La verità di Draghi sulle dimissioni: «Non volevo andarmene e non sono stanco. Il Bis? Sarei durato un giorno»

Il premier replica a Berlusconi: si sente mandato via ed è irritato nei confronti di chi lo rimpiange. E punta il dito contro il centrodestra

Altro che stanco. Mario Draghi si sente «mandato via». Se fosse dipeso dalla sua volontà sarebbe rimasto a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura. Mentre la proposta del centrodestra su un governo-bis senza i grillini è arrivata fuori tempo massimo. E nei confronti di chi oggi lo tira per la giacchetta o si strappa le vesti per la sua caduta il premier in carica solo per gli affari correnti «è irritato». In questa replica arrivata al quotidiano Libero dopo le parole di Berlusconi su Draghi «stanco» e che «ha scelto di andarsene» c’è molto di quello che pensa l’ex governatore della Bce della crisi di governo che lo ha portato a dare le dimissioni. Nel consiglio dei ministri che ha fissato le elezioni per il 25 settembre il premier è stato più ecumenico: ha ringraziato i ministri per gli sforzi e ha detto che porterà con sé un bel ricordo degli «scambi» avuti con ognuno.


Leali e sleali nel centrodestra

Ma che SuperMario sia irritato è un dato di fatto. E lo si capisce anche dal retroscena del Corriere della Sera che riporta gli stessi argomenti. Con una differenza: per Draghi la verità è che il centrodestra voleva disarcionarlo con «un governo bis senza 5 stelle destinato a durare un giorno». Tutto il resto, per l’ormai ex premier, sono «sciocchezze» frutto di un lavoro di disinformazione per ragioni di campagna elettorale. Berlusconi lo ha spiazzato, è il ragionamento. Salvini no, perché da settimane spingeva per sfilacciare il consenso della Lega inasprendo le rivendicazioni. Mentre Giorgia Meloni almeno ha avuto un comportamento «leale». Quanto al M5s, spiega Monica Guerzoni, ora per il premier Giuseppe Conte appare il meno colpevole. Perché anche se avesse smussato i toni sarebbe finita allo stesso modo, visto che il centrodestra aveva scelto il voto e ha approfittato dello strappo grillino.


Nel suo primo CdM da dimissionario ci sono anche i ministri che hanno lavorato per la crisi ma si sono tenuti le poltrone. Ma lui li ringrazia tutti, senza distinguo. «Ora dobbiamo mantenere la stessa determinazione nell’attività che potremo svolgere nelle prossime settimane, nei limiti del perimetro che è stato disegnato», dice. Perché la guerra in Ucraina, che ha fatto schizzare i costi dell’energia e correre l’inflazione, avrà ancora bisogno di risposte. A partire dal prossimo decreto Aiuti che il premier è intenzionato a varare entro la fine del mese, al massimo ai primi di agosto. E poi c’è il Pnrr. Entro la fine dell’anno vanno centrati altri 55 obiettivi, pena la perdita del prossimo assegno Ue da 19 miliardi. Quindi bisogna darsi da fare coi decreti attuativi mentre le Camere sono impegnate a votare le riforme ancora in attesa.

Il martedì giorno decisivo

Il giorno decisivo, spiega invece un retroscena de La Stampa, è stato proprio martedì. L’incontro con i vertici del centrodestra era andato fin troppo bene, è il ragionamento. La cosa l’ha convinto che quello in Senato sarebbe stato il suo ultimo discorso nel pieno dei poteri. Ora, è il ragionamento, restano 100 giorni. Ovvero il massimo per un governo dimissionario. Quando ieri mattina è salito al Quirinale per rassegnare definitivamente le dimissioni nelle mani di Sergio Mattarella, i due hanno parlato di questo. L’intenzione del Capo dello Stato è di tenere conto dell’emergenza e fare sì che il lavoro non si fermi. Certo, dicono anche i suoi collaboratori, un esito così forse non se lo aspettava, ma è “sereno” e manterrà tutti gli impegni.

Compresa l’agenda internazionale che a settembre dovrebbe portarlo a New York per l’assemblea generale dell’Onu. E a inizio ottobre a Praga per l’avvio del semestre della presidenza ceca. D’altro canto, dopo le stilettate su reddito di cittadinanza e Superbonus, togliere il sostegno al governo alla fine era una scelta necessaria per tenere unito il gruppo parlamentare anche secondo Beppe Grillo. Secondo i retroscena il garante, che nelle scorse settimane aveva sottolineato l’opportunità di restare nell’esecutivo nutrendo dubbi sulla scelta di non votare la fiducia sul dl Aiuti, «è sereno», assicura chi conosce il suo stato d’animo e, raccontano in ambienti del Movimento, sarebbe deciso a puntare su Conte in campagna elettorale. Spegnendo le voci di un avvicendamento con Virginia Raggi o con Alessandro Di Battista.

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