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Effetti collaterali. «Non c’è vaccino contro la deriva autoritaria. La democrazia si salva combattendo la povertà» – Intervista ad Alessandra Tarquini

Per la storica Alessandra Tarquini, docente presso l'Università La Sapienza di Roma ed esperta di fascismo, il parallelismo tra l'emergenza Covid e le condizioni che portarono i nazisti e i fascisti al potere non regge. Ciò non vuol dire però che il nostro sistema sia del tutto al sicuro

I parallelismi con altri periodi storici e in particolare con il fascismo corrono sempre il rischio di risultare anacronistici. Sia perché, come ricorda la storica esperta di fascismo e docente all’Università Sapienza di Roma, Alessandra Tarquini, la storia è «irreversibile», sia perché difficilmente possono ripresentarsi le medesime condizioni in un’epoca differente.

Pensiamo per esempio a quanto sia cambiata la medicina con l’invenzione della plastica a inizio Novecento o con lo sviluppo della penicillina a partire dagli anni ’30. Però, essendo un fenomeno dalla portata storica, l’epidemia di Coronavirus, si presta naturalmente a confronti con il passato. Lo dimostra per esempio lo studio fatto da un economista della Banca centrale americana sullo legame tra epidemia spagnola e nazismo in Germania.

Massimo Cacciari, in una intervista a Open ha negato che ci sia una correlazione fra il nazismo e la Spagnola, mentre Enrico Letta, sempre intervistato da Open, ha detto di vedere più somiglianze – in quanto ad emergenza economica che diventa anche emergenza sociale e politica – con la crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2008.

Anche Tarquini respinge un parallelismo con quanto accaduto in Italia e in Germania a partire dagli anni ’20 del Novecento. Ma, come si evince dalle sue risposte, la domanda da porsi non è tanto se la storia possa ripetersi, ma quali siano le paure dalle quali ci dobbiamo “vaccinare” e i diritti e i valori sui quali dobbiamo vigilare. A partire dal nostro “welfare state”.

Lei rifiuta il parallelismo tra la crisi che viviamo oggi e la crisi della democrazia che portò al ventennio fascista. Perché?  

«Le democrazie liberali sono per loro natura fragili. Niente ci può realmente vaccinare da tentativi autoritari e totalitari e da chi vuole sovvertire le regole democratiche, ecco perché dobbiamo sempre vigilare sulla democrazia, che è un bene prezioso. Però quando i fascisti sospesero alcune libertà fondamentali degli italiani, lo fecero con un fine politico chiaro: dare vita a un regime a partito unico. Invece in questo caso abbiamo sospeso alcune libertà fondamentali – come la libertà di circolazione e di assembramento – in nome della tutela della salute, in nome dell’Articolo 32 della Costituzione e non perché dovevamo raggiungere un fine politico. Tra l’altro ricordo che la sospensione delle libertà fondamentali è prevista da quasi tutti gli ordinamenti democratici»

Secondo lei è corretto ipotizzare un collegamento tra l’ascesa del nazismo in Germania e del fascismo in Italia alla mortalità dovuta all’epidemia di influenza spagnola e in generale alle preoccupazioni per lo stato di salute dei cittadini?

«È difficile fare un confronto tra malattie diverse in epoche così diverse. Possiamo certamente dire che la spagnola ha provocato milioni di morti, ma il nazismo è andato al potere nel ’33 e il fascismo nel ’22, quindi parecchi anni dopo. Poi peraltro avveniva in un contesto in cui le condizioni di igiene andavano migliorando. È la Prima guerra mondiale e lo sconvolgimento che determina in Europa e nel mondo la causa principale dei regimi totalitari»

Parliamo delle difficoltà economiche che ne scaturirono o di un cambiamento culturale? 

«La Prima guerra mondiale trasformò radicalmente la percezione delle vita e della politica, quello che George L. Mosse chiamava “la brutalizzazione della vita politica”. Al ritorno dal fronte molti si immaginavano che la vita politica avrebbe continuato con lo scontro tra nemici nato nelle trincee e che la Guerra avrebbe provocato uno stravolgimento delle coscienze. In Italia infatti i fascisti prendono il potere pensando di essere gli unici veri rappresentanti della nazione, quelli che hanno combattuto nelle trincee, ed accusano i socialisti di essere dei traditori perché sono neutralisti»

Odi, inimicizie e rivalità che si nutrivano anche di paure legate alla degenerazione biologica e razziale?

«Il tema della degenerazione era assolutamente presente nella cultura europea di fine ottocento. Il razzismo nasce come dibattito fra gli intellettuali molto prima dei regimi totalitari, nasce con la modernità ed è presente già nel ‘700. Viene facile ricordare l’esempio di Arthur de Gobineau, uno dei principali sostenitori della distinzione in razze e del pericolo che la contaminazione porti alla degenerazione. Il razzismo italiano che si concretizza nel 1938 è tutto politico e ha l’obiettivo di creare un nuova razza di italiani, che dimostri la sua superiorità in tutto il mondo. Il razzismo dei tedeschi è diverso, ha una matrice biologica rispetto a quello degli italiani. Quello che conta non sono le idee, ma sono le scelte individuali e collettive»

Possiamo dire però che entrambi i regimi totalitari puntarono molto sulla tutela della salute dei loro cittadini come forma di governo? 

«Questo è un punto fondamentale, perché i fascisti hanno l’ossessione della salute e prima ancora del corpo. L’educazione fisica è una delle priorità nell’educazione fascista, soprattutto per quanto riguarda i bambini. L’obiettivo è creare un nuovo fascista: sano, maschio, virile e guerriero. L’educazione fisica va insieme alla cultura dello sport, che ha anche altre due funzioni: mima la guerra, insegna ai bambini ad essere competitivi e a stare gli uni con gli altri. Qui subentra anche l’importanza dell’organizzazione, del collettivo. Lo stesso ragionamento vale per i nazisti»

In entrambi casi ci furono esempi in cui l’igiene pubblica e la salute vennero usate come pretesto per rafforzare ulteriormente il potere dello stato a discapito delle libertà individuali. Oggi non avviene la stessa cosa? Che differenze ci sono?  

«No, evitiamo di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Non è che ogni volta che si tutela un bene collettivo ci si comporta come fascisti. La differenza è che noi non facciamo saltare il pluralismo, la libertà di pensiero e di espressione, la dialettica parlamentare. Il parlamento italiano in questa fase è stato leso nelle sue prerogative? Io direi di no, il che non significa che non si possa criticare l’operato della nostra classe dirigente, ma è un altro discorso»

Ma un governo democratico invece di decidere se i cittadini possono lavorare e chi possono vedere, non dovrebbe limitarsi a stabilire in che modo possono farlo?

«Mi sembra che la domanda abbia più a che fare con lo stile comunicativo che con il contenuto. Essere democratici non vuole dire essere “deboli”. Pensiamo a cosa dice Winston Churchill: quando ha di fronte i nazisti parla di “lacrime e sangue”. Di fronte ad una pandemia credo che il governo faccia bene ad essere prescrittivo. Se andiamo a vedere come si sono comportati governi e classi dirigenti dall’orientamento politico più diverso – da Donald Trump a Boris Johnson e Emmanuel Macron – ognuno ha commesso degli errori molto seri. Questo ci dà la misura del fatto che più grande è l’impreparazione, maggiore è la possibilità di errore»

Crede che la paura del contagio possa portare a nuove forme di emarginazione e discriminazione?

«Il Covid ha fatto emergere problemi che avevamo prima. Ma se vogliamo ragionare sul fatto che è probabile che tutto questo si abbatta in modo diverso sulle già presenti differenze sociali ed economiche, non c’è dubbio. Basti pensare a quello che è successo negli Stati Uniti o in India. Mai come in questo momento siamo confortati dall’essere europei e di vivere dove c’è il welfare state e l’assicurazione sanitaria. L’appello alla responsabilità è dovuto anche a questo: il lockdown è iniziato per tutelare i nostri ospedali pubblici»

Si tratta della peggiore crisi del “welfare state” dal dopoguerra ad oggi?

«Direi di sì, e in ogni caso la risposta europea non solo c’è stata, ma è stata molto più rapida ed efficace di come è avvenuto in passato. Anche nell’ottica del “welfare state” e di un’Europa che condivide alcuni principi di base. Sicuramente ne usciamo molto provati, ma forse da questa crisi potremmo immaginare un mondo diverso. E mi sembra che in questo mondo diverso alcune cose non verranno meno, come il sostegno dell’Europa»

Conte è stato accusato di aver assunto i “pieni poteri”, Salvini era arrivato a chiederli direttamente agli italiani ad agosto. L’uso frequente di questa frase segna semplicemente un peggioramento nella qualità del dibattito pubblico o segnala un pericolo di altro genere?

«Gli storici del Novecento sono abituatissimi a sentire ricorrere questo paragone incessante tra il fascismo e vari momenti della storia d’Italia. Non è certo questa la prima volta che si fanno analogie simili tra il passato e il presente, richiamando il “pericolo del fascismo”. Un grande storico antifascista, Marc Bloch, diceva che la storia è irreversibile. Dunque non credo che il tema sia se possa tornare il fascismo o se ci sia qualcuno che ha i pieni poteri o dovrebbe averli. Abbiamo altri problemi più urgenti. Poi, come dicevo all’inizio, la democrazia è sempre fragile e dobbiamo sempre difenderla. Ma non tanto dall’arrivo dei fascisti in camicia nera, quanto dai pericoli di oggi: la xenofobia, il razzismo, la povertà, la difficoltà di estendere a molte persone i diritti di cui noi usufruiamo, il fatto che ci domandiamo se questo welfare state ce lo possiamo permettere e se è possibile che tutti paghino le tasse e abbiano in cambio dei servizi adeguati. Sono queste le domande di oggi e non riguardano né i comunisti, né i fascisti»

Foto di copertina: YouTube

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