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Tempi, multe, oppositori: la strada in salita del decreto sul Super Green pass per i lavoratori

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Il consiglio dei ministri è convocato per domani. Ma prima si annuncia una caldissima Cabina di Regia perché nella maggioranza ci sono molti dubbi sulla nuova norma. E anche una serie di problemi da risolvere

Domani il consiglio dei ministri varerà il nuovo decreto Covid con il Super Green pass obbligatorio sul lavoro. Ma quella del provvedimento è una strada che si preannuncia in salita, visto che all’interno della maggioranza non c’è accordo. Ma soprattutto, nel frattempo sono emerse anche una serie di problematiche tecniche sull’obbligo. Che potrebbero spingere il governo Draghi a valutare altre ipotesi per la stretta. La prima è quella di varare un provvedimento “light” o “soft“, che contenga soltanto la Certificazione Verde Covid-19 rafforzata per alcune categorie di lavoratori (quelli pubblici), rinviando a data da destinarsi la norma omnibus. La seconda invece è quella di varare l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini, come chiedono sindacati e imprese.

I problemi: tempi, multe, dipendenti

A oggi le problematiche emerse sul Super Green pass per lavorare riguardano tre ordini di problemi. La prima sono i tempi: da quando far scattare l’obbligo di presentazione del certificato in uffici e fabbriche? Secondo alcuni quotidiani, il governo sta pensando di scaglionare i tempi dell’entrata in vigore. Una road map che prevederebbe in questo caso prima i lavoratori della Pubblica Amministrazione e quelli a contatto con il pubblico e poi tutti gli altri. Il punto principale però è quando iniziare. Perché nel frattempo l’ultimo decreto Covid licenziato dal CdM ha abbassato i tempi per ricevere la terza dose fissando la data d’inizio della riduzione al 10 gennaio. E il pericolo è che con l’entrata in vigore dell’obbligo sul lavoro si creino ingorghi negli hub vaccinali.

Il secondo problema riguarda le multe e le sanzioni e, più in generale, il monitoraggio del rispetto della norma. Qui le questioni sono più sfumate, nel senso che sono le stesse sollevate all’epoca del Green pass obbligatorio sul lavoro e dei controlli demandati ai datori. E potrebbero trovare la stessa soluzione. Anche perché il governo ha ben presente qual è il vantaggio del Green pass rispetto all’obbligo vaccinale. Mentre la seconda opzione costringerebbe l’esecutivo a effettuare i controlli, con la prima questi sono demandati agli esercenti (per gli esercizi pubblici) e ai datori di lavoro. Il terzo problema invece è di difficile soluzione: riguarda la possibilità di sostituire i dipendenti che non si atterranno alle regole. Come spiega oggi La Stampa, fatto salvo il divieto di licenziamento il governo pensa di introdurre una norma che consenta di sostituire i dipendenti per le aziende con meno di 15 lavoratori.

Le questioni politiche

Poi ci sono le questioni politiche. La norma sul Super Green pass per il lavoro avrebbe potuto rientrare nel decreto che ha cambiato le regole della quarantena, ma già all’epoca si era registrata l’opposizione di Lega e M5s che hanno consigliato a Draghi il rinvio. In particolare il capodelegazione della Lega nel governo Giancarlo Giorgetti è tornato a utilizzare un argomento di quelli molto cari ai No vax: ovvero l’indennizzo dello Stato per gli effetti indesiderati che potrebbe subire chi di fatto è obbligato a vaccinarsi per lavorare. Per il MoVimento 5 Stelle invece i dubbi erano stati espressi da Stefano Patuanelli: «Abbiamo sempre ragionato per funzioni: forze ordine, docenti, sanitari. Quelli a contatto con le persone. Quale sarebbe la ratio di distinguere tra un lavoratore è un disoccupato? Forse a questo punto conviene ragionare sull’obbligo vaccinale».

Ma i problemi con il M5s non finiscono qui. Perché nel frattempo all’interno del M5s si è formata una corrente contraria all’obbligo vaccinale proposto da Patuanelli in Consiglio dei ministri. Capitanata, dicono le cronache, dall’ex sindaca di Roma Virginia Raggi. E lo status pubblicato su Facebook per dire no alla Dad per i bambini non vaccinati ne costituirebbe un primo segnale. Certo, più che una posizione politica, la presa di posizione di Raggi (ma non solo: nelle chat interne si segnala anche l’attivismo del deputato – e ricercatore scientifico – Marco Bella e della senatrice Mariolina Castellone) si potrebbe inquadrare nella guerra alla leadership di Giuseppe Conte. Ma mentre una riunione convocata per oggi cercherà di trovare un punto d’incontro tra le varie anime del M5s, proprio Patuanelli potrebbe disertare il Cdm che varerà le nuove norme. Per dare un segnale all’intero e soprattutto all’esterno.

L’arma dell’obbligo vaccinale

Ma sul tavolo di Draghi c’è anche una pistola. Visto che la maggioranza continua a litigare e durante la Cabina di Regia che di solito precede il Consiglio rischia una spaccatura, il premier potrebbe sparigliare proponendo l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini e non solo per chi lavora. Che Draghi avesse anche questa opzione sul tavolo è cosa nota. Ma se davvero dovesse essere impossibile varare un provvedimento che investa soltanto le attività produttive allora per il presidente del Consiglio potrebbe essere più semplice dare l’ok all’immunizzazione coatta per tutti gli italiani. Sul punto ha già il visto della Cgil, della Uil e di Confindustria, oggi ribadito anche dal presidente emerito della Brembo Alberto Bombassei. E anche l’avallo di molti esperti, compresi molti autorevoli membri del Comitato Tecnico Scientifico. Ma una mossa del genere potrebbe portare a più di un dubbio dal punto di vista politico. Compreso quello che nessuno oggi solleva ma diventerà attuale dal 24 gennaio: conviene litigare con i partiti della maggioranza proprio mentre si apre la corsa al Quirinale?

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