Amazon, negli Usa oltre 19 mila dipendenti positivi alla Covid. In Italia? «Azienda impenetrabile come la Nasa»

Anche in Italia, dal Piemonte al Lazio, aumentano i casi di contagio nei centri Amazon, anche se in misura ridotta. Ma, come negli Stati Uniti i lavoratori non sanno in quale reparti e in quali turni lavoravano i loro colleghi risultati positivi

Negli Stati Uniti i lavoratori di Amazon sono riusciti ad ottenere un risultato in apparenza molto banale ma nei fatti per nulla scontato: sono riusciti a sapere quanti di loro si sono ammalati a causa del Coronavirus dall’inizio della pandemia. Il dato diffuso della società di Jeff Bezos è impressionante, anche se si tratta dell’1,44% dell’intera forza lavoro: parliamo di 19.816 casi confermati o sospetti su un totale di 1,37 milioni di dipendenti. Insomma ci sono più persone positive alla Covid negli stabilimenti Amazon che in tutta la Grecia. E parliamo soltanto degli Stati Uniti. Infatti in Italia non è dato a sapere quanti dipendenti Amazon abbiano contratto il virus dall’inizio della pandemia, né tantomeno quanti sono attualmente positivi. Secondo un sindacalista dell’Usb, Riadh Zagdane, «l’azienda è impentrabile, come la Nasa».


Perché Amazon non fornisce i dati?

Alcuni casi negli stabilmenti italiani erano stati registrati nei primi mesi dell’epidemia, a marzo. Per esempio, nello stabilimento di Torazza in Piemonte dove alcuni reparti erano stati chiusi anche se «non erano stati avvertiti i dipendenti», come sottolinea Alfonsina D’Onofrio della Cgil. I lavoratori Amazon avevano anche indetto un breve sciopero ad aprile, proprio per lamentare la mancanza di informazioni. La compagnia si rifiutava di dire quali reparti e quali turni erano coinvolti, gettando il personale in uno stato di panico. Lo sciopero non è servito a far chiarezza sul numero totale di positivi o la loro posizione: ad oggi l’azienda si ostina a non fornire questi dati. Però, come spiega Simona Cavaglia della Filt Cgil, ogni volta che si presenta un caso di positività in uno degli stabilimenti, viene avvertito il Comitato di sicurezza. Tuttavia, è stato difficile concordare dei protocolli che andassero bene ad entrambe le parti perché, fondamentalmente, manca la fiducia.


«Volevano introdurre dei sistemi di controllo dei lavoratori per la distanza di sicurezza – visto che di assembramenti ce ne sono – che ci sono parsi poco rispettosi della dignità dei lavoratori e per questo non abbiamo consentito un accordo in tal senso», racconta Cavaglia. «Siamo passati da aprile, in cui sembrava che il problema non ci fosse e addirittura non c’erano né le mascherine né un comitato di sicurezza, alla necessità del lavoratore di difendersi dalla possibilità che Amazon utilizzi la Covid per controllare le prestazioni lavorative». Negli Stati Uniti i lavoratori lamentano la stessa mancanza di trasparenza. Impossibile sapere in quali reparti o in quale turni vengono trovati casi positivi, proprio come in Piemonte, e quindi diventa impossibile per i lavoratori agire di conseguenza e valutare se è troppo rischioso venire a lavoro. Anche i dati che sono stati forniti giovedì sono parziali: dal totale mancano i «driver» che lavorano in subappalto e trasportano le merci tra i magazzini o effettuano le consegne alle casa dei clienti.

Le vendite aumentano, i positivi pure

Nonostante questo, il lavoro non è rallentato di una virgola, anzi. In Italia – dove Amazon è presenta dal 2010 – durante l’emergenza Coronavirus l’e-commerce è esploso. Il numero di italiani che hanno fatto acquisti online è quasi raddoppiato – dal 40% al 75%. Solo per Amazon le stime per quest’anno parlando di una crescita del 26% nelle vendite, per un totale di 22,7 miliardi di euro. Nonostante questo, il trattamento economico dei lavoratori non è cambiato. Non c’è stato nessun aumento nei compensi, nonostante una mole di lavoro crescente. Durante l’emergenza invernale non sono neppure state fatte nuove assunzioni. «Non potendo inserire nuovo personale, perché doveva essere formato in presenza, Amazon ha rinnovato i contratti di coloro che erano già lì», spiega D’Onofrio della Cgil.

Anche se le condizioni di lavoro sono migliorate da allora, continuano ad essere registrati nuovi casi di Coronavirus. Nella scorsa di settimana l’impianto di Torrazza in Piemonte ne ha registrato almeno uno. Fino a venerdì, nel centro Gls di Riano i casi erano quattro su un totale di circa 100 dipendenti. «Abbiamo chiesto all’azienda di fare i tamponi a tutti e di attivare le procedure di sicurezza. Attualmente ci sono circa 15 persone in quarantena», racconta Zagdane dell’Usb. «Il famoso protocollo di sicurezza firmato dai sindacati insieme al governo a fine marzo non è esaustivo, anzi, è un trabochetto. Deve essere un obbligo dell’azienda controllare e informare in modo trasparente».

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