Se il benessere dei lavoratori passa anche per la digitalizzazione (e la defiscalizzazione) del welfare aziendale

di Antonio Longo

Con la pandemia il lavoro si fa sempre più digitale. E di pari passo avanza anche la digitalizzazione del welfare aziendale

Il processo di digitalizzazione del lavoro trova uno snodo cruciale anche nella digitalizzazione dei servizi di welfare offerti ai dipendenti. Si tratta di una tendenza inarrestabile soprattutto nel mondo post Covid-19 in cui le aziende stanno ideando formule di collaborazione sempre più agili e rivolte al cosiddetto «life-work balance». Il tema della digitalizzazione dei servizi di welfare aziendale è nell’agenda di molte multinazionali, ma anche di piccole e medie imprese italiane che vedono in queste formule schemi di offerta al passo con le esigenze dei lavoratori, soprattutto millennials


Bisogna però farsi trovare pronti anche dal punto di vista legale e fiscale. Se è vero che la digitalizzazione dei processi genera in molti casi efficienze amministrative, dall’altro lato la velocità con cui questa avviene può non essere allineata all’evoluzione normativa in materia di diritto del lavoro e fiscale. In questo contesto, è interessante quanto emerso dai chiarimenti forniti qualche giorno fa dall’Agenzia delle Entrate (risposta ad interpello n. 338 dello scorso 10 settembre) in materia di cosiddetti «welfare voucher». 


Il caso trae origine da un complesso quesito posto da una società operante nel settore del welfare aziendale, che ha messo a disposizione di una sua consociata una piattaforma digitale attraverso cui i dipendenti possono scegliere i servizi welfare più consoni alle esigenze proprie e dei propri familiari. In particolare, il provider ha il compito di acquistare i servizi attraverso specifiche convenzioni con i fornitori («merchant») sulla base di un mandato senza rappresentanza conferito dalla stessa società del gruppo.

Il dipendente, una volta scelto il servizio welfare sulla piattaforma, riceve un voucher da «spendere» presso il fornitore che verrà poi pagato dalla società proponente i servizi di welfare. Molti sono i temi fiscali che ruotano attorno a questa fattispecie, ma gli aspetti più rilevanti sia per i dipendenti sia per la società possono essere così sintetizzati. 

La detassazione per i dipendenti

Il nostro ordinamento consente di assegnare prestazioni welfare anche mediante documenti in formato cartaceo o elettronico. In tal caso il titolo di legittimazione non deve costituire una erogazione sostitutiva di denaro, ma qualificarsi come rappresentativo di una specifica utilità (in specie il servizio scelto dal dipendente). Inoltre, di regola il voucher deve dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale.

Ne consegue la necessaria esatta corrispondenza tra il valore indicato nel voucher e quello della prestazione offerta. Il voucher welfare (disciplinato dal DM 25 marzo 2016) consente al lavoratore dipendente di rimanere estraneo al rapporto economico che si instaura tra la società datrice di lavoro  e il terzo provider del servizio. Altra caratteristica  necessaria è che i servizi offerti siano rivolti alla generalità dei – o a categorie di – dipendenti  (non si deve trattare di servizi «ad personam»). 

Al ricorrere di queste caratteristiche, che devono essere appositamente disegnate dal piano di welfare, i benefit prescelti non concorrono alla formazione  del reddito di lavoro percepito dal dipendente. Vi è poi un ulteriore aspetto che riguarda maggiormente le casse della società: la tassazione dei buoni ai fini dell’IVA. I voucher welfare emessi per conto del datore di lavoro in favore dei dipendenti si qualificano come veri e propri «buoni-corrispettivo» regolamentati dalla normativa comunitaria (Direttiva 2016/1065 e Direttiva 2006/112/CE). 

Questi documenti, infatti, non solo «digitalizzano» l’obbligo di essere accettati come corrispettivo, ma anche il relativo diritto a ricevere dai «merchant» i beni e i servizi indicati. Il momento impositivo ai fini dell’IVA, da cui sorge l’obbligo di fatturazione  cambia, tuttavia, in funzione delle caratteristiche del voucher.

Se si tratta di buoni «monouso» per cui al momento dell’emissione la disciplina Iva del servizio incorporato è certa (da intendersi come certezza circa la territorialità dell’operazione, la natura qualitativa e quantitativa dei benefit offerti oltre che il regime IVA applicabile alle cessioni di beni o ai servizi incorporati), l’Iva si rende dovuta all’emissione. Viceversa, il voucher si qualificherà come multiuso e l’imposta sarà dovuta al momento dell’utilizzo presso il fornitore.

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