Perché l’etichetta di Twitter rischia di rafforzare la strategia di Trump

Per la prima volta il social network ha segnalato un tweet del presidente contenente informazioni false. Il presidente ha risposto annunciando un ordine esecutivo per regolamentare le piattaforme digitali

A giugno dello scorso anno Twitter ha annunciato sul suo blog la decisione di segnalare con un’etichetta i tweet di leader politici che «incitano all’odio» e «inquinano il dibattito politico». Da allora la misura ha riguardato, tra gli altri, il presidente brasiliano Bolsonaro, l’ex sindaco di New York Giuliani e il presidente venezuelano Maduro.


A distanza di un anno dall’annuncio, Donald Trump, il presidente più prolifico della storia di Twitter – 29 tweet al giorno secondo il New York Timesha ricevuto il suo primo avviso. Un’etichetta blu, preceduta da un punto esclamativo, e l’invito per i lettori a informarsi meglio (con rimando alla Cnn) è comparso sotto un tweet del presidente che definiva “fraudolento” il voto via posta e attaccava il governatore democratico della California Gavin Newsom per l’invio di schede a milioni di cittadini. 


A nulla sono servite le numerose fake news diffuse dal presidente o le richieste autorevoli di sospensione del suo account. Persino l’audizione al Congresso dell’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey sulla campagna elettorale 2016 non aveva convinto il social network a prendere provvedimenti. Ci voleva il voto via posta. Perché? Twitter l’ha spiegata così: quel tweet rischiava di «fornire informazioni confuse sul sistema di voto americano ed è stato etichettato per dare contesto e informazioni aggiuntive». 

Non c’è dubbio che gli ultimi mesi siano stati particolarmente prolifici per il presidente: ha utilizzato la piattaforma prima per sminuire il Coronavirus e fomentare le proteste contro il lockdown, poi per incentivare l’utilizzo della idrossiclorochina per proteggersi dal Coronavirus, e, infine, per dare visibilità a teorie cospirative sulla morte di Lori Klausutis, avvenuta nel 2001.

La vicenda della morte di Lori Klausutis

All’epoca la donna era assistente dell’ex deputato repubblicano Joe Scarborough, oggi influente conduttore televisivo e tra i bersagli preferiti dal presidente. Dopo numerosi tweet presidenziali che lasciavano intuire un coinvolgimento di Scarborough nella morte della giovane donna, l’ex marito di Klausutis ha scritto una lettera a Twitter per chiedere di rimuovere i tweet contenenti «l’orribile bugia».

Dorsey  – che si è detto molto addolorato per la vicenda – ha ribadito di non poter fare nulla perché il contenuto del tweet non violava le regole dell’azienda. Un’argomentazione che – insieme alla salvaguardia della libertà d’espressione – ha costituito in questi anni la debole difesa di un’azienda diventata troppo influente nella formazione dell’opinione pubblica per continuare a nascondersi dietro il principio della neutralità del web. 

La trasformazione di Twitter

«La questione della moderazione dei contenuti – dice a Open Frank Pasquale, autore del libro cult The Black Box Society è molto complicata. Le piattaforme, quando agiscono in buona fede, devono bilanciare il diritto alla libera espressione con gli standard della comunità che riguardano la privacy, la non-discriminazione, la dignità e il rispetto della verità». Un equilibrio che negli anni si è fatto sempre più complicato e che ha trasformato Twitter – il social network nato come l’anti-Facebook e diventato uno strumento di democrazia durante le Primavere Arabe – nel megafono senza filtri di un presidente incline alla bugia (18 mila dall’inizio del mandato secondo il Washington Post).  

«Una piattaforma gestita secondo principi morali – continua Pasquale, docente di legge alla University of Maryland – non dovrebbe mai rendersi complice del palese tentativo di fomentare scetticismo su una questione fondamentale come l’accesso al voto».

Il nodo dell’affluenza elettorale

Gli Stati Uniti sono tra i Paesi occidentali con il numero più basso di elettori attivi: alle elezioni del 2016 l’affluenza è stata del 55,7%.  Il voto via posta, uno strumento tutto sommato semplice per incrementare la partecipazione, è da sempre un motivo di scontro politico: i democratici vogliono ampliarlo per consentire alle minoranze – di area progressista – di votare. I repubblicani, all’opposto, temono di essere svantaggiati e si oppongono.  

«Su una questione del genere un fact checking tenero sui tweet del presidente è il minimo – conclude Pasquale-. Bisognerebbe fare di più per fermare questi attacchi organizzati alla democrazia». La risposta del presidente sembra confermare i timori dello studioso: ha reagito in pieno stile Trump, contrattaccando a gran voce «le piattaforme social che vogliono silenziare il pensiero conservatore» e annunciando un ordine esecutivo per avviare la regolamentazione. Brad Parscale, il manager della campagna elettorale, nonché l’unico in grado di influenzare il presidente sui temi digitali, ha aggiunto in una nota: «Abbiamo sempre saputo che la Silicon Valley avrebbe fatto di tutto per bloccare e interferire con il suo messaggio verso gli elettori. Ci sono diverse ragioni per cui abbiamo deciso di togliere la pubblicità da Twitter mesi fa e il loro chiaro pregiudizio politico è uno di questi» .

Anche in questo caso si tratta di un’informazione inesatta: è stato Twitter a vietare nell’ottobre 2019 tutti gli spot politici a pagamento sulla sua piattaforma. Ma, ancora una volta, il confine tra vero e falso è spostato a piacimento, e di sicuro non basterà un’etichetta per rimetterlo a posto. 

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