Garlasco, perché l’alibi di Andrea Sempio non regge. «I video intimi di Chiara Poggi e Alberto Stasi movente dell’omicidio»


Il quarto elemento che collega Andrea Sempio all’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco è il biglietto di un parcheggio. Quello di Vigevano. Ovvero proprio l’alibi che avrebbe dovuto scagionarlo. Dopo il Dna, l’impronta e gli appunti sulle «cose brutte» che avrebbe fatto gli inquirenti pensano che quella storia sia falsa. Perché nel frattempo è comparso il pompiere Antonio B. Intanto, mentre si discute sulla presenza o meno di sangue sulla «traccia di interesse dattiloscopico» numero 33, si capisce perché Marco Poggi sia stato interrogato. Il 17 ottobre 2007 il fratello di Chiara parlò ai carabinieri di un video intimo della sorella con il fidanzato. Era nel computer di lei. Ma, si legge nel verbale, a quel pc avevano accesso anche due suoi amici: «Andrea Sempio e Alessandro Biasibetti».
L’alibi di Andrea Sempio
Con ordine. L’alibi di Sempio si fonda sullo scontrino di un parcheggio a Vigevano. Secondo la storia raccontata all’epoca e confermata dalla madre, la mattina del 13 agosto 2007 in cui Chiara moriva Andrea avrebbe preso l’automobile di famiglia per andare in una libreria, trovandola chiusa. Poi sarebbe tornato a casa. Per gli inquirenti in teoria i tempi per uccidere Poggi e arrivare a Vigevano ci sono. Ma c’è dell’altro. E si fonda sul famigerato «malore» di Daniela Ferrari durante l’interrogatorio.
La donna, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, ha avuto un mancamento quando gli hanno parlato di un vigile che si chiama Antonio B. Il motivo? Con questa persona Ferrari si è scambiata molti messaggi via sms dal 12 al 13 agosto 2007. E quel giorno il pompiere era in servizio a Vigevano. Ovvero nello stesso luogo in cui il cellulare della donna ha agganciato una cella quella mattina.
Daniela Ferrari e il pompiere
L’ipotesi degli inquirenti è quindi che quello scontrino sia stato materialmente fatto dalla madre. Che quella mattina si trovava a Vigevano per incontrare il pompiere. Lui, interrogato dagli inquirenti, non ha confermato la circostanza. Ma gli scambi tra le utenze parlano. Anche se non è possibile risalire al contenuto dei messaggi. Ecco quindi il ragionamento della procura di Pavia in base agli elementi al vaglio dell’aggiunto Stefano Civardi e delle pm Valentina De Stefano e Giuliana Rizza: l’alibi è falso. E quindi Sempio non ha un alibi per quella mattina. Ma soprattutto, secondo questa tesi sarebbe stato aiutato dai genitori per scagionarsi. E in questa prospettiva si comprende anche il secondo malore, quello avuto proprio da Sempio il giorno della consegna dello scontrino. Mai annotato dai carabinieri durante il verbale.
I video intimi di Chiara e Alberto
Durante l’ultimo interrogatorio ad Alberto Stasi sono state poste una serie di domande che riguardavano i video intimi che si scambiava con la fidanzata. Il «biondino dagli occhi di ghiaccio» ha risposto confermando quanto detto dal fratello di Chiara ai carabinieri. Marco ha raccontato che un anno prima dell’omicidio usando il computer della sorella si è imbattuto in una chat tra i due fidanzati. «Dal contenuto intuii che il file che Chiara stava scaricando doveva contenere immagini relative alla loro intimità», è il testo della testimonianza riportato oggi da La Stampa. Dopo il funerale di Chiara, Marco ha parlato dei filmati con Stasi: «Alberto mi confermava dell’esistenza di questo video». E a quel pc avrebbero avuto accesso anche Biasibetti e Sempio.
L’essenziale è invisibile agli occhi
Sempre a proposito di Sempio, La Repubblica parla di un post pubblicato il 17 dicembre 2014, giorno della condanna in appello bis di Stasi. Con un disegno e una frase: «L’essenziale è invisibile per gli occhi… non dimenticare il mio segreto» che sembra una citazione (imprecisa) de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry. È la frase che la volpe rivolge al protagonista. E si tratta del libro preferito di Stasi. Poi c’è la storia del pc di Stasi. Il computer è stato usato dai carabinieri più volte, anche collegando hard disk, prima che venisse eseguita l’analisi informatica. Le immagini pedopornografiche di cui si parlò all’epoca in realtà non vennero mai visualizzate sul pc. Questo dice la perizia del processo di primo grado.
L’impronta 33 e il sangue
Sull’impronta numero 33 il procuratore capo di Pavia Fabio Napoleone ieri ha chiarito che si utilizzeranno «nuove potenzialità tecniche a disposizione» per capire se è macchiata di sangue (quello di Chiara). Di certo c’è che la difesa di Sempio, basandosi proprio sulla testimonianza di Marco Poggi che ha detto che con i suoi amici andavano anche nel seminterrato, ha sdetto che non è significativa. Secondo gli investigatori invece è impressa molto in alto nella parete. Come se fosse stata lasciata da qualcuno che volesse sporgersi dai gradini. E non usare la parete come corrimano improvvisato. Ci sono 15 minuzie dattiloscopiche che la collegano a Sempio. Il colore è dovuto dalla reazione alla «ninidrina spray» spruzzata dai Ris per «esaltarla».
L’altra impronta
Ma di impronta considerata importante dagli investigatori ce n’è anche un’altra. È la numero 10 e l’hanno repertata sulla parte interna della porta d’ingresso della villetta. L’ipotesi è che appartenesse a una mano in quel momento sporca di sangue. Quella traccia oggi è ritenuta comparabile. E non è di Stasi né di Sempio. E nemmeno dei familiari della vittima. I Ris hanno conservato il Dna su un para-adesivo. Ed è uno degli elementi che hanno fatto ipotizzare alla procura di Pavia la presenza di un secondo uomo oltre a Sempio nella villetta di via Pascoli.
L’avvocato dei Poggi
Intanto Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, parla con Repubblica delle accuse nei suoi confronti provenienti dal “supertestimone” delle Iene. Che lo accusa di avergli raccontato le novità su Stefania Cappa vista «nel panico con in mano un borsone vicino alla casa della nonna», senza che l’altro le segnalasse agli inquirenti. Tizzoni spiega che l’accusa di aver voluto proteggere le gemelle Cappa perché amico del padre avvocato Ermanno sono «balle spaziali. Non ho mai lavorato nello studio di Ermanno Cappa, non sono un suo allievo, io ho aperto il mio studio nel 1997, lui, pur essendo più vecchio di me, anni dopo. Lo conosco come conosco le figlie, ma non li sento da almeno dieci anni». Anche se i rispettivi padri erano vicini di casa.