Coronavirus, la rabbia degli infermieri: «Vogliamo sapere quanti dei nostri sono stati infettati» – L’intervista

«Costretti a lavorare con turni massacranti e senza protezioni adeguate. E il governo non ci dice quanti di noi hanno il virus»

«Vogliamo sapere quanti sono gli infermieri contagiati dal Coronavirus. Così sarà chiaro che cosa vuol dire essere in prima linea, fare turni massacranti e non avere neanche l’adeguata protezione». Antonio De Palma, infermiere e presidente di Nursing Up, sindacato di categoria, accusa il governo e la protezione civile di essere rimasti in silenzio di fronte alla richiesta. E attacca duramente la gestione dell’emergenza: «Capisco l’affanno, ma ci sono cose che non possono passare inosservate. Quello che sta succedendo in Italia con gli infermieri grida vendetta. In una società che si qualifica come civile, in un sistema sanitario come il nostro che si fregia di essere tra i migliori al mondo, e io sono d’accordo, com’è possibile che ci troviamo ad affrontare la battaglia contro il Coronavirus senza avere i dispositivi di protezione individuale? Com’è possibile che con questa disorganizzazione si faccia soltanto appello al senso civico della gente?».


De Palma non ha dubbi su chi sia il responsabile di questa situazione: «L’articolo 117 della Costituzione prevede in maniera esplicita che di fronte a problemi di crisi sanitarie internazionali la competenza sia dello Stato. Il ministero della Salute avrebbe dovuto prendere immediatamente in mano la situazione e poiché ha funzioni di coordinamento avrebbe dovuto impartire alle aziende sanitarie delle disposizioni univoche, valide per tutto il territorio nazionale. Indipendentemente dalle Regioni, così da garantire ai cittadini un livello di assistenza uniforme. Invece è successo di tutto».


«Diteci quanti sono stati infettati»

Al 15 marzo, secondo l’Istituto superiore di sanità, sono 2.206 gli operatori sanitari che sono stati contagiati. «Abbiamo chiesto pubblicamente di fornirci un dato più preciso perché crediamo che il 90% degli infetti sia composto da infermieri. Ce lo fa pensare il fatto che siamo noi gli unici operatori che vivono a contatto 24 ore su 24 con i pazienti affetti da Covid-19. Siamo molto più esposti dei medici. Eppure siamo costretti a lavorare senza gli adeguati dispositivi di protezione individuale».

«Abbiamo inviato una pec al presidente del Consiglio e al ministero della Salute, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta. Pretendiamo di sapere quanti colleghi si sono ammalati: ricevuto questo dato, tutti dovranno ammettere che l’indice di rischio è maggiore per gli infermieri, poi per i medici e in terzo luogo per gli altri operatori». Nonostante il rischio elevatissimo e la carenza di mascherine, «il governo ha cancellato le garanzie contrattuali degli infermieri dando la possibilità alle aziende sanitarie di farci lavorare oltre ogni limite orario».

La Protezione civile ha risposto a Open che i dati richiesti sono reperibili sul sito dell’Istituto superiore di sanità. Nei diversi bollettini, però, il dato è relativo a tutto il personale sanitario e non alle diverse categorie, come chiedono gli infermieri. L’ufficio stampa dell’Istituto superiore di sanità non ha risposto alla nostra richiesta di conoscere la stratificazione del dato.

La mancanza di dispositivi di protezione

Il problema delle mascherine è noto, ma De Palma non accetta che si possa chiedere agli infermieri di fare turni di oltre 32 ore senza che possano proteggersi. «Il fatto di dotare gli infermieri di mascherine senza i requisiti previsti è gravissimo: non siamo cittadini comuni, siamo persone che stanno a diretto contatto con le persone infette. Per esperire le pratiche assistenziali non si ha la possibilità di rispettare il metro, ad esempio per eseguire la manovra di pronazione. Nell’esercizio della nostra attività abbiamo bisogno più dei medici e di chiunque altro di indossare le mascherine FFP2 o FFP3».

«Ignorati dal governo»

Il rappresentante degli infermieri aggiunge: «Se, fino a ieri, un infermiere entrato a contatto con una persona infetta veniva messo in quarantena, adesso, per effetto della mancanza di professionisti, si cambiano le regole della razionalità scientifica: ora gli infermieri e tutto il personale sanitario possono lavorare comunque. Con il risultato che, in queste condizioni, potenzialmente, sono un veicolo di contagio rilevante».

E conclude: «C’è una carenza di medici, è vero, ma la carenza di infermieri è decisamente più rilevante. E lo dicono i dati Ocse, non il sindacato. Ci siamo trovati ad affrontare l’emergenza sanitaria con queste carenze che vengono da lontano. Hanno preparato un decreto che prevede l’assunzione di 15.000 infermieri e non hanno interpellato i sindacati nemmeno una volta. Tra le cose più gravi di quel decreto è il tipo di assunzione, a tempo determinato. Io invito ogni cittadino di buon senso a chiedersi se, in uno stato di emergenza e con un rischio elevatissimo per la propria salute, accetterebbe di lavorare per il sistema sanitario nazionale consapevole che, finita l’emergenza, perderà il lavoro».

Il parere degli esperti

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