Usa 2020, Murphy, Pompeo, McConnell: tutti gli uomini di Trump che minacciano la presidenza Biden

Il partito dell’elefantino non molla il presidente e difende la sue battaglie legali per contestare l’esito delle elezioni, ritardando ulteriormente la transizione presidenziale di Joe Biden

Uno dei nomi più chiacchierati negli Stati Uniti in questo momento è quello di Emily W. Murphy. Repubblicana di 45 anni, è a lei che, in quanto a capo del General Administration Services, spetta avviare ufficialmente il processo di transizione presidenziale attraverso il quale il presidente eletto – Joe Biden – si prepara a occupare la Casa Bianca. Ma a tre giorni da quando i media hanno assegnato a Biden la vittoria, Murphy – che è stata nominata alla sua carica dal presidente Donald Trump nel 2017 – non si è ancora espressa. Non si tratta soltanto di un fatto simbolico. Senza il suo “sì”, la squadra di Biden – che attualmente conta circa 150 persone – non può traslocare negli uffici federali, non può incontrare formalmente la propria controparte e neppure cominciare il processo di vaglio dei vari candidati che entreranno a fare parte del gabinetto. Inoltre, non può neppure accedere ai circa 6.3 milioni di dollari di fondi federali destinati proprio alla transizione. Un bel guaio, insomma.


Chi sta con Trump

Ma il silenzio di Murphy ha anche un’altra valenza, perché è soltanto una tra i vari esponenti repubblicani che in un modo o in un altro stanno avallando la scelta di Trump di contestare l’esito delle elezioni. Alcuni sono membri dell’amministrazione, proprio come lei. È il caso del segretario di Stato, Mike Pompeo, che in un’intervista ha detto che sì, ci sarà una transizione pacifica e ordinata, ma verso una seconda amministrazione Trump. Anche il ministro della Giustizia William Barr non ha da ridire sulle battaglie legali di Trump (che riguardano tutti gli Stati che Biden è riuscito a strappare al presidente – il Wisconsin, il Michigan e la Pennyslvania – o dove è attualmente in testa, visto che il conteggio va ancora avanti in Georgia e in Arizona). Il presidente non molla, come era prevedibile, e alterna tweet in cui accusa i democratici di brogli e dichiara di aver vinto con retweet di repubblicani che appoggiano la sua linea, come il diplomatico Richard Grennell e il deputato Jody Hice.


Tra questi troviamo anche due senatori repubblicani, David Perdue e Kelly Loeffler, che hanno invitato il segretario dello stato della Georgia – anche lui repubblicano – a dimettersi. Nel frattempo il numero uno del partito, il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, nel suo primo discorso al Congresso dopo le elezioni non ha dato il minimo segno di voler riconoscere la vittoria di Biden. «Il presidente Trump ha il diritto al 100% di esaminare le accuse di irregolarità e valutare le sue opzioni legali – ha dichiarato McConnell -. Non prendiamo lezioni su come il presidente dovrebbe accettare immediatamente e allegramente i risultati preliminari delle elezioni dagli stessi personaggi che hanno appena trascorso quattro anni a rifiutarsi di accettare la validità delle ultime elezioni».

Rispondendo alle domande dei giornalisti – dopo aver tenuto una conferenza stampa per difendere la riforma sanitaria di Obama, l’Affordable Care Act, che Trump e i repubblicani vorrebbero smantellare – Biden ha detto di non aver ancora avuto modo di parlare con il suo vecchio amico «Mitch» ma di essere certo che presto più repubblicani cominceranno a cooperare con lui. «Abbiamo già iniziato la transizione, il fatto che non abbiano riconosciuto la nostra vittoria non incide affatto sulla nostra preparazione», ha dichiarato Biden. Intanto è trapelata la notizia che la sua squadra starebbe prendendo in considerazione di far causa alla General Administration Services presieduta da Murphy. Alla domanda di una giornalista che ha chiesto al presidente eletto se aveva un messaggio per Trump, Biden ha risposto: «Signor Presidente, non vedo l’ora di parlare con lei».

Immagine di copertina: Elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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