Israele al bivio dopo l’attacco dall’Iran, l’Idf: «Non prevediamo altre operazioni». Ma il gabinetto di guerra di Netanyahu è diviso

La riunione di vertice a Tel Aviv non ha sciolto i dubbi: contrattaccare contro Teheran o accontentarsi del successo di difesa come chiedono gli Usa?

All’indomani dell’attacco con centinaia tra droni e missili da parte dell’Iran e delle altre milizie sciite della regione, Israele è al bivio: contrattaccare per non lasciare senza risposta l’assalto (pur sventato) senza precedenti o desistere, come premono gli Usa, il G7 e la comunità internazionale, accontentandosi dell’evidente successo militare dell’operazione notturna? La riunione di oggi, domenica 14 aprile, del gabinetto di guerra del Paese non sembra aver sciolto il dubbio. Secondo quanto riporta Reuters, in effetti, dalla riunione sarebbe emerso l’orientamento di prevedere una rappresaglia contro il regime di Teheran. Ma i componenti del gabinetto – in cui siedono tra gli altri il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e l’ex capo di Stato maggiore e leader dell’opposizione Benny Gantz – sono divisi sui tempi e sulle dimensioni di tale contrattacco. Nel corso della giornata le dichiarazioni da parte dei vertici di Israele sono state poche ed estremamente stringate. Gantz si è limitato a dire che lo Stato ebraico «costruirà una coalizione regionale contro la minaccia dell’Iran e farà pagare un prezzo all’Iran nel modo e nel momento che ci conviene», sottolineando come «l’alleanza strategica e il sistema di cooperazione regionale che abbiamo costruito devono essere rafforzati». Parole non troppo dissimili da quelle di Gallant, che ha sostenuto come ci sia ora per Israele «l’opportunità di formare un’alleanza strategica contro la minaccia iraniana». Nel silenzio, o quasi, della politica, una terza indicazione è arrivata invece dall’esercito: «Siamo pronti, stiamo monitorando tutti i teatri nella regione e valutiamo ogni scenario, ma al momento non intendiamo estendere le nostre operazioni militari. Il nostro ruolo è salvaguardare gli israeliani», ha detto in serata il portavoce dell’Idf Daniel Hagari in una dichiarazione che sembra “recepire” gli appelli pressanti della Casa Bianca e degli altri alleati.


La notte sotto attacco e il bivio strategico

Nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile si è consumata l’annunciata e attesa rappresaglia dell’Iran contro lo Stato ebraico. Quasi 400 tra droni e missili sono stati lanciati contro Israele in un attacco che è proseguito per cinque ore. La maggior parte delle munizioni è stata intercettata e abbattuta, anche prima che entrasse nello spazio aereo israeliano, sopra Iraq e Siria in testa, dai sistemi di difesa di Tel Aviv supportati da quelli degli alleati, soprattutto Stati Uniti e Regno Unito. Dal presidente Joe Biden sono arrivate dichiarazioni di sostegno al premier Netanyahu e al suo Paese, condannando «nei termini più duri» l’attacco «senza precedenti» dell’Iran e ribadendo il sostegno «incrollabile» a Israele. Ma qui le posizioni dei due alleati divergono. Il presidente americano, nel colloquio telefonico di circa mezz’ora con Netanyahu ha spiegato che, pur sostenendo gli sforzi difensivi di Israele non ha intenzione di seguirlo in nessuna operazione offensiva contro Teheran, come riferisce Axios. Per l’Iran, invece, la questione è chiusa: «Non abbiamo intenzione di continuare questa operazione».


I droni intercettati

È stato il portavoce dell’Idf, l’esercito israeliano, Daniel Hagari a stilare il bilancio della nottata di guerra. L’attacco dell’Iran per in risposta al raid del 1° aprile attribuito allo Stato ebraico sul consolato iraniano di Damasco è stato condotto con quasi 400 tra missili balistici, da crociera e droni, una pioggia di proiettili che aveva il compito di saturare le capacità di reazione della difesa aerea. Nell’offensiva, Teheran ha chiesto il coinvolgimento anche dei paesi dell’asse, ovvero Siria, Libano e Iraq, per bucare lo schermo protettivo intorno a Israele. Secondo alcune fonti militari, sono stati lanciati e abbattuti 185 droni kamikaze, 36 missili da crociera, 110 missili balistici (103 intercettati). Secondo Hagari, quasi tutte i colpi di artiglieria sono stati intercettati e distrutti, impedendo arrivassero a bersaglio. Danni minori sono stati registrati in una base militare nel Negev Secondo la Croce rossa israeliana, un bambino di 10 anni sarebbe stato ferito gravemente ad Arad, città del Sud di Israele ai bordi del deserto del Negev.

Il segnale di Teheran

L’operazione denominata “Promessa mantenuta” «è stata condotta con successo tra ieri sera e stamattina e ha raggiunto tutti i suoi obiettivi», ha dichiarato alla televisione il generale iraniano Mohammad Bagheri, il quale ha precisato che i due siti principalmente presi di mira sono stati «il centro di intelligence che ha fornito ai sionisti le informazioni necessarie» per l’attacco al consolato iraniano a Damasco del primo aprile, e «la base aerea di Novatim, da cui è decollato l’aereo F-35» che l’ha bombardata. Entrambi i centri sono stati «danneggiati e messi fuori uso», ha aggiunto. Per questo motivo «non abbiamo intenzione di continuare questa operazione, ma se il regime sionista agisce contro la Repubblica islamica dell’Iran, sia sul nostro suolo che nei centri di nostra proprietà in Siria o altrove – ha avvertito l’alto ufficiale – la nostra prossima operazione sarà molto più dura di questa». Il generale Bagheri ha anche affermato che le autorità iraniane hanno «inviato un messaggio agli Stati Uniti avvertendoli che se collaboreranno con Israele in qualsiasi azione futura, le loro basi non saranno al sicuro».

Attesa la decisione del gabinetto di guerra israeliano

Mentre ancora cadevano i colpi sullo Stato ebraico, intercettati per il 99 per cento dalla contraerea con il supporto degli alleati, i ministri israeliani hanno votato nel cuore della notte per delegare la decisione di rispondere all’attacco iraniano al gabinetto di guerra, composto dallo stesso Netanyahu, dal ministro della Difesa Yoav Gallant e da Benny Gantz, che si riunirà oggi alle 15.30 (14.30 ore italiane). L’ipotesi di una risposta preoccupa anche il più solido alleato di Tel Aviv, gli Stati Uniti. Secondo i media israeliani ci sarebbero «pressioni Usa» affinché Israele non decida un contrattacco nei confronti dell’Iran. «Una riposta israeliana non arriverà immediatamente», spiegano alcune fonti ai giornali locali. Il problema – aggiungono- è individuare una «risposta che non porti necessariamente a un’escalation». Nel frattempo, dalla Casa Bianca è trapelata la posizione che adotterà Biden: sostegno pieno a Israele ma nessun coinvolgimento militare nella temuta offensiva. Gli Stati Uniti non parteciperanno a nessuna operazione offensiva contro Teheran e non sosterranno una tale operazione, rivela Axios. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha poi confermato: «Non cerchiamo un conflitto con l’Iran ma non esiteremo ad agire per proteggere le nostre forze e sostenere la difesa di Israele». Washington considera «una vittoria» per Tel Aviv la notte appena conclusa, considerando che il massiccio attacco non ha avuto successo e non ha colpito alcun obiettivo sensibile.

Si muovono le diplomazie

Mentre Biden fa capire che non intende essere coinvolto in una operazione militare offensiva in Medio Oriente, cerca di attivare la via diplomatica per mostrare il fronte unito in sostegno di Israele. Intorno alle 22 di domenica 14 aprile si svolgerà una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come confermato dall’ambasciatrice di Malta che è al momento presidente di turno del Consiglio di sicurezza. Biden ha poi convocato una riunione con i leader del G7 per «coordinare una risposta diplomatica unitaria allo sfrontato attacco dell’Iran».

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