No! Planned Parenthood non traffica feti abortiti a pagamento per la produzione di vaccini

Non c’è bisogno di feti abortiti. Le linee cellulari usate in laboratorio vengono coltivate da decenni

Tornano in circolazione le condivisioni Facebook di post e contenuti nei confronti della organizzazione americana Planned Parenthood, accusata di essere al centro di un traffico di feti da usare nella produzione dei vaccini. Si tratta in realtà di un insieme di associazioni che aiutano le donne ad abortire, promuovendo anche l’educazione sessuale nelle scuole. Ne avevamo trattato qui e qui.

Per chi ha fretta:

  • Le accuse contro Planned Parenthood sono nate nel 2015 a seguito della pubblicazione di video manipolati da un’associazione chiamata ProVita.
  • Dopo indagini statali e nazionali, non sono state trovate prove a sostegno delle accuse.
  • I vaccini non vengono prodotti attraverso un business di feti abortiti, ma utilizzano linee cellulari ottenute da feti abortiti negli anni ’60 e coltivate in laboratorio per scopi scientifici.

Analisi

Nelle condivisioni in oggetto possiamo leggere la seguente narrazione:

FETI ABORTITI VENDUTI ILLEGALMENTE ALLA 24ESIMA SETTIMANA DI GESTAZIONE (6 MESI CIRCA).
Fegato, polmone, cervello che parte desideri di un (ormai) bambino abortito illegalmente al sesto mese circa? Il prezzo oscilla fra i 50 ed i 75 dollari ad ‘esemplare’.
Accade negli U.S.A. dove l’organizzazione ‘Planned Parenthood’, già finita nell’occhio del ciclone a più riprese, contratta ad un evento pubblico la vendita di feti abortiti alla 24esima settimana con un finto compratore che riprende tutto da telecamera nascosta.
Planned Parenthood dichiara di operare per il diritto di scelta e d’aborto ma in molti sostengono si tratti di una vera e propria copertura utilizzata per poter commercializzare feti abortiti di qualsiasi età gestazionale.
In questo documento la Dr.ssa Mary Gatter, esperta in queste transazioni illegali e già allontanata dalla Organizzazione per questo motivo, sta molto attenta ad indicare al compratore che dovrà essere lui od un suo tecnico di fiducia a ritirare la ‘merce’ illegale. La Gatter è famosa per aver, già nel 2015, chiesto una Lamborghini per favorire l’acquisto di feti illegali.

Le origini della narrazione

La narrativa negativa e diffamatoria nei confronti di Planned Parenthood ha origine nel 2015, quando un’organizzazione anti-abortista chiamata Center for Medical Progress (CMP) ha diffuso una serie di cinque video “compromettenti”. Questi contenuti multimediali hanno suscitato un forte interesse sia da parte dei media che della politica, poiché accusavano l’organizzazione americana di vendere tessuti fetali a scopo di lucro. Nonostante l’eco dello scandalo, diverse indagini condotte in vari Stati degli Stati Uniti non hanno trovato prove a sostegno di tali accuse.

In seguito allo scandalo, è stata avviata un’indagine affidata a un gruppo investigativo presso il Committee on Energy and Commerce della Camera degli Stati Uniti, che ha investito considerevoli somme di denaro pubblico. Tuttavia, non sono stati ottenuti risultati che avvalorassero le accuse rivolte a Planned Parenthood. Sul sito della House Committee on Oversight and Reform della Camera, a partire dal 2019, è stata dedicata un’intera sezione al caso, mettendo a confronto le accuse coi fatti e scagionando di fatto l’organizzazione non-profit americana.

Del resto sappiamo che da decenni non sono necessari i tessuti fetali. Esistono infatti linee cellulari riprodotte in laboratorio, acquistabili con un click come spiegato anche in un tweet da Salvo Di Grazia, medico e ginecologo noto con il soprannome di Medbunker:

Conclusioni

Le accuse contro l’organizzazione non-profit americana Planned Parenthood sono nate a seguito della pubblicazione di una serie di video nel 2015 da parte di un’associazione chiamata ProVita. Tuttavia, dopo approfondite indagini, si è scoperto che i video erano stati manipolati e gli autori avevano deliberatamente omesso dettagli per creare una narrativa denigratoria nei confronti di Planned Parenthood.

Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.

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