Vertice Onu sul clima. Conte rinuncia “alla tassa sulle merendine”

L’Italia si presenta all’Onu con un piano nazionale che prevede emissioni di gas serra superiori rispetto agli obiettivi Ue e un decreto sul cambiamento climatico che è slittato per mancanza di fondi

Alla vigilia dell summit Onu sul clima, il segretario generale António Guterres ha invitato i sessanta capi di Stato che parleranno a lasciare i «bei discorsi» a casa e presentarsi con dei piani concreti.


Tra loro ci sarà anche il premier Giuseppe Conte, volato a New York per presentare il piano italiano per la transizione a un’economia sostenibile dopo un weekend in cui le proposte da lui accennate al festival di Atreju a Roma hanno ricevuto diverse critiche da alleati, presenti e passati.


Addio alla “tassa sulle merendine”

Tra le proposte contestate la cosiddetta “tassa sulle merendine” voluta dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti e a cui Conte ha detto di sì, per poi essere “bacchettato” da Luigi Di Maio. Ma da New York, il premier ha fatto pace con il ministro degli Esteri rinunciando a introdurre nuove imposte.

«Non creiamo panico sociale. Da una mera battuta detta a un giornalista, rispondendo ad una domanda sulle merendine, ho detto non lo escludiamo, ma non è una misura concreta e definita, non vogliamo creare nuove tasse», ha detto il premier.

Discorso chiuso dunque, niente nuove tasse su merendine, bibite gassate e voli. In realtà una tregua con Di Maio era arrivata già questa mattina. «Ci vedete in attrito? Non credo», ha detto l’ex vicepremier volato con Conte a New York per la sua prima prova da ministro degli Esteri.

Il piano italiano (che non rispetta gli obiettivi Ue)

Al di là delle specifiche politiche pensate dal nuovo esecutivo per favorire una transizione a un’economia verde e ridurre le emissioni di gas serra, Conte dovrà prima fare chiarezza su una serie di punti di principio che riguardano impegni assunti dai precedenti governi. A partire dagli oneri italiani per gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, approvata dalle Nazioni Unite nel 2015.

L’agenda comprende una serie di obiettivi e traguardi tanto idealistici quanto, spesso, vaghi, su temi che spaziano dall’alleviamento della povertà all’inquinamento e alla produzione energetica. Un esempio per tutti: i firmatari si impegnano «entro il 2030, aumentare notevolmente la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale».

I capisaldi del piano italiano sono contenuti però nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, presentato a Bruxelles nel gennaio del 2019. Piano che dovrebbe servire all’Italia per rientrare negli obiettivi dell’Unione europea per la riduzione di gas serra.

Obiettivi ambiziosi sul nascere, diventati ancora di più con la proposta della nuova presidente della Commissione Ursula von der Leyen di chiedere ai Paesi membri di ridurre del 45% (e non del 40% come stabilito in precedenza) le emissioni di gas serra entro il 2030.

Decarbonizzazione dell’economia, efficienza e sicurezza energetica, ricerca, innovazione: questi alcuni dei temi principali del piano che, più concretamente, prevede una riduzione di emissioni di gas serra del 33% entro il 2030. Meno quindi rispetto alle direttive dell’Unione europea.

Nel valutare il piano italiano (Raccomandazione del 18 giugno), l’Ue ha sottolineato come, al di là dei target sulle emissioni, il governo non avesse programmato una riduzione soddisfacente delle sovvenzioni alle fonti fossili di energia, una considerazione non secondaria.

Slitta il decreto ‘Greta’. Mancano i fondi?

Il nuovo governo giallorosso voleva mettere al centro della propria azione dei provvedimenti per un Green New Deal – che prende il nome dall’ambizioso programma ideato negli Stati Uniti che propone investimenti massicci per incentivare l’economia verde e, contemporaneamente, ridurre le disuguaglianze – ma la nuova bozza per il decreto “emergenza climatica”, noto anche come “decreto Greta” in onore dell’attivista Greta Thunberg, non è approdato in consiglio dei ministri.

Le critiche nei confronti della bozza sono diverse – a partire dai sindacati che si sono lamentati di non essere stati coinvolti – come lo sono anche le ragioni per il suo slittamento, sia ufficiali, sia ufficiose. La motivazione principale pare essere l’insufficienza di fondi – i tecnici sarebbero al lavoro sul testo per trovare soluzioni per reperire coperture necessarie – ma ci sarebbero malumori anche per quanto riguarda il punto spinoso della riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi.

La Repubblica invece, ci vede la mano delle lobby a cui non piaceva una norma prevista sull’end of waste. Ipotesi smentita dal ministro Costa su Facebook: «Sono giorni in cui si sta analizzando e definendo il #DecretoClima e sto leggendo di tantissime preoccupazioni da parte di alcuni settori produttivi. Ma sono infondate! Temono tutti l’articolo 6». L’articolo sulla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, appunto.

https://www.facebook.com/SergioCostaMinistroAmbiente/photos/a.383578745485844/679427235900992/?type=3&theater

Leggi anche: