Quirinale, cosa c’è dietro ai 125 voti per Mattarella: depistaggio o segnale di Pd e M5s al capo dello Stato?

Il segretario dem Letta, intanto, teme l’asse giallo-verde (su Casellati ma non solo) e avverte: così salta tutto

Nella terza votazione per il Quirinale, il dato che salta all’occhio – a parte le 412 schede bianche – è il numero di voti espressi a favore dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Potrebbe essere una mossa per depistare, per utilizzare un nome che, almeno sulla carta, è già “bruciato” (il Capo dello Stato ha fatto capire di non voler essere rieletto); ma potrebbe anche essere un modo per lanciare un segnale a Mattarella chiedendogli, in sostanza, di restare. I voti per lui sono stati 125 (arrivati soprattutto da Pd e M5s, secondo alcune indiscrezioni). Dietro di lui Crosetto, candidato indicato da Fratelli d’Italia, con 114 voti. Pochi, invece, i voti per Pier Ferdinando Casini, Mario Draghi, Marta Cartabia. Stesso discorso per Elisabetta Casellati, con l’ipotesi di vederla al Quirinale che starebbe tramontando.


L’asse M5s-Lega che fa paura al Pd

La presidente del Senato non è mai finita nella rosa dei nomi del centrodestra. Una tattica, forse, quella di Matteo Salvini di non candidarla per non bruciarla, visto che Casellati ricopre una delle più alte cariche dello Stato. Peraltro, se non si trova un nome entro il 3 febbraio sarà proprio a lei sostituire Mattarella in attesa della nuova elezione del Capo dello Stato. In un primo momento, sembrava che il centrodestra potesse provare il tutto per tutto proponendola domani, 27 gennaio, alla quarta votazione. Ma il rischio è quello di far fare una figuraccia alla presidente del Senato, nel caso in cui non dovessero arrivare i voti sperati. Nell’area del M5s, come confermano diverse fonti a Open, «non c’è di certo l’entusiasmo di votare Casellati, nota per il caso dei voli di Stato – sottolineano – ma se ce lo chiede Conte lo faremo». Il presidente del M5s al momento non si esprime anche perché il Pd ha già lasciato intendere di non volerla votare. Altri, sempre nel Movimento, escludono «categoricamente di volerla sostenere».


I voti dispersi dicono che alcuni grandi elettori, in questa fase, si stanno discostando dalle indicazioni di partito, di votare scheda bianca, lanciando un messaggio ai leader degli schieramenti politici: «Nella segretezza dell’urna facciamo come vogliamo». Ed è questo su cui Salvini sperava per “lanciare” Casellati, magari trovando sponda nel M5s o nel Misto (soprattutto nei famosi “scoiattoli” di Berlusconi) ma l’operazione sarebbe troppo rischiosa. Il Pd, per bocca di Enrico Letta, ha detto che una candidatura di Casellati «rappresenterebbe il modo più diretto per far saltare tutto». Non ha specificato il destinatario: questo tweet, dunque, può essere letto come un avvertimento a tutti, M5s in testa. In altre parole, se i grillini appoggiano Casellati può saltare tutto. Letta ha paura di un asse M5s-Lega, visto che non sarebbe nemmeno la prima volta.

Il nodo Draghi

«Oggi va assolutamente chiuso un accordo di massima. Se domani il centrodestra indica un nome, noi rischiamo», ci dice una fonte del Movimento 5 Stelle. C’è tensione, si brancola ancora nel buio e non ci sono nomi che possano piacere a tutti. Da una parte c’è Fratelli d’Italia che potrebbe non partecipare al conclave dei partiti per trovare il nome del prossimo Capo dello Stato, dall’altra c’è Salvini che vuole chiudere in fretta. Il centrosinistra ha già detto di no ai nomi Pera, Moratti e Nordio. Resta la carta Draghi di cui pochi vogliono parlare ma che è, ancora oggi, il candidato d’emergenza: lui non si espone, resta a Palazzo Chigi a lavorare ma continua a chiedere alle forze politiche cosa si aspettano da lui. Il no a Draghi al Colle arriva da più fronti: oltre che dal centrodestra, anche dal M5s con Conte che ha lasciato intendere di preferirlo alla guida del governo (a differenza di Luigi Di Maio e Beppe Grillo che, invece, avrebbero una posizione differente e che starebbero remando contro). Dello stesso avviso, secondo fonti, anche Dario Franceschini per il Pd. Stando così le cose, sciogliere questa matassa resta arduo. E quella di domani, 27 gennaio, con il quorum che si abbassa può essere una giornata di svolta.

Foto in copertina di repertorio

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