Scoperto nuovo spray nasale contro le varianti Covid? Attenzione alle semplificazioni eccessive

Spieghiamo lo studio di Science sul rimedio contro SARS-CoV-2 che si spruzza nel naso

«Covid, spray nasale anti-contagio “funziona anche su varianti”», titolano le Agenzie di stampa. Ma è bene precisare che dentro i virgolettati attribuiti agli autori, il termine «varianti» non compare mai. Matteo Porotto e Anne Moscona della Columbia University hanno testato uno spray nasale sui furetti con risultati promettenti, tanto che il loro lavoro è stato pubblicato su Science. Se si riuscisse a sviluppare prodotti del genere per proteggerci dal nuovo Coronavirus, sarebbe un risultato molto importante, non di meno, siamo ben lontani da questo traguardo.

Il preparato a base di lipopeptidi bloccherebbe la trasmissione del SARS-CoV-2 nei furetti. Gli autori auspicano che possa essere d’aiuto a «persone che non possono essere vaccinate o che non sviluppano immunità», con una protezione di circa 24 ore.

«Anche in uno scenario ideale con ampi segmenti di popolazione vaccinata – precisano gli autori – questi antivirali rappresenteranno un’importante arma complementare per proteggere le persone e controllare la trasmissione», concludono gli autori.

Resta il fatto che «funziona anche su varianti» sembrerebbe una attribuzione dei media. Non ci resta che recuperare il paper in questione, visto che – come al solito – difficilmente vengono linkati, nonostante gli studi siano la fonte primaria in notizie come queste.

Per chi ha fretta:

  • La nostra analisi non è una critica agli autori, né allo studio in questione. Ci riferiamo esclusivamente al modo in cui alcuni media riportano il lavoro;
  • Attenzione alle semplificazioni dei media. Il termine «studio» è troppo generico, fa pensare sempre a ricerche con esperimenti diretti. In questo caso parliamo di un «report», ovvero un documento scientifico di tutto rispetto, ma che cita e interpreta anche precedenti lavori e non sempre riferiti direttamente al SARS-CoV-2;
  • Contrariamente a quanto si potrebbe pensare da certi titoli, gli autori del report pubblicato su Science non affermano affatto di aver realizzato uno spray nasale che potrebbe proteggere contro le varianti Covid, anche se auspicano di riuscirci in futuro;
  • Il report in questione riporta anche lavori con risultati surrogati al tema principale, perché riguardano altri virus o altri metodi, per quanto possano presentare elementi in comune. Questo è normale, ma passa spesso in secondo piano;
  • Prima di arrivare alla sperimentazione clinica, dunque sull’uomo, saranno necessari ulteriori studi preclinici, magari con primati non umani.

Analisi

Troviamo su Science un «report» del 17 febbraio, con le firme di Moscona, Porotto e diversi altri ricercatori. Quel che hanno studiato gli autori è estremamente interessante:

«We have designed lipopeptide fusion inhibitors that block this critical first step of infection, and based on in vitro efficacy and in vivo biodistribution selected a dimeric form for evaluation in an animal model. Daily intranasal administration to ferrets completely prevented SARS-CoV-2 direct-contact transmission during 24-hour co-housing with infected animals, under stringent conditions that resulted in infection of 100% of untreated animals. These lipopeptides are highly stable and thus may readily translate into safe and effective intranasal prophylaxis to reduce transmission of SARS-CoV-2».

Studi in vitro, ex vivo e in vivo

I ricercatori hanno testato degli «inibitori della fusione lipopeptidica» sui furetti e riportano anche fonti su sperimentazioni in vitro ed ex vivo (campioni di tessuti presi dai furetti). Si tratta di sostanze in grado di inibire la fusione tra virus e cellule; una fase importante che precede l’infezione vera e propria. Dunque, i presupposti teorici non sono campati per aria. Gli autori menzionano inizialmente gli esperimenti ex vivo:

«We recently described a monomeric SARS-CoV-2 HRC-lipopeptide fusion inhibitor against SARS-CoV-2 with in vitro and ex vivo efficacy superior to previously described HRC-derived fusion inhibitory peptides».

Si riferiscono a un loro studio precedente dell’ottobre 2020. I ricercatori proseguono citando anche altri loro precedenti studi: il primo sul virus Nipah dell’ottobre 2010; nel secondo del maggio 2012. Si parla sempre di inibire la fusione tra membrane cellulari per impedire l’infezione virale:  

«Our approach in designing SARS-CoV-2 S-specific fusion inhibitors builds on our previous work that demonstrated that lipid conjugation of HRC-derived inhibitory peptides markedly increases antiviral potency and in vivo half-life (910)». 

Il più recente studio dei due ricercatori sull’argomento lo troviamo sul Journal of Virology (12 ottobre 2016). Riguarda il virus del morbillo:

«For other enveloped respiratory viruses, we previously showed that both ex vivo and in vivo dimeric lipopeptides (administered intranasally) displayed increased retention in the respiratory tract compared to monomeric compounds (14)».

Quando nel report si fa riferimento a esperimenti in vitro, dunque nelle colture cellulari, queste riguardano la linea VeroE6 (derivate da reni di Cercopithecus aethiops), e si cita uno studio di altri autori del gennaio 2021:

«The lead peptide, [SARSHRC-PEG4]2-chol, was assessed for its ability to block entry of SARS-CoV-2 in VeroE6 cells or VeroE6 cells overexpressing the protease TMPRSS2, one of the host factors thought to facilitate viral entry at the cell membrane (2). Whereas viral fusion in VeroE6 cells predominantly occurs after endocytosis, the virus enters TMPRSS2-overexpressing cells by fusion at the cell surface, reflecting the entry route in airway cells (18)».

  • Per approfondire sul tema dell’uso di linee cellulari nelle sperimentazioni in vitro rimandiamo a un nostro precedente articolo.

L’esperimento sui furetti

Finalmente arriviamo all’esperimento sui furetti. Questi mustelidi risultano effettivamente suscettibili di infezione da parte di SARS-CoV-2. I ricercatori riportano che questo è stato empiricamente dimostrato in altri studi, per esempio nel 2003 col SARS-CoV-1, responsabile dell’epidemia di Sars.

Sono stati utilizzati per l’esperimento dei furetti mai infettati dal nuovo Coronavirus, definiti quindi col termine «naïve». Esposti precedentemente allo spray sono stati quindi messi a contatto con altri furetti infetti. Il modello seguito è il seguente: un furetto infetto viene messo in contatto con altri quattro naïve, due hanno assunto lo spray, due un placebo (fungevano quindi da controllo, per scremare eventuali riscontri casuali o dovuti alla suggestione degli sperimentatori).

I risultati sembrano incoraggianti, accertati mediante verifiche RT-PCR, analisi in grado di trovare la traccia genetica univoca del nuovo Coronavirus:

«Productive SARS-CoV-2 infection was not detected in the throat or nose of any of the peptide-treated recipient animals […] No infectious virus was isolated from lipopeptide-treated ferrets, while infectious virus was detected in all mock-treated ferrets».

Insomma, a quanto pare nessun furetto naïve sottoposto allo spray è risultato infetto nei tempi e modi previsti dai ricercatori. Per verificare l’eventuale presenza nel sangue di anticorpi neutralizzanti è stato eseguito un test diagnostico ELISA. Anche in questo caso sono state ottenute conferme:

«Collectively, these data show that intranasal prophylactic administration of the [SARSHRC-PEG4]2-chol peptide had protected 6/6 ferrets from transmission and productive infection».

Perché si parla di varianti Covid

Nella conclusione i ricercatori suggeriscono effettivamente la possibilità che uno spray del genere possa funzionare anche contro le varianti, soprattutto quella inglese:

«A combination of drugs that target different aspects of the viral life cycle is likely ideal for this rapidly-evolving virus. Of note, the [SARSHRC-PEG4]2-chol lipopeptide is equally active against several emerging SARS-CoV-2 variants including the D614G as well as the recent variants of concerns (B.1.1.7 and B.1.351)».

Nel report si citano due lavori esterni che dimostrerebbero l’efficacia di principi attivi analoghi sulla variante inglese: il report di Dormitzer, Sahin, et al.; e lo studio di Seder, Edwards, et al., in attesa di revisione (preprint).

Nella parte riguardante l’esperimento non è chiaramente precisato se sono stati usati furetti infettati con varianti Covid, mentre è pacifico che potessero essere positivi alla mutazione dominante D614G, che non ha mostrato comprovate preoccupazioni.

«Among the monomeric lipopeptides, the peptide bearing PEG24 was most potent. The dimeric cholesterol-conjugated peptide ([SARSHRC-PEG4]2-chol; red line in Fig. 1D) was the most potent lipopeptide against SARS-CoV-2 among our panel. This peptide also robustly inhibited fusion mediated by the S proteins of several emerging SARS-CoV-2 variants [including D614G (15)], the recent variants of concern B.1.1.7 and B.1.351 (1617) and the S protein of SARS-CoV and MERS-CoV (Fig. 1E)».

Entrambi i paper forniscono tuttavia dati surrogati alla tesi sostenuta dai ricercatori, i quali si limitano a suggerire che il loro spray possa funzionare anche in risposta alle varianti di maggiore preoccupazione (VOC), sulle quali gli studi sono ancora in divenire e non risulterebbero prove robuste di un loro particolare effetto, su vaccini o altri trattamenti standard.

Conclusioni: aspettando maggiori riscontri

Il report per quanto riportato da alcuni media in maniera semplicistica fornisce informazioni interessanti, le quali necessiteranno ulteriori studi, possibilmente su primati non umani, prima di arrivare alle fasi della sperimentazione clinica. I meccanismi che possono portare a trasmettere il virus sono molteplici e le cose si complicano se si passa dagli animali alle persone. Ci sembra infine prematuro chiederci fin da ora se queste misure di profilassi rispondano correttamente anche alle varianti, se non partendo dal presupposto che sia noto il preciso meccanismo che le renderebbe più pericolose.

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Foto di copertina: MichaelSehlmeyer | Furetto.

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