Recovery Fund, il “Sì” della Lega spiegato dal capodelegazione in Europa: «Draghi non è Monti» – L’intervista

«Abbiamo percepito che si lavorerà in maniera differente dal Conte due», spiega a Open Marco Campomenosi, leader dei deputati leghisti al Parlamento Europeo

Il voto favorevole era già nell’aria. Dopo l’apertura dei giorni scorsi di Matteo Salvini al governo Draghi, il secondo giro di consultazioni con il premier incaricato ha confermato la volontà del Carroccio di non opporsi all’approvazione del regolamento sul Recovery Fund al Parlamento europeo. La votazione è avvenuta a Bruxelles in serata ma il risultato finale verrà annunciato solo la mattina del 10 febbraio. In precedenza la Lega si era astenuta, ma «le circostanze sono cambiate», commenta a Open Marco Campomenosi, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo.


Che cosa è cambiato?


«Abbiamo avuto non una ma due interlocuzioni con il premier incaricato che ci ha rassicurato sul futuro. Siamo stati contenti che a dispetto di una comunicazione che sul Recovery è stata sempre molto politica, finalmente siamo arrivati alla concretezza».

Perché parla di una comunicazione politica?

«Durante le elezioni regionali, per esempio, gli sfidanti sostenevano che se avesse vinto Susanna Ceccardi in Toscana non sarebbero arrivati i soldi del Recovery. Poi, anche il governo aveva dato al piano di aiuti un’idea vuota, non c’era sostanza. Addirittura le Regioni stesse non erano state coinvolte, e altre proposte non sono state prese in considerazione».

Quindi ora vi impegnerete nel Recovery?

«C’è un lavoro da rifare da capo, i tempi sono brevi. Siamo contenti che oggi siano state chiarite le condizionalità e le modalità della governance economica del Recovery. Da Draghi abbiamo percepito che si lavorerà in maniera differente dal Conte due. Sul Recovery in realtà non abbiamo mai detto di no, ci siamo sempre solo astenuti. E oggi che si è arrivati al voto finale abbiamo deciso di votare “si”».

Ci sono però delle frizioni dentro alla coalizione europea di cui la Lega è leader. Secondo il capo delegazione dell’Afd, vostro principale alleato, «Draghi è un brutto scherzo».

«Jörg Meuthen non ha detto niente di diverso da quello che pensano molti dei partiti tedeschi. C’è questa idea che l’Italia non sia un contributore netto dell’Ue, ma questo non è vero. La dialettica che c’è nel gruppo di Identità e Democrazia, c’è anche negli altri gruppi politici. Noi però siamo liberi di votare sempre nell’interesse dell’Italia, mentre in altri gruppi questo non è possibile. Ci sono logiche di coalizione e appartenenza che certo spesso prevalgono».

Anche da parte vostra non sono mancate critiche in passato a Mario Draghi. Cosa è cambiato?

«Innanzitutto, Draghi ha presentato soluzioni alternative a quelle di Mario Monti che sbagliò sui temi della pressione fiscale, e nei mancati aiuti alle imprese, aveva penalizzato la crescita. In questi giorni abbiamo visto dei segnali di attenzione rispetto a temi che per noi sono importanti. Sarebbe stato sciocco non metterci in gioco. Qualsiasi partito che deciderà di partecipare a questo progetto dovrà rinunciare a qualcosa, ma secondo me non c’è incoerenza. Ci siamo tutti resi conto che l’austerità è un problema, e in questo momento serve un governo italiano forte, che difenda gli interessi degli italiani, in Italia e Bruxelles».

Quindi ora vi sentite più europeisti?

«Rispetto all’Europa, possiamo dire che Conte sia sempre stato assente dai tavoli importanti di Bruxelles. Non c’è mai stata una Italia veramente presente. E poi non ci appassionano le etichette: possiamo essere patrioti, sovranisti o europeisti, ma se essere europeisti significa lasciare che Bruxelles decida per noi è ovvio che non lo sarei, se significa invece portare l’interesse dell’Italia anche in Europa allora lo siamo tutti».

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