Il «muro» tra Italia e Slovenia è legale? Tre domande e tre risposte sull’idea di Fedriga e Salvini

Il Governatore del Friuli, appoggiato dal ministro dell’Interno, pensa a una barriera anti-migranti. Si può fare? E quanti migranti passano da lì?

Era il 30 aprile 2004 quando in piazza della Transalpinia, a Gorizia, l’allora presidente della Commissione europea Romano Prodi chiamò a raccolta i cittadini per festeggiare la caduta del “muro”. La rete che divideva la città tra Gorizia, in Italia, e Nova Gorica, in Slovenia, era stata eliminata con l’ingresso di Lubiana nell’Unione Europea. Oggi, il governatore del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga rilancia la possibilità che quel muro tra i due Paesi possa tornare in piedi per «fermare l’ondata migratoria».


Sarà «un muro o altro», ha detto. 243 chilometri di barriere da costruire lungo le frontiere, con lo scopo «di impedire ai clandestini di entrare nel nostro territorio». Forse di cemento (e in tal caso le stime parlano di 2 miliardi di euro), forse una rete di ferro. Forse un “semplice” filo spinato.


Ma che la parola “muro” sia o meno una «licenza poetica» (Fedriga dixit), la chiusura dei confini nel Nord est italiano – aperti da Schengen nel 2007- risponde a una strategia ben precisa. Una strategia in linea con quella dell’Ungheria, della Croazia e della stessa Slovenia

«Non è tempo di fare filosofia», ha detto Fedriga. Secondo il governatore, la rotta balcanica dei migranti in fuga dal Medio Oriente ha portato «gente indesiderata» nei confini italiani: «Decine di criminali», forse «migliaia». Al momento, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è detto fermamente contrario all’idea, appoggiata invece dal vicepremier Matteo Salvini che ha già fatto partire i pattugliamenti misti. Ma intanto l’ipotesi di un check point italiano per la Balkan route c’è, e prende forma. 

ANSA | Il taglio dell’ultimo filo spinato di confine sul monte Sabotino, che separava l’Italia dalla Slovenia. 24 maggio 2004

Cos’è la rotta balcanica

Dallo scoppio della guerra in Siria nel 2011 fino alla crisi migratoria del 2015, il numero dei migranti in fuga a ovest dal Medio Oriente per la rotta balcanica è aumentato esponenzialmente. Ancora oggi, oltrepassando la Turchia, i migranti arrivano in Grecia e risalgono la Macedonia, il Kosovo, la Serbia, l’Ungheria fino alla Polonia. Si tratta di una delle soluzioni via terra più percorse  – e più pericolose – per arrivare nei Paesi europei come Germania, Francia, Danimarca e Paesi Bassi.

Consapevole dell’aumento dei migranti e richiedenti asilo in fuga dalla Siria, l’Europa ha tentato di esternalizzare i propri confini in Turchia nel 2016. Non potendo chiudere il passaggio dalla Grecia (membro dell’Unione e Paese firmatario di Schengen), l’Ue ha optato per un accordo sui respingimenti con Ankara mirato a frenare i flussi da est. Mossa che tutt’ora tiene bloccati migliaia di migranti sulle isole greche. 

Le migrazioni, comunque, sono continuate. Ma con la costruzione di muri interni, come quello voluto da Viktor Orbán e per il quale l’Ungheria ha rischiato le sanzioni dell’articolo 7 (la cosiddetta opzione nucleare), la rotta balcanica ha iniziato a virare verso ovest, evitando la Serbia, l’Ungheria e la Polonia, e preferendo l’Albania o il Montenegro, la Bosnia-Erzegovina, la Croazia e la Slovenia. In quest’ottica, anche l’Italia appare una deviazione sensata per raggiungere la Francia, l’Austria o la Germania. 

Dall’inizio del 2018 a fine giugno, l’ente dell’Onu Unhcr ha registrato 7600 arrivi in Bosnia, provenienti maggiormente da Pakistan (30%), Siria (17%), Afghanistan (12%), Iran (11%) e Iraq (10%).

ANSA | Infografica realizzata da Centimetri sulla nuova rotta balcanica dalla Turchia alla Germania

L’accordo di Schengen permette il muro?

Quello tra Italia e Slovenia non sarebbe il primo muro costruito in Europa. Oltre a quelli storici (come quello di Nicosia, a Cipro), ci sono quelli innalzati ad hoc per fermare la rotta balcanica dopo il 2015. Tra questi, il più famoso è quello tra Ungheria e Serbia voluto da Orbán, che già lavora per costruire quello al confine con la Croazia. Anche per la Croazia sarebbe il secondo, considerando quello a Nord voluto dalla Slovenia

Ma né Serbia né Croazia fanno parte dell’area Schengen, quello spazio istituito nel 1985 per eliminare i controlli alle frontiere interne degli Stati membri, e integrato nel quadro istituzionale e giuridico dell’Unione europea nel 1999. Tra i Paesi membri (in tutto 26), ci sono invece sia l’Italia che la Slovenia: tecnicamente, i due Stati sarebbero chiamati a promuovere la libera circolazione tra le frontiere interne, salvo situazioni straordinarie.
 
La libera circolazione sancita dall’accordo fa riferimento sia a «cittadini dell’Ue che a cittadini terzi». Le autorità competenti possono procedere a controlli solo caso per caso e sulla base di elementi concreti. Di contro, la sospensione degli accordi è possibile da un mese a un anno, in presenza di «minacce alla pubblica sicurezza». 

Public Tableau | “An Age of Walls”, di Filippo Mastroianni

Uno snodo importante è stato il caso di Ventimiglia, al confine nord Ovest dell’Italia con la Francia. Nel 2012, le autorità francesi chiesero all’Europa di ristabilire i controlli al confine con l’Italia, dopo che questa lasciò arrivare in Francia 25mila tunisini scappati dalla primavera araba. L’episodio ha creato un precedente ingombrante: nel 2015, per far fronte alla crisi migratoria, approfittarono della clausola anche Austria, Germania, Svezia, Norvegia e Danimarca. La stessa Francia chiese (e ottenne) di nuovo il permesso dopo gli attentati di Charlie Hebdo a Parigi. 

Posto che un controllo è già qualcosa di altro rispetto a un muro, la prima domanda da farsi è: siamo o non siamo in una situazione d’emergenza per la sicurezza nazionale? 

Quanti migranti arrivano in Friuli dalla rotta balcanica?

In questo pericoloso “gioco” di fughe, l’Italia è l’ultima parte dell’imbuto che conduce fino al Nord. Nell’ultimo anno, i migranti e i richiedenti asilo attivati a Trieste dall’est sono aumentati. Secondo un rapporto presentato da Ics e Caritas, le presenze mensili sarebbero attorno ai 1000/1200. Essendo presente nella città la prima Commissione territoriale per la valutazione delle richiesta d’asilo, i numeri della Regione gravano principalmente su Trieste, oltre che su Udine.

A Gorizia, invece, dove era in precedenza la Commissione, i numeri degli arrivi sembrano essere diminuiti. Stando a Mauro Ungaro dell’ Arcidiocesi cittadina, nelle strutture di accoglienza ci sono al momento circa 150 richiedenti asilo. Le soluzioni d’emergenza adibite negli anni precedenti sono cadute in disuso per mancanza di necessità. Secondo l’ultimo rapporto della Regione, pubblicato il 25 febbraio 2019, nelle strutture di accoglienza del Friuli sono ospitate in tutto 4mila persone (lo 0,33% della popolazione totale).

I migranti di Gorizia passano le giornate attorno al fiume Isonzo, in una specie di giungla di Calais italiana. Cristian Natoli, regista goriziano che ha raccontato la cortina di ferro nella sua città, sta lavorando a un documentario sulla vita nella “Jungle”. «Di giorno i dormitori sono chiusi, quindi loro passano le giornate sul fiume con 2 euro al giorno a disposizione», ha detto a Open. «Accendono i fuochi, ascoltano musica, pregano. Non era mai stato un problema parlarci in vista del documentario, ma ora nessuno vuole più esporsi: “Se parlo poi mi buttano fuori dall’Italia”, mi dicono».

ANSA | Migranti sulla rotta balcanica

E un altro muro a Gorizia sarebbe una soluzione? «Culturalmente sarebbe un arretramento incredibile. È impossibile rimettere una frontiera qui: dividerebbe a metà le case, taglierebbe in due addirittura il cimitero. È una situazione che si è chiusa nel 2003 e che non può essere riaperta».

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