Briatore e gli altri, cosa rischia il datore di lavoro quando gli impiegati risultano positivi al Covid-19

Negli ultimi giorni sono stati rilevati diversi focolai all’interno dei locali della movida. Cerchiamo di capire quando sussiste la responsabilità del datore di lavoro e le possibili conseguenze

Sono 58 i casi di positività alla Covid-19 accertati tra i dipendenti del Billionaire di Porto Cervo di proprietà di Briatore. L’esito dei tamponi effettuati dall’Ats ha confermato la presenza di un focolaio nel noto locale della Costa Smeralda. In aggiunta, la notizia della positività al virus di Briatore ha sollevato notevoli discussioni nell’opinione pubblica, soprattutto per le dichiarazioni rilasciate da Briatore a seguito della chiusura delle discoteche disposta dal Governo e per l’ordinanza del sindaco di Arzachena. In un’intervista al quotidiano La Stampa, l’imprenditore si è difeso, affermando di aver «rispettato le regole. Ma le persone stavano tutte appiccicate». Al di là del dibattito che ne è scaturito, è opportuno richiamare l’attenzione sulle responsabilità che i proprietari o gestori di attività produttive hanno nei confronti dei propri lavoratori e clienti.


La responsabilità civile e penale del datore di lavoro

Sul punto è bene evidenziare come l’inosservanza delle norme per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro possa determinare una responsabilità del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, sia civile (inerente l’eventuale azione di regresso Inail per il danno differenziale ovvero un’azione di risarcimento del danno da parte del dipendente) sia penale (ad esempio per reati quali omicidio o lesioni colpose). La responsabilità non è propriamente oggettiva e non opera automaticamente, ma il datore di lavoro può esserne chiamato a rispondere solo nei casi di violazione dei propri doveri in tema di sicurezza sul lavoro. A tal proposito il DPCM del 7 agosto 2020 ha ribadito all’art. 2 che «sull’intero territorio nazionale tutte le  attività  produttive industriali e commerciali, fatto salvo quanto previsto  dall’art.  1, rispettano i contenuti del protocollo condiviso  di  regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione  del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro  sottoscritto  il  24  aprile 2020 fra il Governo e  le  parti  sociali  di  cui  all’allegato 12». 


Il quadro normativo e il rispetto del protocollo sanitario

Le norme di legge che regolano gli obblighi in materia di sicurezza dei datori di lavoro – l’articolo 2087 del codice civile – e il Testo Unico del 2008 richiedono al datore di lavoro di applicare tutte le misure di sicurezza possibili: nel caso specifico, il “protocollo sanitario” allegato al DPCM del 26 aprile scorso. Con tale provvedimento, il Governo ha fissato una regola chiara alle imprese: è obbligatorio applicare il “protocollo” concordato con le parti sociali il 24 aprile scorso oppure, in alternativa, bisogna adottare un documento personalizzato per la singola azienda (e ispirato al testo nazionale).

Le principali indicazioni contenute nel protocollo tra Governo, sindacati e imprese firmato il 14 marzo e integrato il 24 aprile 2020 cui fa riferimento l’allegato 12 del DPCM 7 agosto 2020 sono: 

  • informazione e formazione dei lavoratori;
  • regole specifiche per l’accesso alla sede di lavoro;
  • regole di igiene all’interno dell’azienda;
  • regole per l’utilizzo degli spazi comuni e spostamenti all’interno dell’azienda;
  • gestione e protocolli per gli eventuali casi sintomatici  in azienda;
  • compiti del medico competente e del responsabile dei lavoratori per la sicurezza.

Il datore di lavoro dovrebbe quindi dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere la propria responsabilità. Data la difficoltà per le aziende, in questa situazione di emergenza sanitaria, di garantire un ambiente di lavoro a rischio zero, la responsabilità datoriale è quindi configurabile soltanto in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze tecniche e, che – con riferimento all’emergenza epidemiologica – si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali ex art. 1, co. 14 del D. L. 33/2020: in primis, quindi, il Protocollo 24 aprile 2020, che ha assunto valenza normativa per effetto dei richiami effettuati dai DPCM adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.

Gli assembramenti e la valutazione del rischio di contagio

In questo quadro normativo così complesso, è difficile stabilire l’effettiva responsabilità del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Garantire il rispetto delle misure di prevenzione e di sicurezza all’interno delle discoteche è un dovere in capo al datore di lavoro/gestori, ma in questi luoghi non si può ipotizzare il rispetto delle regole base come il distanziamento sociale, l’utilizzo delle mascherine da parte di tutti, la misurazione della temperatura, etc.. In questo caso, il rischio di contagio è molto elevato e la valutazione del rischio da parte del del datore di lavoro per l’adozione delle misure di sicurezza all’interno dei locali avrebbe dovuto essere molto più stringente rispetto a qualsiasi altra attività produttiva: l’assembramento in discoteca è un fatto implicito ed era quindi necessario trovare una modalità idonea per evitarlo, come ad esempio l’accesso contingentato dei clienti ovvero la riduzione della capienza massima, l’impossibilità di consumare bevande al bancone e l’accesso al servizio solo con servizio al tavolo.

Immagine copertina di Matty Adame on Unsplash

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