In Italia la patrimoniale resta un miraggio. L’economista Roventini: «L’opposizione del M5s? Anche loro vittime del tabù»

Il professore della Scuola Superiore Sant’Anna ha spiegato a Open perché in Italia non si può parlare di tasse sui ricchi. E perché nemmeno il M5s, partito a lui vicino, la vuole sentir nominare

Sono poche le parole in grado di scatenare bufere nei partiti come “patrimoniale“. Come ogni volta che viene pronunciata, anche stavolta l’ipotesi di un’imposta sui redditi elevati proposta dall’emendamento alla Manovra da Leu e alcuni parlamentari del Partito Democratico – tra cui Matteo Orfini, Chiara Gribaudo, Giuditta Pini, Fausto Raciti e Luca Rizzo Nervo – ha suscitato le reazioni immediate di maggioranza e opposizione. Se da un lato i firmatari propongono la cancellazione dell’Imu (la tassa sulla casa), dall’altro ipotizzano un’aliquota progressiva (dallo 0,2% al 2%) sui patrimoni a partire dai 500 mila euro fino agli oltre 50 milioni.


Il Movimento 5 Stelle, il Pd e Italia Viva si sono affrettati a sconfessare i firmatari, mentre dai banchi del centrodestra si è gridato all’eresia. E così, mentre tutto l’Occidente dibatte sull’effettiva validità dell’ipotesi per fronteggiare le diseguaglianze esasperate dal Coronavirus, in Italia il discorso resta bloccato sul nascere. In Europa e nel mondo non mancano gli economisti e i capi politici che stanno iniziando a fare i conti con la possibilità.


Il caso più evidente è quello della Spagna di Pedro Sanchez e Pablo Iglesias, che, pur di non riaprire le ferite dei debiti con l’Unione Europea (e scongiurare il Mes e i prestiti del Recovery Fund), ha inserito nella bozza di Bilancio un aumento delle imposte sui grandi gruppi aziendali e sui redditi a partire da 200 mila euro. A rimpolpare il dibattito ci sono stati anche importanti economisti, come il francese Thomas Piketty, e figure politiche di rilievo, come l’ex candidata alle primarie del Partito democratico statunitense Elizabeth Warren.

A luglio di quest’anno, inoltre, 83 milionari provenienti dagli Stati Uniti, dal Regno Unito, dalla Germania, dalla Nuova Zelanda, dal Canada e dai Paesi Bassi hanno pubblicato una lettera aperta sulla rivista Forbes, per chiedere di essere tassati di più per il bene di tutti. «A differenza di decine di milioni di persone in tutto il mondo – scrivevano i milionari – non dobbiamo preoccuparci di perdere il nostro lavoro, le nostre case o la nostra capacità di sostenere le nostre famiglie a causa della Covid. Quindi, per favore, tassateci». In Italia i partiti politici faticano ancora a parlare di tasse come strumento per abbattere le differenze sociali – anche alla luce del fatto che, va detto, la forbice tra ricchi e poveri è molto meno evidente di quanto non lo sia in altri Paesi (in primis gli Usa).

«La verità è che nel nostro Paese stiamo affrontando il tema in maniera provinciale», ha spiegato a Open l’economista Andrea Roventini, professore alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Roventini è stato anche tra i nomi preferiti dal M5s per la formazione della squadra del governo Conte I (in veste di ministro del Tesoro). «Sono vicino al Movimento – ha detto – ma riconosco che anche loro sono vittime del tabù sulla patrimoniale. E questo non ha senso, visto che sarebbe necessario quantomeno discuterne».

ANSA/ALESSANDRO DI MEO | Andrea Roventini durante la presentazione della squadra di ministri M5s a Roma, 1 marzo 2018

Professor Roventini, pensa che la patrimoniale potrebbe essere uno strumento sensato per ridurre le disuguaglianze esasperate dalla crisi da Coronavirus?

«Penso di sì. Tutto l’Occidente è ormai caratterizzato da una crescente disuguaglianza di reddito e di ricchezza tra i cittadini, soprattutto negli Stati Uniti. Ma mentre lì si è aperto un dibattito, qui in Italia non se ne discute. La patrimoniale è infatti uno degli strumenti da utilizzare per ridurre le differenze di ricchezza. Ma certo non possiamo pensare che sia il “proiettile d’argento” che risolva una questione così complessa».

Quindi da sola non basta.

«La patrimoniale è solo uno delle tre politiche che, a mio parere, andrebbero prese in considerazione. Una di queste è un’imposizione fiscale sulle successioni (la tassa sull’eredità, ndr). Da questo punto di vista, studi recenti hanno mostrato che l’ammontare medio dei lasciti in Italia è aumentato e, soprattutto, si sta progressivamente concentrando. L’altro grande pilastro è una riforma generale della fiscalità sui redditi che è presente nella Legge di Bilancio. L’Irpef va resa più progressiva e ri-riempita di tipologie di redditi che sono state assoggettate a regimi differenti. Ormai l’Irpef la pagano solo i lavoratori dipendenti!».

Una delle obiezioni principali è stata la seguente: tassando quelle fasce sociali proposte dall’emendamento, in Italia si raccoglierebbero appena 10 miliardi di euro.

«Proprio per questo dico che c’è bisogno di accompagnarla ad altre misure. D’altra parte bisognerebbe discutere su dove andrebbero questi soldi: a cosa servono? La patrimoniale sarebbe utile anche per raccogliere risorse per pagare i costi della crisi del Covid-19, ad esempio»

Occorrerebbe chiarire anche come verrebbero utilizzati i soldi raccolti?

«Assolutamente sì. Le opzioni in ballo sono diverse: ad esempio si potrebbe puntare su politiche di pre-redistribuzione, con un aumento della spesa per la sanità, l’istruzione e la ricerca. Ma si può pensare anche di distribuire le risorse raccolte a favore delle famiglie in difficoltà. Oppure ancora, come ipotizzato dal Forum Disuguaglianze Diversità, si potrebbe usare il gettito per ridurre il gap generazionale, fornendo una dotazione ai giovani che compiono 18 anni».

Un’altra obiezione è che buona parte dei capitali da tassare non si trovano nei beni immobili, ma nelle azioni. Per alcuni diminuire le cifre di investimento danneggerebbe il mercato. È così?

«Mi sembra che questa sia un’argomentazione da rentier che può usare solo l’1% della popolazione. Diciamo chiaramente che l’economia non ne risentirebbe poi così tanto: l’andamento dei mercati non dipende dai redditi di queste persone. Anzi, le stesse risorse potrebbero essere più produttive se impiegate per la sanità, l’istruzione e gli investimenti pubblici. Comunque, è bizzarro che negli Stati Uniti molti miliardari come Bill Gates e Warren Buffett vogliono pagare più tasse, mentre in Italia non se ne può nemmeno parlare».

Perché resta così tanto un tabù anche per la sinistra?

«Perché la sinistra ha smesso di fare la sinistra. Si è abbracciata la terza via di Clinton e Blair, che in Italia ha trovato il suo apice con il governo Renzi. Ora piano piano stiamo tornando a temi come la giustizia sociale, ma ci vorrà del tempo».

Lei è per alcuni versi vicino al M5s. Come mai il Movimento la rifiuta in toto?

«È un tabù per tutti i politici di qualsiasi partito, compresi quelli del Movimento. Nel linguaggio politico non conviene usare questa parola, perché resta ancora intatto il mantra del dover ridurre le tasse a ogni costo. Ma ciò non fa bene né al dibattito politico, né alla politica economica italiana».

Immagine di copertina: Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

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