Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Maga: «Ora l’unica strada possibile sono le chiusure locali»

di Giada Giorgi

«Il peggioramento ora è costante e non esponenziale», spiega lo scienziato. E sul nuovo possibile Dpcm dice: «Le misure dovevano essere prese giorni fa, le proiezioni dei tecnici parlavano chiaro»

Quasi 300 vittime e la soglia dei 30 mila nuovi casi superata da due giorni. Il bollettino delle ultime 24 ore sull’epidemia di Covid-19 in Italia incalza il governo a decidere, in queste ore, sulla possibilità di un nuovo Dpcm. Misure più rigide in arrivo dunque che già da lunedì 2 novembre potrebbero entrare a far parte di una nuova azione anti virus. Intanto a leggere i numeri di oggi è il virologo Giovanni Maga che, su Open, invita a considerare uno dei dati in generale più importanti per la corretta lettura della curva epidemica.


«È la prima volta in due settimane che vediamo una percentuale costante nel rapporto tra tamponi positivi e tamponi effettuati. Oggi è del 24% proprio come ieri, un valore che dieci giorni fa era al 14%. Possiamo dire che la curva è in costante peggioramento e che non si rileva il carattere esponenziale riconosciuto nei giorni scorsi».


Come dobbiamo interpretare questo carattere costante del peggioramento? È, in qualche modo, un miglioramento?

«La linea costante è sicuramente migliore di quella esponenziale ma questo non vuol dire che la situazione non sia preoccupante. Soprattutto in relazione alla capacità assistenziale delle nostre strutture. In questo momento ci troviamo alla soglia di una crisi della capacità di accoglienza e cura dei pazienti negli ospedali, il punto decisivo sta nel non procedere in avanti».

A questo proposito il possibile nuovo Dpcm prefigura scenari restrittivi ancora più forti. La didattica a distanza per tutti i gradi della scuola dell’obbligo una delle misure ipotizzate. Soluzione ad oggi coerente?

«Dal punto di vista del dato epidemiologico, direi di no. Così come i teatri, i cinema, le piscine non sono mai stati luoghi di focolai rilevanti, neanche la scuola finora ha rappresentato un pericolo centrale nella diffusione del virus. Basti ricordare che ad oggi l’ambiente scolastico rende conto del –4% dei focolai totali. Rischiosa può essere la dinamica che sta intorno la didattica in presenza, ma quello che è certo dai dati è che i ragazzi non si infettano in classe ma fuori.

A questo aspetto si associa anche una mancata messa in condizione delle scuole stesse per affrontare di nuovo una didattica non in presenza, nel periodo in cui il virus ci ha dato tregua. Molti istituti sono ancora nella condizione di non poter garantire strumentazione adeguata a tutti gli studenti. Così come le famiglie. Una fragilità sociale a cui non si è rimediato in precedenza. Rischiamo di introdurre un ulteriore elemento di sofferenza sociale forse addirittura con un costo superiore al beneficio».

E i lockdown territoriali?

«Ad oggi appare fondamentale agire in maniera mirata e localizzata, dunque direi che al momento è una strada necessaria. E direi non solo ad oggi. Si potevano già immaginare misure del genere dai numeri disponibili nell’ultima settimana. Le proiezioni scientifiche non prospettavano nulla di diverso da quello che sta accadendo e ci sono stati tutti gli strumenti per poter capire in maniera anticipata dove si stesse andando.

Ora se la decisione sarà quella di un nuovo Dpcm, i possibili effetti delle vecchie misure, che non abbiamo avuto il tempo di verificare dovendo aspettare almeno un’altra decina di giorni, si sovrapporranno a quelli delle nuove regole. Una strategia piuttosto confusionaria. Detto ciò ora la possibilità di mappare il rischio regione per regione diventa centrale.

Un’azione più granulare diventa inevitabile per far sì che ulteriori misure possano comprimere in maniera definitiva le libertà sociali di tutto il Paese. Questo per cercare di accoppiare il mantenimento di un’infezione con quello di un regime di vita e di economia sociale accettabile».

I numeri stanno schiacciando non solo le capacità di gestione da parte del sistema assistenziale ma anche le forze di gran parte della popolazione, in questi giorni riversata nelle piazze di protesta. Come vive la comunità scientifica tutto questo?

«Credo sia necessario fare un mea culpa. Il disagio sociale esploso nelle piazze in questi giorni sta anche nella difficoltà di comprendere la logica che sta dietro a certe decisioni. Questa comprensione è sotto responsabilità del governo e della comunità scientifica in primis, che in questo periodo non ha spiegato in maniera chiara e trasparente la situazione. Basti pensare che la mascherina viene vista ancora come una limitazione e non come un vero e proprio vaccino».

Continua a leggere su Open

Leggi anche: