Cosa rimane della Grecia di Alexis Tsipras, il rivoluzionario che ha dialogato con l’Ue

In Grecia un cittadino su tre guadagna meno di 400 euro al mese. La stanchezza dei cittadini rischia di togliere dal Governo Syriza prima che possa vedere i risultati della risalita

La parabola di Alexis Tsipras potrebbe sembrare paradossale. Un giovane leader di sinistra, il più giovane in 150 anni di storia greca, possibile Nobel per la pace per l’accordo raggiunto con la Macedonia del Nord, che ha traghettato un Paese attraverso la peggiore crisi economica del dopoguerra. E che ora rischia di perdere le legislative del 7 luglio con lo stesso avversario che aveva battuto nel 2015 con oltre il 36% dei consensi.


Alle europee dello scorso marzo, Syriza ha perso oltre il 13% dei consensi, superato dallo storico partito conservatore Nuova Democrazia di 10 punti percentuali, guidato ora da Kyriakos Mītsotakīs. Ma gli elementi che hanno portato alla caduta del premier sono tutt’altro che inimmaginabili, e hanno a che fare con la quotidianità di tutti i cittadini ellenici.


Un Paese affaticato

Nello stesso anno in cui Tsipras sale al potere, la Grecia è insieme a un passo dalla bancarotta e al centro della crisi migratoria. Il piglio rivoluzionario del suo partito lascia presto il posto al realismo necessario al testa a testa con la Troika e ai piani di stabilità imposti alla penisola. I prestiti elargiti da Ue, Bce e Fmi erano pari a 320 miliardi di euro, forniti in tre programmi tra il 2010 e il 2015.

ANSA | Alexis Tsipras rischia la sfiducia per la ratifica degli accordi di Prespa con la Macedonia del Nord, dopo che la coalizione di destra ANEL ha abbandonato il Parlamento

Nei quattro anni successivi, Tsipras ha adottato misure di austerità pari a 65 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica. Facendosi carico di una situazione da Paese in guerra (dopo il crollo del Pil del 25% nel 2009), ha trasformato lo scontro con l’Unione europea in una lunga e faticosa collaborazione, arrivando a trascinare il Paese fuori dalla recessione nel 2017 e a portare i tassi di disoccupazione dal 27% al 18%.

Ma se all’epoca gli elettori hanno accusato Tsipras di tradimento per aver ignorato il referendum popolare sulla “Grexit”, oggi i greci non cercano più quel tipo di muscolarità promossa dal primo Syriza e riproposta da Mera25 dell’ex alleato Yanis Varoufakis. A quattro anni da quelle elezioni, i cittadini greci, messi in ginocchio da anni di rinunce, vogliono la concretezza di una stabilità che li mantenga, per usare un’espressione di Jean-Claude Junker, nelle «grandi democrazie europee».

Un desiderio di voltare semplicemente pagina, che ora molti di loro vedono prendere forma non più nella strada segnata a fatica da Syriza, ma nelle rinnovate promesse della destra. «Abbiamo bisogno di normalità», ha detto Mītsotakīs, ampiamente favorito nei sondaggi. «Se andremo a Bruxelles con un pacchetto di riforme coerenti ci daranno di sicuro più flessibilità di bilancio».

I dati sul lavoro: cresce l’occupazione, crollano i salari

A un anno dalla «fine dell’odissea» (si è chiuso ad agosto 2018 l’ultimo piano di stabilità), il Governo di Tsipras ha alle spalle un bilancio positivo. Nonostante qualche singhiozzo del Pil, la strada verso la ripresa sembrerebbe ormai segnata. Ma non è tutto oro quello che luccica: dietro ai dati della risalita, si nascondono realtà biografiche molto problematiche.

ANSA | Manifesti di Syriza ad Atene, luglio 2019

Nel 2015 Syriza ha introdotto un sistema di aiuti per i poveri e un progressivo aumento dei sussidi. Poco prima delle europee, Tsipras aveva annunciato che nel 2020 sarebbero partite misure permanenti come «nuovi sussidi pensionistici, sgravi fiscali e riduzioni sull’Iva». Dopo otto anni di stallo, anche le assunzioni nel settore pubblico sono state sbloccate. Ma dal 2015 al 2018, il tasso di povertà è migliorato del 4%.

Stando ai dati pubblicati da EFKA per il 2018, la Single social security entity che ha raccolto informazioni sull’andamento del mercato e del lavoro, accanto a un aumento dell’occupazione c’è stato un crollo vertiginoso degli stipendi. Nel giro di un anno, i salari sono caduti dell’1,23% rispetto al 2017.

Almeno un lavoratore su tre ha un lavoro part time precario e guadagna appena 391,32 euro al mese: fino a gennaio il salario minimo era attorno ai 586 euro, poi alzato a 650 da Tsipras. Il 60% degli occupati nel privato non arriva oltre i 1,000 euro al mese, e solo il 21,4% ne guadagna da 1,001 a 1,500.

Tante ore di lavoro e poco guadagno

Nonostante l’aumento dei tassi di occupazione, dovuto in buona parte anche all’emigrazione di massa delle generazioni più giovani, la fotografia del Paese è ancora quella di un popolo affaticato e poco gratificato.

Dati Ocse, elaborazione de Il Sole 24 Ore

In base ai dati elaborati dall’Ocse ad aprile, la Grecia è il primo Paese in Europa per numero di ore lavorate (l’Italia è sesto) e l’ultimo per quanto riguarda la produttività (l’Italia è penultima). I cittadini greci lavorano mediamente 38 ore settimanali a testa (contro le 31 della media europea) per produrre meno di tutti gli altri Stati – l’ultimo trimestre del 2018 si è chiuso in negativo.

Un confronto spietato con paesi come la Germania, dove i cittadini lavorano di media 12 ore in meno della Grecia (sono ultimi in classifica per ore di lavoro) e registrano andamenti del Pil in positivo (+0,4%) oltre che significativi aumenti degli stipendi (dell’11%).

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