10 cose (e una fake news) che ci siamo dimenticati nel primo mese di coronavirus in Italia

Dal primo contagio alla prima nave ferma nelle acque italiane. Quello che è successo e che ci stiamo lasciando indietro nella prima pandemia di questo secolo

Sì. Appena qualche settimana fa esisteva un’era in cui il Coronavirus non esisteva. O meglio. Viveva ancora in quella bolla di informazioni che circonda tutto quello che per noi è “altro”. Esattamente come quelle guerre, quei terremoti e quelle carestie che per quanto drammatiche e reali non riusciamo mai a sentire nostre.


Ora invece l’epidemia di coronavirus è arrivata nel nostro presente. Per tutti. In modo tragico per chi ha perso qualcuno, in modo violento per chi lavora nei settori coinvolti in prima linea nell’emergenza e in modo sorprendente per tutti quelli che improvvisamente si sono trovati a casa, dalla scuola, dal lavoro, dai cinema, dalle palestre e dai bar.


Un mese fa, nella notte tra il 19 e il 20 febbraio, i medici di Codogno hanno capito che quel Mattia arrivato in prontosoccorso era il “paziente 1”, il primo ad aver contratto il virus in Italia. Molto di quello che è successo nell’epoca del coronavirus è già stato travolto dall’attualità. Ecco un promemoria per ricordare da dove siamo partiti.

1. Quando esisteva un misterioso “virus cinese” che aveva contagiato 62 persone

Gennaio 2020. Un focolaio di un virus non conosciuto si registra nella città di Wuhan: 62 contagi, anche se un team di scienziati dell’Imperial College di Londra guidato da Neil Ferguson parlava già di 1700 casi accertati. È stata la prima volta che su Open abbiamo parlato di coronavirus. Un parente della Sars, si diceva.

Due mesi fa l’Organizzazione mondiale della sanità non pensava nemmeno che il virus potesse trasmettersi da uomo a uomo. Anche lo stesso Ferguson, autore della contro analisi sui dati, spiegava: «Non c’è bisogno di essere allarmisti ma l’ipotesi dovrebbe essere presa in considerazione seriamente». Dei 62 casi di contagio, solo 2 erano le vittime accertate.

2. Quando i cinesi erano gli untori. I casi di razzismo in Italia

Mentre l’epidemia cresceva, Wuhan si chiudeva in quarantena e l’Oms prendeva coscienza del pericolo che poteva scatenare l’epidemia, in Italia cominciavano a registrarsi i primi episodi di razzismo verso chi fa parte della comunità cinese. Poco importava se fossero appena tornati da Wuhan o fossero ragazzi e ragazze di seconda generazione che magari la Cina l’avevano vista solo nelle vecchie foto dei loro genitori.

Uno dei primi casi registrati è stato il post pubblicato su Facebook da Niclo Scomparin, consigliere comunale a Casier, provincia di Treviso, in quota Fratelli d’Italia. Poche parole, cancellate appena la polemica è cominciata a montare: «Mancavano gli onti cinesi per impestarci». In dialetto trevigiano “onti” significa “unti”.

3. I balconi cinesi erano come quelli italiani

I flash mob dai balconi sono diventati un appuntamento consueto per gli italiani in quarantena. Una volta una canzone a scelta, un’altra l’inno di Mameli, un’altra ancora l’applauso per i medici, infermieri e tutti gli operatori sanitari. Anche qui i cinesi erano stati dei precursori: già il 27 gennaio circolava su Twitter un video in cui gridavano da un palazzo all’altro 武汉加油, letteralmente: «Forza Wuhan!»

4. I primi due contagi in Italia

Secondo l’ultimo bollettino della Protezione Civile il numero totale di casi di contagio in Italia è arrivato a 35.713. Solo nella giornata di ieri, 18 marzo, ci sono stati 2.648 nuovi casi di pazienti risultati positivi al Sars-CoV-2. La sera del 30 gennaio due turisti cinesi venivano portati via in ambulanza dall’hotel Palatino di Roma. Sono stati i primi due casi di contagio in Italia. Il giorno dopo l’ospedale romano Spallanzani ha diffuso il suo primo bollettino medico, un rituale quotidiano che fino a oggi ha scandito il racconto dell’epidemia in Italia.

Ansa/Angelo Carconi | I medici dell’Ospedale Spallanzani

5. La Costa Smeralda prima, la Diamond Princess dopo

Prima dell’epopea della Diamond Princess, la nave da crociera guidata dal comandante Giuseppe Arma è rimasta ferma per settimane nelle acque al largo delle coste del Giappone, un’altra epopea, più piccola, è stata vissuta da un’imbarcazione italiana. Il 30 gennaio la nave da crociera Costa Smerlada è rimasta ferma per un giorno a largo di Civitavecchia. Il motivo? A bordo c’erano due turisti cinesi che dovevano sottoporsi al test per il coronavirus. Il tampone è risultato negativo, senza quindi creare conseguenze per i 1.143 passeggeri a bordo.

6. Il dottor Li, il medico morto che per primo aveva avvisato dell’epidemia

Fra tutte le storie che ci lasceremo dietro di questa pandemia, quella che dovremmo continuare a raccontare è quella del dottor Li Wenliang, uno dei primi medici di Wuhan che diedero l’allarme. Li non venne ascoltato dalle autorità cinesi che per le prime settimane cercarono anzi di minimizzare la situazione, senza prendere provvedimenti per arginare l’epidemia, come ha ricostruito una lunga inchiesta pubblicata sul New York Times.

Il dottor Li Wenliang

La prima volta che Li aveva citato il virus era il 30 dicembre, quando nella chat di gruppo con i propri specializzandi aveva scritto un messaggio parlando di una misteriosa malattia che aveva colpito 7 pazienti ricoverati all’ospedale di Wuhan dove lavorava: «Sono stati messi in quarantena nel dipartimento d’emergenza scrive». Nelle settimane successive Li è stato infettato dal coronavirus e il 6 febbraio è morto a seguito delle conseguenze dell’infezione.

7. L’altra epidemia partita dall’Italia: il colera

In una pandemia del genere è inutile indicare chi ha portato il virus a chi. Ha piuttosto senso guardare dove il virus è arrivato prima e dove invece si è spostato dopo. Se il primo Paese in cui si è sviluppata la pandemia è stata la Cina, è innegabile che quello che per primo è stato investito dal coronavirus in Europa è stato l’Italia. Adesso infatti leggendo le cronache estere sembra di rivivere a settimane di distanza quello che noi consociamo bene: l’incertezza iniziale dei governi, le prime misure di contenimento e poi la serrata totale di scuole e negozi.

Ansa | Nel 1910 l’esecutivo era guidato da Giovanni Giolitti

Nel 1910 proprio dall’Italia partì una nuova ondata di epidemia di Colera che arrivò fino agli Stati Uniti. Un viaggio lungo, che passò anche da Francia, Libia e altri Stati Europei. Quella volta però le autorità italiane si comportarono esattamente come quelle cinesi di adesso: all’inizio nascosero i primi casi rilevati a Napoli dal dottor Henry Downes Geddings che, inascoltato, diede per primo l’allarme. In questo articolo abbiamo raccontato e ricordato la sua storia.

8. La prima vittima italiana

78 anni, di Vo’ Euganeo. Si chiamava Adriano Trevisan ed è morto la sera del 21 febbraio nell’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, dove era stato ricoverato insieme a una donna di 67 anni, anche lei positiva al coronavirus. Dopo di lui in Italia ci sono state altre 2.977 vittime e Vo’ Euganeo è diventato un caso fondamentale per gli epidemiologi per comprendere meglio il coronavirus: qui infatti sono stati fatti tamponi su tutta la popolazione sia all’inizio del contagio che dopo i primi giorni di quarantena.

9. Quando Sala, Zingaretti e Salvini volevano che Milano ripartisse subito

Era il 27 febbraio. Le scuole a Milano e in tutta la Lombardia erano state chiuse da pochi giorni, e con le scuole anche le università, i musei, i locali pubblici e le chiese. All’inizio la decisione sembrava quasi sovradimensionata rispetto all’entità dell’epidemia. Tanto che il refrain che si sentiva nella politica non era quello di chiudere tutto o di rimanere a casa, ma anzi dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, al leader della Lega Matteo Salvini fino al segretario del Pd Nicola Zingaretti la richiesta era sempre una: non fermarsi e riaprire il prima possibile.

YouTube| Lo spot per la ripartenza di Milano condiviso dal sindaco Giuseppe Sala

10. La fake news più ridicola sul coronavirus

Cisterne piene di coronavirus, profezie per guerre batteriologiche di Bill Gates e compagna, audio WhatsApp con abbondanti dosi di allarmismo. In questi giorni di fake news sul coronavirus ne sono circolate tante. La migliore? Quella secondo cui il rimedio per sconfiggere la più grande pandemia globale è molto semplice: basta bere acqua calda.

Open | Altra fake news: come capire se si è malati

Il parere degli esperti:

Leggi anche: