«Salvini maschilista», Di Maio stoppa lo scontro tra il leghista e Spadafora: «Non si dimette»

Il sottosegretario M5s aveva già criticato il ministro dell’Interno in occasione del Festival delle famiglie di Verona. «L’Italia – dice – vive una pericolosa deriva sessista e gli insulti arrivano anche dalla politica»

«Il 22 luglio regaliamo diritti alla sicurezza a milioni di donne italiane con l’approvazione del Codice rosso: dopo anni di chiacchiere vuol dire che, entro tre giorni, da una denuncia di molestie e violenza il giudice ti deve convocare: pensiamo a quante vite risparmieremo».


È Matteo Salvini a rinfocolare lo scontro con il sottosegretario Vincenzo Spadafora, che su Repubblica lo aveva accusato di maschilismo. «Se si sente a a disagio – ha aggiunto poi nel pomeriggio il ministro dell’Interno – si dimetta lui dal governo».


A più riprese è dovuto intervenire Luigi Di Maio che ha cercato di tagliare corto: «Spadafora non si dimette – ha detto all’Agi – Punto. E ora andiamo avanti, sono stanco di queste polemiche inutili».

Le accuse di maschilismo? «No», continua il leader della Lega che aggiunge: «Abbiamo eliminato gli sconti di pena per gli stupratori e gli assassini e quindi le vittime di femminicidio quanto meno eviteranno i sorrisi di quelli che avranno un terzo di sconto rispetto al rito abbreviato, mi sembra che stiamo facendo nei fatti per le donne vittime di violenza in Italia molto più di quello che la sinistra ha fatto in passato».

Non contento, torna sull’argomento castrazione chimica, dichiarandosi favorevole perché in questo modo si eviterebbero «ulteriori violenze a tante donne in Italia. Il top sarebbe la castrazione chimica per pedofili e stupratori, ma stiamo facendo tanto».

Lega e M5s si erano già scontrati una volta sulle donne e sul tema della parità di genere in occasione del Congresso delle Famiglie di Verona. Di Maio accusò gli alleati di essere dei fanatici, parlò di “un nuovo Medioevo” e disse che a Verona sarebbe andata la destra degli sfigati. Lo scontro andava in scena a marzo, quando il M5s aveva già cominciato la sua campagna per le elezioni europee.

Oggi, a quattro mesi di distanza e con le voci di divorzio che si rincorrono, è il momento del remake. I protagonisti, stavolta, sono il ministro dell’Interno Salvini e il sottosegretario M5s Spadafora. L’occasione: la presentazione dei dati scoperti grazie al primo censimento nazionale dei centri antiviolenza sulle donne. Un momento importante, passato in secondo piano a causa della bagarre tra i due alleati di governo, tanto che la conferenza stampa in cui sarebbe stato presentato il rapporto è stata annullata.

La lite Salvini-Spadafora

L’esponente del Movimento 5 Stelle ha accusato Salvini di essere responsabile degli attacchi maschilisti nei confronti della comandante della Sea Watch Carola Rackete.

Vincenzo Spadafora arriva a Montecitorio per l’assemblea del M5S, Roma 29 maggio 2019. Ansa/Riccardo Antimiani

«L’Italia – dice Spadafora – vive una pericolosa deriva sessista. Come facciamo a contrastare la violenza sulle donne, se gli insulti alle donne arrivano proprio dalla politica, anzi dai suoi esponenti più importanti?».

Per il sottosegretario, esempi di sessismo maschilista sono «gli attacchi verbali del vicepremier alla capitana Carola. L’ha definita criminale, pirata, sbruffoncella. Parole, quelle di Salvini, che hanno aperto la scia dell’odio maschilista contro Carola, con insulti dilagati per giorni e giorni sui social».

La replica della Lega è arrivata a stretto giro. Per il capogruppo in Senato della Lega, Massimiliano Romeo, Spadafora ha due strade: dimettersi o scusarsi. «Le parole del sottosegretario Spadafora – dice Romeo – sono gravi e inopportune. Accusare Salvini di essere l’artefice di ogni male e di qualsivoglia nefandezza è un vizio, poco edificante, che certa politica non vuole proprio perdere».

E poco dopo interviene anche lo stesso Salvini: «Se fossi in Spadafora mi dimetterei. Cosa ci sta a fare al Governo con un un pericoloso razzista e maschilista? Non ritenendomi un razzista e un maschilista non ho nulla da rispondere a scemate del genere. Se mi ritiene così brutto si dimetta e faccia altro nella vita. Ci sono delle ong che lo aspettano. Ogni giorno – dice ancora Salvini – c’è un sottosegretario 5 stelle che si alza e la spara. L’altro giorno Di Stefano mi ha dato del panzone, oggi quell’altro mi dà del sessista maschilista e quant’altro. Lavorassero, se non hanno voglia di lavorare basta che lo dicano».

Prova a calmare gli animi l’altro vicepremier, il grillino Luigi Di Maio: «Quanto casino per una intervista, ma è possibile che ora il problema di questo Paese debba diventare una intervista?», dice il capo politico del MoVimento. «Pensiamo a lavorare piuttosto visto che i risultati ci sono. Sono già partiti quasi tutti gli appalti, il 96%, dei 400 milioni stanziati per i Comuni. Questi sono temi di cui deve parlare il governo e che ci rendono orgogliosi. Quindi lavoriamo e andiamo avanti».

I fondi «in arrivo»

Il sottosegretario Spadafora parla di «surreali commenti, soprattutto di esponenti del Pd sulle azioni che non si starebbero realizzando a favore delle donne». Dal Partito democratico «ho ereditato un Piano strategico contro la violenza delle donne che era un libro dei sogni con zero risorse», attacca. «Aria fritta».

«Stiamo per approvare invece un Piano operativo con risorse certe che incideranno concretamente nella lotta ad un fenomeno ancora molto grave nel nostro Paese», dice Spadafora, il governo Pd «aveva destinato alle Regioni 20 milioni di euro e il Dipartimento delle Pari Opportunità ha già inoltrato nei tempi previsti dalla legge gli ordini di pagamento per le 14 Regioni che hanno inviato la documentazione necessaria ad ottenere l’erogazione dei fondi, tempi totalmente in linea con quelli impiegati dal precedente Governo».

Ora il governo «destinerà alle Regioni ben 30 milioni di euro, 10 in più dello scorso anno». Per «rafforzare la rete territoriale e valorizzare il ruolo strategico dei Centri antiviolenza che era stato mortificato dal Governo Pd che, invece, aveva preferito destinare 11 milioni di euro a progetti di comunicazione ed eventi molto discutibili, generando delusione e rabbia tra i Centri antiviolenza come dovrebbero sapere gli esponenti del Pd. L’aumento delle risorse alle Regioni è solo uno dei punti, tra i tanti, contenuti nel Piano Operativo che approveremo entro questo mese».

Il report

33mila donne in fuga da violenze e abusi. Succede in Italia, nel XXI secolo. È quanto emerge dal primo report di Istat e Cnr, su incarico del dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio. 33mila è il numero di donne accolte nel 2017 dai 338 centri antiviolenza in tutta Italia, come riporta Repubblica. Ma a chiedere aiuto sono state oltre 50mila, senza entrare nel programma di protezione.

Si tratta del primo censimento sui centri antiviolenza e le case rifugio: strutture che si occupano da anni di donne maltrattate da mariti e partner, minacciate, aggredite, stalkerate. Per la prima volta il report fa una fotografia completa e nazionale dei centri antiviolenza in Italia. Sulle 338 realtà censite, nel 2014, 253 centri aderivano a un’intesa con le regioni, mentre 85 no.

Sono di più le donne prese in carico al nord – 18.489 – mentre i centri del Sud ne hanno accolte 7.628 pur essendoci più realtà sul territorio. Secondo il report di Istat e Cnr ci sono in media 16 centri in ogni Regione.

Nel 2017, su 33mila donne che hanno chiesto aiuto e hanno iniziato un percorso in queste strutture, 8.711 erano straniere. Nei centri le donne iniziano dei percorsi di autonomia per uscire dalla violenza.

I centri antiviolenza: «Quando andremo oltre la propaganda?»

Le parole del sottosegretario alle Pari opportunità «sugli attacchi verbali del vicepremier leghista contro Carola Rackete, anche se tardive, fanno breccia nel Governo», scrive in una nota D.i.Re – Donne in rete contro la violenza. «Il grave rinvio della riunione della Cabina di regia lascia inevase le richieste di attuazione del Piano nazionale antiviolenza e rimanda la diffusione delle informazioni sia relativamente alle schede di attuazione del Piano medesimo, che sulla mappatura dei centri antiviolenza di cui da ieri si parla», aggiunge la presidente Lella Paladino.

«A questo punto la Rete nazionale dei centri antiviolenza, anche in qualità di componente del Comitato Tecnico, si chiede quando sarà possibile conoscere nel dettaglio la programmazione dei diversi ministeri», prosegue Palladino, «e quando finalmente si andrà oltre la propaganda politica, procedendo a costruire un sistema integrato di interventi davvero efficaci per la prevenzione e il contrasto della violenza maschile contro le donne”.
“Mentre Salvini litiga con Spadafora, le donne continuano a essere colpite, uccise, i loro figli costretti ad assistere alla violenza, i centri antiviolenza a fare i salti mortali per sopperire alle mille disfunzionalità di un sistema pubblico inadeguato», conclude Palladino.

In copertina i due vice premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, Roma 8 luglio 2019. Ansa/Alessandro Di Meo

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