Cosa rischia e quali reati avrebbe commesso il carabiniere che ha bendato l’indagato

Abuso di autorità, violenza privata e violazione della privacy. Ecco a cosa potrebbe andare incontro il militare che ha bendato uno dei due indagati: il fact chegking dell’Agi

La foto scattata a Gabriel Christian Natale Hjort, uno dei due ragazzi indagati per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ha aperto un nuovo capitolo sul caso della morte del militare.


Hjort appare bendato, con le mani legate dietro alla schiena. Un’immagine che ha portato all’immediato allontanamento dell’agente che ha bendato il ragazzo ma che ha diviso il governo.


Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, si è scagliato contro chi definisce il ragazzo americano una vittima, mentre il premier Giuseppe Conte ha invitato alla calma e al rispetto dei diritti sanciti dalla Costituzione: «Riservare quel trattamento a una persona privata della libertà non risponde ai nostri principi e valori giuridici, anzi configura gli estremi di un reato o, forse, di due reati». Ma a quali reati si riferisce il primo ministro?

L’azione degli agenti e la diffusione della foto potrebbero avere serie ripercussioni non solo sul caso, fornendo alla difesa degli strumenti per invalidare la confessione, ma aprire anche un nuovo scenario sulle responsabilità dell’Arma nei confronti dell’indiziato. Un’attenta analisi è stata fatta da AGI, che ha delineato quali reati sarebbero configurabili per l’atto del militare e soprattutto quali sono i principi sanciti dalla Costituzione in questa materia.

I principi costituzionali

L’articolo 13 della Costituzione stabilisce che «non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». E ancora, «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».

Bendare un indagato non è un modo previsto dalla legge – in base alla legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario e al dpr 431/1976 che la attua – e, anzi, potrebbe essere considerata una “violenza morale”, cioè una forzatura (fisica o non) della libertà di scelta di una persona.

I base all’articolo 27 della Costituzione, l’imputato – anche quando reo confesso – è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva. La confessione infatti potrebbe nascere ad esempio dal desiderio di proteggere qualcun altro, da uno stato confusionale o anche da una situazione di violenza psicologica. Seguendo questi principi costituzionali, anche il codice penale impone ai pubblici ufficiali di procedere rispettando la legge nei confronti di chi si trova privato della libertà.

Abuso, violenza e tortura?

Il reato che potrebbe riguardare il carabiniere che ha bendato Gabriel Christian Natale Hjorth è l’ abuso di autorità contro arrestati o detenuti. Questo reato, disciplinato dall’art. 608 del codice penale, avviene quando il pubblico ufficiale «sottopone a misure di rigore non consentite dalla legge» un arrestato o un detenuto. È punito con la reclusione fino a 30 mesi. Dato che bendare un indagato non è una misura consentita, in base alle norme sull’ordinamento penitenziario, sembra ipotizzabile il reato.

L’art. 610 c.p. punisce con la reclusione fino a 4 anni «chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa».

Un reato ancora più grave, ma che al momento sembra difficile possa essere ipotizzato, sarebbe quello di tortura. In base all’articolo 613 bis del codice penale «chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni». Se il colpevole è un pubblico ufficiale, la pena della reclusione passa a da cinque a dodici anni. Nel caso in questione, bisognerebbe che gli avvocati del ragazzo riuscissero a dimostrare un «verificabile trauma psichico» per essere stato bendato.

Le conseguenze sul processo

Il bendaggio dell’indagato rischia di avere delle conseguenze negative per le indagini. Il codice di procedura penale stabilisce (art. 188 c.p.p.) che «non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti». Bendare gli occhi potrebbe ricadere tra queste ipotesi.

In tal caso, in base all’art. 191 c.p.p., le prove acquisite in questo modo non potrebbero essere utilizzate e aver bendato l’indagato sarebbe uno strumento nelle mani della difesa e un autogol per le forze dell’ordine, con la conseguenza che l’interrogatorio venga dichiarato nullo. Oltre al reato legato ad aver bendato il ragazzo, un secondo illecito riguarda la diffusione della foto di Hjorth.

La diffusione della foto

Al di là delle possibili violazioni della privacy dell’indagato, la diffusione della foto potrebbe costituire un illecito sancito in base all’articolo 114 co. 6bis del codice di procedura penale. Questo articolo stabilisce che non si può pubblicare – tranne che con il consenso della persona interessata – «l’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica».

Nel caso in questione si vedono chiaramente le manette, e la coercizione in generale per l’essere bendato e con le mani legate dietro la schiena – scrive AGI – mentre non risulta che l’indagato vi abbia consentito.

Conclusione

Le accuse a cui va incontro il carabiniere che ha bendato il ragazzo sono quelle di abuso di autorità contro arrestato o detenuti, violenza privata e, forse, di tortura, come anche l’illecito legato alla diffusione della foto.

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