Bruxelles, dentro la conferenza della destra che vuole «riformare la Ue». Zemmour a Open: «Con Meloni pensiero politico comune» – Foto e video

Il politico francese è tra i protagonisti dell’evento diventato un caso politico continentale. Dove tutti lodano la premier e nessuno parla più di distruggere l’Europa: i nemici sono Islam politico e sinistra radicale

Da Bruxelles – La conferenza di destra diventata un caso politico in Belgio – la National Conservatism Conference organizzata dal think tank ultraconservatore Edmund Burke – è una stanza con pochi cartelloni, molte bevande analcoliche e una cinquantina di persone, prevalentemente uomini in giacca e cravatta. Il giorno dopo le proteste che l’hanno interrotta impedendo al politico francese Eric Zemmour di parlare, di manifestanti non ne è rimasto neanche uno, mentre diversi poliziotti continuano a sorvegliare l’entrata dell’hotel Claridge, 15 minuti a piedi dalle istituzione europee di Bruxelles.


ANSA/ Pietro Guastamacchia

Zemmour e l’Italia (che batte la Francia)

Il fondatore di Reconquete!, da poco entrato nel gruppo europeo Ecr di cui è presidente Giorgia Meloni, recupera oggi la partecipazione mancata, prendendosi la scena poco prima della pausa pranzo. Non cita le proteste, né il tentativo di cancellazione dell’evento da parte del sindaco nel suo discorso, pronunciato rigorosamente in francese ma volantinato in inglese. Preferisce piuttosto sfoderare i suoi cavalli di battaglia: dall’islamizzazione del continente europeo – «Guardate cosa succede a Londra, Parigi e Bruxelles» – fino ai pericoli della woke culture diventata la nuova «faccia della sinistra europea». Per la nuova “alleata” Giorgia Meloni però ci sono solo parole d’amore: «Abbiamo molti punti in comune – dice a Open – e lo stesso approccio su come dovrebbero essere le nostre nazioni adesso». L’Italia è secondo Zemmour un ottimo esempio di modello di immigrazione se paragonato alla Francia: «Non avete lo ius soli, non ci sono benefici sociali per gli stranieri, non avete il ricongiungimento familiare. Tutto ciò significa che i migranti vengono da noi in massa e quindi non restano a casa vostra».


L’assenza di Meloni

La presidente del Consiglio italiano è la grande assente della conferenza ma tutti la nominano. Accade sul palco dove Viktor Orban, la star della giornata, dice che Meloni può guidare i conservatori europei. E in platea, dove giovani uditori non le rimproverano neanche la presunta amicizia con Ursula von der Leyen. Paul Zakim, 34 anni, coordinatore del Forum for Democracy, un partito populista euroscettico olandese che definisce orgogliosamente di estrema destra, dice che non sa se «Meloni può essere definita di estrema destra, ma di sicuro sta facendo cose buone per l’Italia e del suo meglio per cambiare l’Europa». Il suo amico Alexander Castelejin, studente di legge di 19 anni, le preferisce Orban, che definisce il «primo a riformare l’Europa», ponendo sottovoce una questione che solo qualche anno fa era strillata su palchi e manifesti elettorali: «L’Europa si può davvero cambiare?».

Paul Zakim e Alexander Castelejin

Che fare con la Ue?

È l’unico a dirlo, perché se c’è un aspetto che emerge chiaramente dai proclami e dalle chiacchiere della sala conferenze del Claridge Hotel è che nessuno vuole più mandare all’aria l’Unione europea. Tutti usano gli stessi verbi: cambiare, rivoluzionare. Per i più timidi, riformare. A cominciare dal primo ministro ungherese: «Va cambiata la leadership Ue. La loro transizione verde è fallita, la loro politica agricola è fallita, hanno detto che avrebbero gestito la pressione migratoria ed è aumentata, hanno detto che le sanzioni avrebbero fermato la guerra, e la guerra va avanti. Per questo è chiaro che devono andarsene». Gli fa eco Nicola Procaccini, co-capogruppo dell’ECR, che alla conferenza rappresenta Meloni: «Ci battiamo strenuamente contro l’ideologia ambientalista che imperversa a Bruxelles e non solo. Un surrogato del comunismo di cui ha la stessa matrice materialista e lo stesso brodo di coltura: l’amore per l’ideologia da un lato, l’odio per le persone e la loro libertà dall’altro lato».

I nemici: Islam politico e sinistra radicale

Buoni e cattivi. Nella visione dei partecipanti non c’è alcun dubbio sulla zona morale dove si colloca chi protesta e chi sorseggia succo di frutta ascoltando discorsi sulla “grande sostituzione”. Padre Benedict Kiely, fondatore di Nasarean, un progetto per portare «la cristianità in Medio Oriente», dice che è sbagliato definirli «estrema destra»: piuttosto «portatori di valori conservatori vecchio stile», mentre i loro oppositori sono «fascisti che vogliono limitare la libertà di espressione». Anche l’opinionista francese Anne-Elisabeth Moutet parla a Open di una sinistra che «si ispira al totalitarismo». Eppure la giornalista, nipote di un veterano del Parlamento francese passato alla storia per le sue idee colonialiste e l’amicizia con Ho Chi Minh, è ottimista: «Prenda i woke. Alla fine è una moda che passerà».

Lo spettro della guerra in Medio Oriente

Rimane invece la grande preoccupazione per la guerra a Gaza, in particolare per le sorti degli ebrei. Sollecitato dal filosofo israeliano Yoram Hazony, Orban si mostra morbido verso Benjamin Netanyahu: «Un grande leader che conosce la differenza tra difendere la sovranità del suo popolo e scatenare un conflitto nella regione. La differenza dipenderà dalla sua saggezza». Se la politica del premier israeliano trova anche qui qualche tiepido critico, i partecipanti alla conferenza sono tutti d’accordo nel riconoscere nell’«Islam politico radicale» uno dei nemici più pericolosi per l’Occidente. Tesi confermata da Florence Bergeaud-Blackler, la controversa antropologa che denuncia da anni un progetto di infiltrazione globale dei Fratelli Musulmani in Europa. La studiosa francese, sotto scorta per aver ricevuto minacce di morte, è sicura che la minaccia islamica sia «fortemente sottovalutata». Nella lista dei nemici dell’Occidente, secondo i NatCon, dopo l’Islam politico c’è la sinistra radicale. Per qualcuno sono addirittura sullo stesso piano. Per esempio per il ministro israeliano della Diaspora, esponente dell’ala più reazionaria del governo Netanyahu. Il 42enne Amichai Chickli dedica il suo discorso a quello che definisce un nuovo antisemitismo: «L’attacco agli ebrei viene dall’Islam politico radicale e dalla cosiddetta sinistra progressiva. Questi movimenti sono uniti nel promuovere la soppressione di libertà», dice prima di correre a incontrare Nigel Farage, che nonostante la pausa politica continua a suscitare curiosità. Merito anche di qualche uscita controcorrente: come quando, mentre stringe le mani di quelli che vogliono «riformare l’Unione europea», dice che le proteste di ieri sono la dimostrazione che «Brexit è stata la scelta giusta».

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