Zona arancione, le otto regioni a rischio dal 17 al 24 gennaio e i piani di Lombardia e Lazio

Dal 17 al 24 gennaio le ordinanze potrebbero portare nell’area a maggiori restrizioni Piemonte e Calabria. Poi toccherà alle altre. Ma qualcuno prova a evitarla. Partendo dai dati dei ricoveri

Ci sono otto regioni a rischio zona arancione. Dal 17 al 24 gennaio le ordinanze del ministro della Salute Roberto Speranza potrebbe portare nell’area a maggiori restrizioni in primo luogo Piemonte e Calabria. Poi potrebbe essere il turno di Liguria, Sicilia e Valle d’Aosta. Infine potrebbe toccare a Veneto, Lombardia e Lazio. Ma c’è un piano per evitarla. Che parte dalle discussioni su contagi e ricoveri di questi giorni. E su un’evidenza portata nel dibattito pubblico dalla Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere): un ricoverato su tre attualmente si scopre positivo in ospedale ma non è malato di Covid-19.


Un salasso da 50 milioni al mese

Partiamo dai dati. Ieri il bollettino dell’emergenza Coronavirus ha certificato il picco di ricoveri dell’era Omicron, con 71 letti in più occupati nelle terapie intensive e 727 nei reparti di medicina. Il ministero della Salute ricorda che attualmente tra le regioni italiane si trovano:


  • in zona gialla: Abruzzo, Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, PA Bolzano, PA Trento, Piemonte, Sicilia, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto;
  • in zona bianca: Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Umbria.

Sergio Abrignani, immunologo e membro del Cts, ha spiegato ieri al Tg Zero di Radio Capital che attualmente abbiamo 1600 persone in terapia intensiva e tra il 65 e il 70 per cento di loro sono non vaccinati: «Di questi l’85, 90 per cento non sarebbero in terapia intensiva, se vaccinati, e saremmo al disotto della soglia che porta le regioni in giallo o arancione. Dunque senza i no vax, ogni regione resterebbe in zona bianca». In più, ha aggiunto Abrignani, «C’è un altro effetto diretto economico. Un posto in terapia intensiva costa 1.700 euro al giorno, quindi questi mille No vax ricoverati oggi in Italia, di cui 950 non dovrebbero stare lì se si vaccinassero, costano all’incirca 50 milioni di euro al mese alla sanità pubblica».

Lombardia in zona arancione?

A parlare apertamente di rischio zona arancione è stato ieri il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana: vista la situazione pandemica sembra che «l’indicazione sia quella della zona arancione, ma penso che sia difficile fare delle previsioni anche se speriamo di riuscire a fermarci prima». E ancora: «Come anche bene ha scritto recentemente il professor Remuzzi Omicron è una cosa completamente nuova diversa, le cui reazioni e modalità di sviluppo non sono più paragonabili al vecchio Covid». Per questo, spiega oggi La Stampa, proprio la Lombardia ha un piano per evitare la zona arancione. Che prevede, sulla scorta dei dati Fiaso, non conteggiare tra i ricoveri Covid chi è positivo ma asintomatico e si trova in ospedale a causa di altre patologie. Secondo il quotidiano oggi è in programma una call tra i dirigenti della sanità lombardi per definire la questione.

Ma in Lombardia con i 203 ricoveri in più di ieri (3.202 in totale), sale al 30,6% l’occupazione dei posti letto Covid nei reparti ordinari negli ospedali. Una percentuale superiore a quella fissata per il passaggio in zona arancione, pari al 30%. Ancora sotto il limite del 20%, invece, l’occupazione della terapie intensive che con i 10 ricoveri in più di oggi (256 in totale) si attesta al 16,7%. Altissima ancora l’incidenza dei nuovi positivi su ogni centomila abitanti, pari a 2.710. Intanto anche il presidente del Fvg, Massimiliano Fedriga e della Conferenza delle Regioni, a margine di un incontro a Trieste, ha sollevato il pericolo arancione: «Il Friuli Venezia Giulia è molto vicino alla zona arancione. I dati di ieri sono molto vicini all’arancione. Voglio ricordare però che con le misure che la Conferenza delle Regioni aveva chiesto al Governo per i vaccinati l’arancione è come la zona bianca».

Il caso Lazio

E ancora: «Avevamo voluto queste misure perché c’è una grande differenza tra i vaccinati e non. Ovvero, il non vaccinato rischia di andare in ospedale, se gli ospedali si saturano rischiamo di mettere in crisi tutto il Paese. Chi è vaccinato protegge se stesso e gli ospedali e quindi la propria comunità». Ma ieri anche nel Lazio i ricoveri Covid in regime ordinario sono arrivati a quota 1583: l’asticella dell’occupazione ha raggiunto il 25%, solo 5 punti percentuali sotto il 30%. Gli altri due indicatori (occupazione di terapie intensive e tasso d’incidenza) sono già oltre soglia. Quindi, pronostica oggi l’edizione romana di Repubblica, a meno di una netta inversione di tendenza, alla fine della prossima settimana il salto di fascia per il Lazio sarà inevitabile. Per questo la Regione sta correndo ai ripari. La chiusura delle attività programmabili – attuata nei giorni scorsi anche dalla Lombardia – è il tentativo disperato di evitare il collasso del sistema sanitario. Resteranno comunque garantiti tutti gli interventi oncologici, mai procrastinabili, così come quelli considerati di massima importanza per la vita del paziente. E non si fermerà la chirurgia d’urgenza. Basterà?

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