diagnosi dei test RT-PCR come surrogato per stimare l’infettività tra i vaccinati che hanno ricevuto fino a quattro dosi di vaccino. Vengono considerati anche gruppi di non vaccinati. Ma questo non significa verificare con certezza quanto i vaccinati contagino con Omicron rispetto ai non vaccinati, cosa che richiederebbe un ampio trial clinico, coinvolgendo un campione ben più ampio di persone.

Poiché la carica virale è un fattore importante che influenza l’infettività – spiegano i ricercatori -, il suo surrogato di laboratorio, la soglia del ciclo qRT-PCR (Ct), può essere utilizzato per studiare la componente correlata all’infettività dell’efficacia del vaccino.

I dati dei test molecolari raccolti tra i positivi al SARS-CoV-2 sono stati presi in quattro laboratori della Israeli Health Maintenance Organization e del Ministero della salute israeliano (MoH). L’arco temporale in cui è avvenuta la ricerca da dal 15 giugno 2021 al 29 gennaio 2022, considerando i periodi di dominanza delle varianti Delta e Omicron. Dai risultati ottenuti i ricercatori non mettono in discussione la ragione principale per cui i vaccini sono stati approvati, ovvero la capacità di proteggere contro le forme gravi di Covid-19; bensì suggeriscono che contro la variante Omicron vadano studiati richiami di vaccinazione più efficaci. Insomma, non dicono “meglio lasciare che la gente si immunizzi ammalandosi senza vaccino”.

Analizzando i risultati di oltre 460.000 individui – continuano gli autori -, dimostriamo che mentre la recente vaccinazione riduce la carica virale di Omicron, il suo effetto diminuisce rapidamente. Al contrario, è dimostrato un tasso di diminuzione significativamente più lento per le persone guarite da COVID-19. Pertanto, mentre il vaccino è efficace nel ridurre la morbilità e la mortalità, il suo effetto relativamente piccolo sulla trasmissibilità di Omicron (come misurato qui da Ct) e la sua rapida diminuzione richiedono una rivalutazione delle future campagne di richiamo.

Le considerazioni fuorvianti

Alla fine dell’articolo, che altrimenti non mostrerebbe niente di sconvolgente, Bellavite usa lo studio israeliano come base di partenza per avanzare le seguenti considerazioni:

1) c’è da chiedersi perché le grosse riviste “scientiste” si sveglino dopo due anni e comincino ora a pubblicare critiche ai “vaccini”;

2) bisogna notare che quando si parla del vantaggio per i gruppi ad “alto rischio” si dovrebbero mettere in conto gli effetti avversi degli inoculi, soprattutto se ripetuti.

Lo studio in oggetto, come abbiamo visto, non critica i vaccini. Nessuno mette in dubbio la loro utilità. I vaccini approvati in Occidente hanno dimostrato subito di soddisfare la più importante delle funzioni: ridurre le forme gravi di Covid-19. È il cosiddetto endpoint primario, verificato a seguito di tre fasi di sperimentazione clinica.

Se andiamo a vedere dove e quando sono emerse le varianti Covid (ricordiamo che lo studio israeliano confronta le cariche virali rispetto a Delta e Omicron) scopriamo che emergono tutte in popolazioni dove non si vaccinava o lo si faceva poco. Se confrontiamo le probabilità di contagiare, vediamo che chi non si vaccina mette a rischio anche i vaccinati. Al solito, non si può andare a caccia del primo studio che conferma i nostri pregiudizi, bisogna considerare tutta la letteratura, da diversi punti di riferimento.

Infine, Bellavite allude a ripetuti «effetti avversi degli inoculi» nei «gruppi a rischio», cosa che fa pensare a una maggiore probabilità di eventi avversi nella vaccinazione Covid rispetto ai benefici. Precisiamo – qualora ce ne fosse bisogno -, che nulla di tutto questo è stato dimostrato. Queste narrazioni spesso si basano sulle segnalazioni di agenzie come il Vaers americano o l’europea EudraVigilance, le quali si limitano a raccogliere le segnalazioni senza mai accertarle. Anche quando si è dovuto indagare sui rari casi di miocarditi o trombi correlati ai vaccini, si è sempre accertato non solo che i benefici superano di gran lunga i presunti rischi; ma è molto più pericoloso esporsi al contagio senza alcun vaccino.

Conclusioni

Vengono diffuse informazioni fuorvianti sui risultati preliminari di uno studio israeliano, il quale da solo non può dimostrare che i vaccinati contagino di più rispetto ai non vaccinati. Inoltre non viene criticata l’efficacia dei vaccini nel ridurre le probabilità di incorrere nelle forme gravi di Covid-19.

Per questo articolo abbiamo chiesto il parere di Aureliano Stingi (PhD in Cancer Biology) e Francesco Cacciante (biologo molecolare con dottorato alla Normale di Pisa e divulgatore nel canale YouTube Polemica in pillole) per le analisi sullo studio.

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