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Siria, armi italiane tra quelle usate contro i curdi del Rojava. Francia e Germania fanno partire l’embargo

12 Ottobre 2019 - 22:12 Giada Ferraglioni
Da anni Ankara è destinataria di armi "made in Italy". Anche ora che la Turchia ha iniziato l'invasione dei territori curdo-siriani, l'Italia non ha interrotto le forniture militari

L’operazione turca “Sorgente di pace” è iniziata da quattro giorni e le vittime curde sono già quasi 500. Secondo i dati diffusi dalla Rete Italiana per il Disarmo, tra le armi usate dai turchi per decimare i miliziani dello Ypg e i cittadini al nord est siriano ci sono molti esemplari del “made in Italy”.

La Turchia è uno dei principali clienti dell’industria bellica italiana, e nel 2018 sono stati autorizzati 360 milioni di euro di vendite. Secondo la legge italiana 185 del 1990, il nostro Paese non è autorizzato a continuare le forniture ai Paesi in stato di conflitto armato. Ma per ora dal Ministero degli esteri non è arrivato nessuno stop, nonostante Luigi Di Maio abbia definito l’offensiva «inaccettabile».

Nicola Zingaretti, segretario del Pd, è intervenuto nella tardo pomeriggio del 12 ottobre per esortare il governo a valutare lo stop delle esportazioni: «Bisogna fermare l’invasione da parte della Turchia», ha scritto su Twitter. «Il governo italiano, oltre a i provvedimenti che sta adottando, valuti subito il blocco delle esportazioni delle armi alla Turchia». Di Maio dal palco di Italia a 5 Stelle ha promesso che chiederà all’Ue di bloccare la vendita delle armi ad Ankara.

«Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro», ha affermato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete. «In particolare nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro. Tra i materiali autorizzati: armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7mm, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software».

Fonte: Controllarmi, Rete italiana per il disarmo

La Turchia ha iniziato l’offensiva verso la Siria lo scorso 9 ottobre, non appena gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro (poi parziale) delle proprie truppe dai territori curdi del Nord-Est siriano. Nelle ultime 24 ore, l’avanzata verso il Rojava ha causato lo sfollamento di oltre 100mila profughi, oltre ad aver provocato la liberazione di numerosi jihadisti dell’Isis detenuti nelle carceri curde.

Nelle ultime ore le truppe di Recep Tayyip Erdogan hanno bombardato Kobane, città cuore e simbolo della regione autoamministrata curda-siriana, colpendo anche il checkpoint americano. Recentissimo è l’annuncio del raggiunto di Tel Abyad, nel nord della Siria, ultimo baluardo della resistenza miliziana curda.

«Il problema sono gli attacchi aerei», ha detto la comandante delle Ypg Dalbr Jomma Issa durante una conferenza stampa a Montecitorio. «Non abbiamo mezzi per fermarli. E, fino a ora, l’offensiva del regime di Erdogan si sta concentrando appunto sui bombardamenti delle città al confine settentrionale».

I Paesi che hanno richiesto l’embargo

L’ultima notizia arriva dalla Francia che ha deciso di «sospendere qualsiasi progetto di esportazione verso la Turchia di materiale da guerra che potrebbe essere utilizzato nell’offensiva in Siria». Lo ha comunicato il Quai d’Orsay, precisando che «la decisione ha effetto immediato».

La stessa decisione era stata presa oggi dalla Germania, che ha deciso di fermare le vendita di armi alla Turchia. Ad annunciarlo è stato il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas alla Bild am Sonntag, che intende ostacolare l’offensiva di Ankara ai danni dei curdi. Nel 2018, la Germania ha venduto alla Turchia armi per un totale di 240 milioni di euro.

Già giovedì 10 ottobre erano iniziati i primi stop, con la ministra degli esteri svedese Ann Linde che aveva chiesto l’embargo verso il Paese di Erdogan. Secondo l’Ispettorato statale svedese per i prodotti strategici (ISP), nel 2018 il Paese scandinavo ha consegnato in Turchia prodotti per la difesa per un valore complessivo di 300 milioni di corone (circa 30 milioni di euro) – valore record nella storia della cooperazione militare turco-svedese.

«Pensiamo che ciò che la Turchia stia facendo sia un’escalation della violenza in Siria – ha affermato Linde – un crimine contro il diritto internazionale e un’azione militare ingiustificabile. I curdi pagheranno un prezzo elevato, invece dovremmo ringraziarli per il loro contributo alla lotta contro lo Stato Islamico».

Anche i Paesi Bassi hanno affermato di non volersi rendere complici delle operazioni della Turchia in Siria, decidendo di fermare le esportazioni di armi verso Ankara. La stessa posizione è condivisa anche dalla Norvegia e dalla Danimarca. Quest’ultima ha anche dichiarato di volersi fare portavoce per imporre un cambio di rotta generale in Europa.

Mappa dell’avanzata turca e della zona dei confiltti. Fonte: https://turkey.liveuamap.com/en

Gli interessi dell’Ue in Turchia

Oltre gli alti fatturati della vendita di armi nel Paese, la Turchia è per l’Unione Europea anche uno strategico alleato per la lotta alle migrazioni e all’immigrazione. Nel 2016, L’Ue e il Paese turco hanno firmato un accordo per controllare i flussi dalla Siria e dal Medio Oriente più in generale, rendendo di fatto la Turchia il confine esternalizzato dell’Europa e artefice di respingimenti di massa.

La questione dei migranti siriani ha un peso importante nel conflitto appena scoppiato: Erdogan minaccia «milioni di rifugiati in Europa» se l’operazione militare per creare una “zona sicura” non andrà a buon fine. La motivazione che ha dato Ankara per i raid è infatti quella di voler creare una «zona cuscinetto» al confine siriano dove ricollocare i rifugiati attualmente in Turchia, che serva ad allontanare ulteriormente quelli che vengono definiti da Erdogan «terroristi curdi» dai suoi territori.

Erdogan definisce i miliziani dello Ypg curdi “terroristi” perché considerati alleati del Pkk, il partito curdo-turco nemico di Erdogan, il quale fondatore Abdullah Öcalan è detenuto nelle carceri turche dal 1999. A fronte anche delle ultime elezioni a Istanbul, dove il candidato del presidente è stato sconfitto dall’oppositore Ekrem Imamoglu (considerato vicino ad alcuni rami curdi), Erdogan è intenzionato a qualsiasi cosa pur di non veder minato il proprio potere.

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