Dalla Spagnola al Coronavirus, la donna di 104 anni sopravvissuta a due pandemie: «A mia madre dissero che era un’untrice»

Nel 1918 nonna “Neta” perse il fratello appena nato, Michelino, che la “Spagnola” si portò in via pochissimo tempo. Ora la donna, classe 1916, rimane a casa, davanti alla finestra, sperando che anche questa pandemia passi presto

Non vede le amiche da settimane, rimane a casa tutto il giorno, accudita dalla nipote ma non si perde d’animo, non si lamenta, non è pessimista. Anzi. Sa bene che l’emergenza sanitaria del Coronavirus è una cosa seria e che il periodo che sta affrontando l’Italia è il più difficile degli ultimi anni. Lei è Anna “Neta” Novero, classe 1916, una donna che ha già affrontato la “Spagnola”, virus che colpì tutto il mondo tra il 1918 e il 1920 e che causò milioni di morti.


Durante l’influenza spagnola, Neta viveva a Torino, città in cui nell’ottobre del 1918 morivano 400 persone al giorno. Un virus che sterminò famiglie, che causò il decesso di bambini, di anime innocenti, e che portò all’allestimento di ospedali improvvisati. A raccontare la sua storia è Lodovico Poletto su La Stampa.


La morte del fratello

Lei, adesso, sta benissimo ma il suo pensiero non può che andare alla “Spagnola”, a quella malattia che privò lei e la sua famiglia del piccolo Michelino. Era appena nato e quell’influenza mortale, la pandemia più grave della storia dell’umanità, «se lo portò via in poco tempo».

L’accusa di essere un’untrice

Sua madre, però, provò a reagire e così decise di regalare i vestitini di Michelino, quel figlio tanto atteso e tanto amato, alla «vicina di casa che aveva un figlio piccolo». Un gesto di grande amore. Purtroppo, dopo poco tempo, anche il figlio della vicina di casa si ammalò e la madre di nonna “Neta” venne accusata di essere un’untrice: «Se la presero con lei che non c’entrava nulla, che aveva voluto essere gentile».

La ricerca di un colpevole a tutti i costi

E così è avvenuto nel nostro Paese dove, in un primo periodo, si sono registrati diversi episodi di razzismo nei confronti della comunità cinese (perché il virus proveniva dalla Cina): dalle bottiglie di vetro in testa agli insulti, come documentato da Open. Il motivo? In tempi di pandemia si cerca un colpevole, si dà il via a una caccia all’untore che in realtà genera solo più incertezza e paura. Ma nonna “Neta” ci tiene a precisare che anche stavolta «ce la faremo».

Foto in copertina: archivio Ansa

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