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Cosa succede dopo il ritiro delle truppe di Israele da Gaza Sud: l’attacco a Rafah, il fronte del Libano, l’escalation con l’Iran

Quattro scenari dopo la smobilitazione da Khan Younis. Il rapporto con gli Usa e l’escalation con l’Iran

Il ritiro delle truppe di Israele da Gaza Sud è stato effettuato perché «Hamas ha cessato di esistere come struttura militare nella città». Ma potrebbe aprire una terza fase della guerra del 7 ottobre. Che prevede un’operazione a Rafah. Mentre la tensione crescente con l’Iran potrebbe aver avuto un ruolo. Così come la strage dei cooperanti della World Central Kitchen. Ma se c’è chi ipotizza tra le motivazioni della smobilitazione da Khan Younis ci sono la necessità di un segnale distensivo nei confronti degli Usa e una pausa necessaria per i riservisti dell’esercito, c’è anche chi parla della volontà di «lasciare spazio» nella zona agli sfollati palestinesi «se e quando sarà condotta l’operazione a Rafah». Ma anche di far tornare i residenti alle loro case di Khan Yunis.


Sei mesi

A sei mesi dal massacro dei kibbutz nella mattina di ieri migliaia di sfollati palestinesi che vivevano nelle tende hanno cominciato a ritornare. Le truppe della 98esima divisione di Tel Aviv, ovvero 15 mila soldati nelle divisioni delle brigate Commando, Givati e la Settima, hanno lasciato l’area a sud di Wadi Gaza. Ora in tutta la città sono rimaste le unità della brigata Nahal, che controlla il corridoio Netzarim. Secondo l’intelligence israeliana 18 dei 24 battaglioni di Hamas sono stati distrutti. Ne rimangono 4 a Rafah e due nell’area speciale. «Quel che bisognava fare l’abbiamo fatto. Ma la guerra non è ancora terminata», ha detto il generale Herzi Halevi. «Abbiamo un piano e lo attueremo al momento giusto». L’esercito ha anche difeso l’incursione nell’ospedale di Al-Shifa.


Quattro scenari

Sono quattro gli scenari considerati più probabili dopo il ritiro. Una nuova fase della guerra con raid mirati nei confronti degli esponenti di Hamas e una massiccia operazione militare a Gaza è quella considerata più probabile. Insieme alla riorganizzazione delle truppe dopo mesi di operazioni all’interno della Striscia. Insieme, alcuni media israeliani parlano anche di un cessate il fuoco temporaneo per la festa di Eid-al-Fitr che chiude il Ramadan e comincia domani, 9 aprile. In ultimo, c’è l’escalation con Teheran. La tensione crescente con gli ayatollah potrebbe aver spinto a una riorganizzazione che potrebbe diventare un preludio. Ma che porterebbe anche a un’escalation incontrollabile nell’area. La Stampa spiega oggi che il timing del ritiro da Khan Yunis, in quasi contemporanea all’invio di Mossad e Shin Bet al Cairo per i colloqui per tregua e liberazione ostaggi, non ha in ogni caso portato a una distensione in Palestina.

Israele e Stati Uniti

Hamas chiede ancora il ritiro delle truppe con il cessate il fuoco permanente per la liberazione degli ostaggi. Mentre la mossa di Israele potrebbe costituire un’apertura ai mediatori egiziani e qatariani e al capo della Cia Jeff Burns. Ian Bremmer, presidente di Eurasia, dice oggi al Corriere della Sera che il ritiro corrisponde a esigenze di politica interna. Ed è un tentativo di ridurre la tensione con l’alleato americano. E potrebbe essere funzionale al loro dirottamento in Libano: «Gli attacchi missilistici degli hezbollah libanesi hanno costretto 70 mila israeliani a lasciare le loro case nelle zone di confine. È una situazione politicamente insostenibile per il governo che sta discutendo sul da farsi. Ma passare dagli attacchi contro specifiche unità e postazioni a un’offensiva a tutto campo è molto impegnativo sul piano militare e politicamente rischioso: sarebbe l’apertura di un altro fronte».

Il solco

Mentre secondo il politologo «Hamas può essere tentata di andare avanti col conflitto nella speranza di rendere più profondo il solco che si sta creando tra Usa e Israele. L’altro problema è logistico: messaggi dei capi politici di Hamas basati in Qatar impiegano una settimana per arrivare a Sinwar, il capo militare a Gaza. A volte arrivano quando la situazione sul campo è ormai cambiata». Intanto una fonte egiziana ha rivelato che si registrano «grandi progressi» nei negoziati. ci sarebbe «un accordo sui punti principali tra le varie parti». Le delegazioni di Israele, Hamas, Stati Uniti e Qatar lasceranno la capitale egiziana nelle prossime ore. Ma è previsto il loro ritorno tra due giorni «per concordare gli articoli dell’accordo finale».

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