Dalla Groenlandia all’Egitto, von der Leyen vola alle frontiere d’Europa in cerca di risorse (e di voti)

La presidente della Commissione in missione nell’Artico, poi nel Medio Oriente in guerra. Con a fianco i premier dei cui voti avrà bisogno per il bis

Dura la vita della presidente candidata. Da quando ha rotto gli indugi e annunciato la sua corsa per un bis alla guida della Commissione europea, poco meno di un mese fa, Ursula von der Leyen si trova nella delicata posizione di chi deve tenere i piedi in due scarpe: quella istituzionale di una presidente uscente e quella politica della candidata in corsa. Equilibrismo reso più difficile da un fattore interno e da uno esterno. Quello esterno: l’Ue si sente sotto attacco, prossima vittima sacrificale di una possibile tremenda tenaglia PutinTrump. E deve dunque correre per rendersi davvero indipendente – sul piano militare, economico, energetico – prima che sia troppo tardi. Quello interno: è tutt’altro che chiaro quale sarà la maggioranza politica che eleggerà – se la eleggerà – von der Leyen per un secondo mandato. Nel dubbio, a correre deve essere lei, per trovare risposte a entrambe le sfide. L’ex ministra di Angela Merkel lo ha messo in conto, e non da ieri, e non ha paura di solcare cieli, mari e oceani per andare là dove serve, con chi (le) serve. E non solo nel regolare Monday to Friday. Agenda della prima settimana dopo l’«incoronazione» (meno entusiasta del previsto) come candidata ufficiale del Ppe: dopo un passaggio a Strasburgo per informare il Parlamento europeo sulle mosse nel «vicinato» (candidatura di Bosnia-Herzegovina, aiuti umanitari per Gaza), un occhio ai dossier sul tavolo, messaggi e telefonate vari, von der Leyen è volata da ieri alla frontiera d’Europa. Isole Faroe prima, Groenlandia oggi. Giusto il tempo di rifiatare e cambiare il vestiario in vista dell’escursione termica, e domenica la capa della Commissione sarà in Egitto. Ma a fare?


Vedi alla voce derisking

Ogni missione ha il suo perché. Ma tutte in questa fase vanno lette nella doppia chiave citata: trovare alleati e risorse per garantire la stabilità e l’indipendenza dell’Ue da un lato, trovare i voti e la quadra politica per la maggioranza (sua) che verrà dall’altro. Ecco dunque che tanto in Groenlandia quanto in Egitto von der Leyen non arriva a mani vuote. Nel territorio d’oltremare della Danimarca (e dunque dell’Ue) la presidente della Commissione è arrivata con in tasca un assegno da 94 milioni di euro da distribuire su una serie di progetti in diversi settori. Quelli più strategici, visti da Bruxelles, sono quelli nel settore dell’energia e soprattutto delle materie prime critiche, di cui l’Ue ha bisogno come il pane se vuole tradurre in realtà la strategia del derisking teorizzata da von der Leyen. Se le materie indispensabili per far funzionare l’economia di domani le troviamo dentro l’Ue anziché comprarle da Stati autoritari e potenziali nemici, è la lezione in soldoni della guerra d’Ucraina, l’Europa sarà più forte e meno ricattabile (e più verde, sperabilmente). «25 delle 34 materie prime critiche identificate dalla Commissione come strategiche per l’industria europea e per la transizione verde possono essere trovate in Groenlandia», osservava la Commissione lo scorso novembre nel dar conto della firma a Bruxelles del Memorandum of Understanding (MoU) tra l’Ue e l’isola dell’Artico. Oggi la visita di von der Leyen per dar corpo a quella promessa di maggior collaborazione, simboleggiata dall’apertura di un ufficio di rappresentanza Ue nella capitale Nuuk.


La valigia per l’Egitto

Ben più nutrito l’assegno che von der Leyen si appresta a staccare domenica 6.700 chilometri più a sud, al Cairo. Al regime di Abdelfattah Al-Sisi l’Ue dovrebbe garantire un investimento da 7,4 miliardi di euro. Uno sforzo ben più impegnativo – e che sta attirando e attirerà molte più attenzioni e polemiche – al servizio di obiettivi diversi. Al centro dei colloqui e degli impegni di spesa ci sarà sicuramente il capitolo migratorio: sul modello di quanto previsto dal Memorandum of Understanding (MoU) con la Tunisia parte delle risorse dovrebbero andare a finanziare le azioni di «contenimento» delle partenze di migranti. Occhio non vede, cuore non duole: l’essenziale è tenere gli irregolari lontani dalle coste europee. Ci sarà però sicuramente anche molto altro, perché l’Egitto è strategico in questa fase per almeno altre due ragioni: il conflitto israelo-palestinese da un lato, in cui Il Cairo è uno degli attori chiave per cercare un’impossibile soluzione; il “solito” capitolo energetico dall’altro. L’Egitto è un fornitore attuale e potenziale di gas, ma potrebbe diventarlo anche di altre fonti di energia, più pulita: «Il potenziale dell’Egitto in termini di elettricità verde ha pochi rivali», faceva notare al vertice Ue-Egitto di fine gennaio il commissario all’Allargamento Oliver Várhelyi. Dal punto di vista di Al-Sisi, d’altra parte, un rafforzamento dei legami è essenziale per stabilizzare la fragile economia del Paese, attrarre investimenti e tecnologie ad esempio nel settore agroalimentare e dare un ulteriore impulso ai commerci, che già oggi fanno delle il primo partner dell’Egitto.

Il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry all’ultimo vertice Ue-Egitto – Bruxelles, 23 gennaio 2024 (EPA/OLIVIER HOSLET)

Se son rose fioriranno

Nel frattempo, sugli aerei che la portano a solcare cieli e mari ai confini d’Europa, von der Leyen può condurre le sue personalissime «consultazioni» pre-elettorali e tentare di definire il perimetro della maggioranza che verrà. In tutte le trasferte di questi giorni – e molte altre di questi mesi – la presidente della Commissione si fa infatti accompagnare dai primi ministri dei Paesi più coinvolti, a seconda della zona e dei dossier. In Groenlandia Ursula era con un’altra donna leader, la premier danese Mette Frederiksen. Scelta naturale, considerata l’appartenenza politica dell’isola. Ma anche strategica, considerato che la leader di Copenaghen è rimasta una dei pochissimi premier socialisti in Europa: saltato Antonio Costa in Portogallo, oltre a lei restano solo Pedro Sanchez in Spagna e Olaf Scholz in Germania. A indicare il o la futura presidente della Commissione europea saranno loro, i 27 capi di Stato e di governo, ed è bene prevenire ogni sorpresa. E a confermarla nel ruolo sarà poi il Parlamento europeo, e il centrosinistra vuole vederci chiaro prima di ridare il suo voto a von der Leyen come nella legislatura che volge al termine.

In Egitto invece la politica tedesca sarà «scortata» da Giorgia Meloni, con cui ha ormai condotto una lunga serie di missioni comuni – dalla Tunisia all’Emilia Romagna – ma anche dal premier greco Kyriakos Mitsotakis e da quello belga Alexander De Croo. I primi due Paesi hanno un evidente interesse nel mettere a segno azioni concrete sul tema dell’immigrazione, il terzo è quello che ha la presidenza di turno dell’Ue. Ma guarda a caso, i tre premier sono pure esponenti delle altre tre famiglie politiche di cui von der Leyen vuole assicurarsi il sostegno: il Ppe (partito suo e di Mitsotakis, dove covano serpi da tenere a bada), i liberali di Renew Europe (di cui fa parte il partito di De Croo, e che negli ultimi giorni le si stanno rivoltando contro), i sovranisti di Ecr (guidati da Meloni, che potrebbe garantire lo strategico «allargamento» a destra). Riuscirà von der Leyen a tenere tutti a bordo e a gestire lo shock termico?

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