In Evidenza ENISiriaUSA
ATTUALITÀCaporalatoCoronavirusDecreti sicurezzaGoverno Conte IIImmigrazioneLavoro e impresaLavoro neroSicurezza sul lavoro

Messa in regola dei lavoratori stranieri, parlano i braccianti: «Non è abbastanza, ma è qualcosa. I decreti Sicurezza ci hanno tolto tutto»

Sei mesi di messa in regola «non sono sufficienti», ma questa norma fornisce delle armi in più ai braccianti contro aziende e caporali

Mentre il Consiglio dei Ministri è riunito per quella che diventerà in serata l’approvazione definitiva del dl Rilancio, Raffaele Falcone della Flai Cgil sta distribuendo mascherine nei campi di Rignano, in Puglia. Sono giorni difficili: la raccolta dell’asparago si intreccia con la semina dei pomodori e i braccianti agricoli faticano più del solito ad arrivare a fine giornata. Nonostante l’emergenza Coronavirus, infatti, il lavoro è andato avanti con gli stessi ritmi di prima.

Tra loro c’è Bamoussa, un ragazzo di 33 anni originario del Gambia che anni fa è venuto in Italia per lavoro. La sua compagna ha partorito un bambino quando lui era già nel nostro Paese e sono 6 anni che non vede suo figlio. Prima aveva il permesso di soggiorno, ma non aveva abbastanza soldi per tornare indietro; ora, che qualcosa è riuscito a mettere da parte, non ha più i documenti. Da quando i decreti sicurezza di Matteo Salvini (approvati durante il governo Conte I, insieme agli allora alleati di governo del Movimento 5 Stelle) sono entrati in vigore abolendo la protezione umanitaria, Bamoussa non ha più i documenti. Ogni spostamento gli è impossibile.

«Sei mesi possono sembrare pochi, e sicuramente non sono abbastanza», dice Falcone. «Ma per molte persone sono sufficienti per cambiare gli equilibri della loro vita». Dopo l’approvazione dei Decreti Sicurezza, i ghetti si sono riempiti di persone diventate tutto d’un tratto irregolari. Una massa enorme di lavoratori si è trovata da un momento all’altro a non avere più i requisiti per essere in regola. «C’è stata una catastrofe», dice Falcone. «Io parlo con le persone ogni giorno. Vorrebbero un contratto di lavoro, un permesso. Anche solo per tornarsene a casa».

6 mesi sono pochi, ma sono un’arma in più

Falcone da anni lavora nel foggiano, provincia cruciale per i contratti agricoli. Proprio in questi giorni si stanno discutendo le nuove condizioni: le associazioni dei datori di lavoro stanno chiedendo un abbassamento salariale notevole, usando i problemi con la grande distribuzione per pretendere di pagare meno i lavoratori.

L’approvazione della norma è cruciale perché dà un’arma in più in mano ai lavoratori, che in questo periodo possono avanzare più pretese anche a fronte di una diminuzione della manodopera. «Prima della pandemia, i caporali e le aziende potevano minacciare di non assumere vista l’enorme richiesta di lavoro», spiega Falcone. «Ora, con bulgari e romeni bloccati nei Paesi di provenienza, queste persone hanno dalla loro un’arma in più per far valere i propri diritti».

Per chi viene sfruttato da caporali e aziende agricole, avere la legge dalla propria parte – anche se per poco – fa un’enorme differenza. Con l’approvazione del provvedimento, oltretutto, Falcone spera che ci sarà un aumento dei controlli da parte degli ispettori. «Se ti trovano con decine di lavoratori in regola le multe sono salate», spiega. «Questo potrebbe essere un altro incentivo per fare contratti di lavoro a queste persone».

Cosa prevede la norma

Nell’ottica della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, che si è intestata la battaglia dell’emersione degli “invisibili“, la messa in regola dei lavoratori stranieri nei settori ora riscoperti essenziali (come agricoltura e caregiving) deriva da una necessità sanitaria e di mercato. Nel decreto appena approvato ci sono due vie per la messa in regola: da una lato i datori di lavoro possono presentare – pagando un contributo forfettario di 400 euro – un’istanza per regolarizzare lavoratori italiani o stranieri finora tenuti in nero. A patto che, però, gli stranieri siano stati fotosegnalati in Italia prima dell’8 marzo 2020 e non abbiano lasciato il territorio nazionale per tutto il periodo del lockdown.

Poi c’è la questione dei lavoratori non italiani con il permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019. In questo caso, pagando 160 euro (non una cifra da niente, ndr), otterranno un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi attraverso una domanda presentata al questore dal 1 giugno al 15 luglio. Se nei sei mesi di permesso temporaneo lo straniero esibisce un contratto di lavoro subordinato, il permesso verrà convertito in permesso per motivi di lavoro.

«Nei campi mancano i diritti, non le braccia», aveva scritto Aboubakar Soumahoro, ex bracciante e da anni sindacalista per i diritti dei lavoratori agricoli. Quello di Soumahoro, quello di Falcone e dei lavoratori agricoli è un punto di partenza opposto da quello offerto da Bellanova – che, spiegando la sua proposta, aveva detto che non si tratta di «fare un piacere a queste persone» ma di «risolvere un problema di manodopera» derivato dall’emergenza Coronavirus. In ogni caso, a prescindere dalle intenzioni politiche, può essere un’occasione per costruire qualcosa di più grande.

Foto copertina: Ansa, Rapporto Oxfam | In Italia 430 mila lavoratori agricoli irregolari

Leggi anche:

Articoli di ATTUALITÀ più letti