Verso un nuovo rinvio del Mes? Cosa c’è dietro l’azzardo di Meloni e che c’entra il Patto di Stabilità

L’approvazione del nuovo Trattato dovrebbe slittare a gennaio 2024, in attesa di novità sul Patto di Stabilità. Una scommessa sempre più rischiosa. Ecco perché

È dicembre: torna alla casella di partenza. La telenovela della ratifica del Mes da parte dell’Italia pare, anche agli insider che seguono (o ci provano) l’evoluzione delle trattative Roma-Bruxelles, un estenuante gioco di società in cui ogni volta che la svolta sembra alle porte si ricomincia sempre dal via. Era il 9 dicembre 2020 quando l’allora maggioranza di governo (quella che sosteneva il Conte 2: 5 Stelle + centrosinistra) approvò alle Camere la risoluzione che doveva aprire la strada alla ratifica della riforma del fondo Ue salva-Stati. Poche settimane dopo, approfittando anche delle contorsioni di Conte sul tema, Matteo Renzi fece cadere il governo, aprendo la strada a quello di Mario Draghi. Sono passati tre anni esatti da quel doppio voto di Camera e Senato (che non era l’attesa ratifica, ma una risoluzione di principio), e l’agenda parlamentare è ancora vuota sul fronte Mes: la fatidica data per l’approvazione slitta sempre. Per volere della maggioranza di turno, naturalmente: da 14 mesi quella di destra FdI-Lega-Fi. Dopo aver fatto saltare l’appuntamento a fine giugno, tutto lascia pensare che neppure la data indicata da settimane – quella di giovedì 14 dicembre – sarà quella giusta. Si va verso un rinvio del voto a gennaio, hanno fatto trapelare tra ieri e oggi ai giornali voci di maggioranza. Una melina sul filo della provocazione che il governo Meloni ormai da mesi porta avanti con le istituzioni Ue, per ottenere concessioni su altri tavoli. Efficace tecnica negoziale o pericoloso azzardo? Proviamo a capirlo. Ripercorrendo qual è la posta in gioco (appunto): per l’Italia, ma anche per i destini del governo Meloni.


Che cos’è il Mes

Il Meccanismo europeo di stabilità è un’organizzazione intergovernativa di cui fanno parte i Paesi dell’area euro, legati come sono nelle traiettorie economico-finanziarie facendo capo a un’unica moneta e un’unica Banca centrale. Non è dunque uno “strumento” dell’Ue, ma un’altra organizzazione, strumentale alla persecuzione di un fine: mantenere a galla quei Paesi che rischiano di andare a fondo perché non riescono più a finanziarsi autonomamente sui mercati. Il caso tipico è quello di un Paese fragile dal punto di vista finanziario, appesantito da un debito pubblico rilevante, che finisca sotto attacco da parte della speculazione – magari dopo uno shock economico o una mossa politica infausta. ll Mes nasce insomma per provare a rispondere a esperienze traumatiche vissute in Europa e non solo. I Paesi dell’Eurozona l’hanno istituto nel 2012. In casi come quello citato, il Paese in difficoltà può richiedere il suo sostegno straordinario. Se accordato, questo viene concesso entro 7 giorni sotto forma di uno o più degli strumenti previsti: prestiti, acquisti di titoli di Stato o linee di credito precauzionali. L’assistenza non viene fornita “in bianco” però, ma in cambio della sottoscrizione di piani di riforme estremamente rigidi – tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, liberalizzazioni, flessibilizzazione del mercato del lavoro – posti sotto il monitoraggio dei rappresentanti di Commissione, Bce e Fmi. Quanto ai prestiti, vanno ovviamente restituiti nel tempo a chi li ha elargiti, ossia gli altri Paesi più forti dell’area euro. Per queste condizioni, cui già hanno dovuto far fronte negli anni i Paesi che vi hanno fatto ricorso – Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda – il Mes si è guadagnato in Italia una cattiva fama, cavalcata dal 2018 dai partiti sovranisti – per lo meno sino al momento di arrivare al governo.


Cosa cambia con la riforma

La principale innovazione della riforma del Mes, però, riguarda altro: le banche. Il nuovo Trattato – ora ratificato da tutti i Paesi interessati tranne l’Italia – porterebbe all’istituzione di un Fondo di risoluzione unico per sostenere le banche europee più fragili, finanziato dagli istituti stessi, con l’obiettivo ultimo di garantire la loro tenuta (dunque quella dei conti correnti dei cittadini) in caso di crisi. Un capitolo “privato” del meccanismo “pubblico”, insomma. L’altra innovazione principale del nuovo Trattato starebbe nell’obbligo per il Paese che chieda assistenza di emettere titoli di Stato ad hoc, definiti single limb CAC, meno “onerosi” di quelli ordinari, in quanto permetterebbero la restituzione ai creditori di un importo inferiore rispetto agli interessi standard.

Il doppio azzardo di fine anno del governo

Tanto la Lega quanto Fratelli d’Italia hanno condotto negli anni una campagna battente contro il Mes, considerato – come scrisse Giorgia Meloni nell’aprile del 2020 – un «cavallo di Troika» per vessare i Paesi più fragili come l’Italia. Ma governare è cosa diversa che fare opposizione: specie da quando la stessa premier ha intrecciato le sue relazioni coi vertici Ue – prima fra tutti la presidente della Commissione Ursula von der Leyen – nel segno del reciproco sostegno politico. Addio alla propaganda, quindi. Ma non alla tattica. Di fatto ormai da mesi la maggioranza lascia scivolare sempre più in là la questione non perché ritenga davvero pericoloso lo strumento in sé – anche perché la ratifica permette solo di rendere operativa l’organizzazione Mes, non di richiedere alcuni dei suoi “servizi” – ma come arma negoziale per richiedere concessioni su altri tavoli. Nell’ordine di priorità del governo Meloni, si segnala(va)no in particolare: l’approvazione da parte dell’Ue del nuovo Pnrr riveduto e corretto, l’istituzione del nuovo Patto di Stabilità, garanzie sulla messa in opera di azioni e fondi Ue per sostenere l’Italia sull’immigrazione. Ottenuto il primo risultato, restano aperti gli altri due fronti. E se la ratifica slitterà di nuovo oltre la data prevista di giovedì, è proprio perché ad essere ancora contorta è la matassa del negoziato sul Patto di Stabilità. Senza le garanzie richieste sulle nuove regole di governance economica europea – lo scorporo delle spese per investimento dal calcolo del debito/deficit, ritmi di rientro realistici – l’Italia non intende dare il suo assenso all'”altra” grande riforma. E tiene coperta la carta del Mes come “arma di ricatto”. Ma il gioco è sempre più rischioso, perché con la fine del 2023 si entra in un terreno per tutti sconosciuto: si rischia di cominciare il 2024 senza un nuovo quadro di governance – magari con le odiate regole del vecchio Patto – e senza il nuovo meccanismo proteggi-banche. I partner europei insomma potrebbero irritarsi sempre di più con l’Italia, fanno notare diversi esponenti dell’opposizione, finendo per rendere la strategia negoziale del tutto controproducente.

L’incognita Salvini

Se da un lato della tenaglia in cui sta stretta Meloni ci sono i partner Ue, dall’altro ci sono quelli interni della coalizione di governo. L’ulteriore slittamento del voto sul Mes, in realtà, è anche una concessione necessaria a Matteo Salvini. Che macroscopicamente indietro nei sondaggi rispetto alla premier, ha rispolverato una narrativa populista ad alto grado di aggressività: «Libereremo l’Europa da burocrati e banchieri», è lo slogan lanciato nella kermesse euro-populista di Firenze lo scorso 3 dicembre. Meloni non può rischiare di portare la questione Mes in Parlamento e trovarsi di fronte a imboscate più o meno spontanee di parlamentari della Lega, una cui significativa fetta si tiene ancora stretta la bandiera del no al Mes. E così la premier lavora per guadagnare tempo, e concessioni dall’Ue su altri dossier da poter dare in posto all’elettorato: il proprio, e quello della Lega. Ma con le elezioni europee (e amministrative) sempre più vicine, e il Carroccio che non ha nulla da perdere per risalire la china, il rischio di “messaggi” al veleno tra alleati – magari sotto forma di incidenti parlamentari – è destinato ad aumentare. E non è detto che gennaio ne porti di meno di dicembre. Vuoi vedere che quello di questa settimana non sarà l’ultimo degli ultimi dei rinvii?

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