Quelli che minimizzano, contestualizzano, relativizzano: la confusione scientifica ha favorito il virus?

di Angela Gennaro

L’attacco di Galli e Crisanti per una comunicazione troppo “leggera” – da parte di alcuni specialisti – di fronte all’aumento esponenziale dei contagi

Mentre il quotidiano bollettino della Protezione Civile e del ministero della Salute registra record su record di nuovi casi di contagio da Coronavirus in tutta Italia, e la politica prova a correre ai ripari, c’è chi invoca l’esame di coscienza. Le terapie intensive ancora reggono, ma, dice il virologo Andrea Crisanti, abbiamo perso la capacità di tracciamento. E l’idea di focolai chirurgici (per evitare insostenibili serrate generalizzate) va a farsi benedire.


«L’appello al buonsenso va fatto agli italiani», avverte in queste ore Massimo Galli, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Sacco. Tra esperti e scienziati, in un’epoca in cui (secondo Piero Angela) il dibattito scientifico avviene in tempo reale e sotto gli occhi di un’opinione pubblica inevitabilmente confusa, Galli è stato fin dagli albori dell’emergenza sanitaria tra i più cauti. Perché sa che la parola di un infettivologo, un primario, una virologa, una scienziata ha un suo peso di fronte a un’opinione pubblica alle prese con una pandemia.


E manda in queste ore “frecciatine” a quei colleghi la cui comunicazione a suo dire minimizzante avrebbe contribuito ad alimentare nella cittadinanza un relax che no, non potevamo permetterci. E parole «eccessivamente rassicuranti o addirittura di negazione», dice Galli, hanno contribuito secondo lui alla diffusione del virus. «Se non andiamo tutti nella stessa direzione, andremo a sbattere».

Il virus? «È clinicamente morto»

ANSA/MOURAD BALTI TOUATI | Alberto Zangrillo, primario del San Raffaele di Milano, 4 settembre 2020

Nella top ten della comunicazione che ha destato polemica, al primo posto va senza dubbio una ormai celebre frase del professor Alberto Zangrillo. È fine maggio quando il primario del San Raffaele di Milano – conosciuto come medico di Silvio Berlusconi – diventa noto ai più con una frase che è destinato a non scrollarsi più di dosso, pronunciata in un’intervista a Lucia Annunziata a 1/2 ora in più, su Rai 3. «Clinicamente il nuovo Coronavirus non esiste più». Posizione che conferma anche nei giorni seguenti.

«Ci sono persone che muoiono col Covid, ma muoiono di tutt’altro. Non voglio minimizzare, il virus esiste, ma a livello subclinico», dice Zangrillo il 17 giugno in collegamento con Massimo Giletti a Non è l’arena.

Il 2 settembre il suo assistito più famoso, l’ex Cavaliere Silvio Berlusconi, viene trovato positivo al coronavirus e va ad aggiungersi alla lunga lista di politici che lo hanno contratto. «È stata la prova più pericolosa della mia vita. Ma l’ho scampata bella», dirà il fondatore di Forza Italia dieci giorni dopo all’uscita dall’ospedale. «A marzo sarebbe morto con una carica virale così alta», commenta Zangrillo il 10 settembre. E sul virus: «Non è mutato ma si manifesta in forma diversa».

La frase sul virus “clinicamente morto” non gli è sfuggita, spiega poi il direttore di terapia intensiva del San Raffaele. Ma «per colpa mia – ha dato interpretazioni che non volevo». Parole del genere, insomma, vanno dette «tenendo conto dell’opinione pubblica, bisogna assumersi la responsabilità di dare una informazione corretta. Ho sbagliato e chiedo scusa», prosegue. «Nessuno però è mai riuscito a smentirmi e fortunatamente continuiamo ad assistere a questo tipo di evidenza», chiosa. Raggiunto in queste ore da Open, spiega di non voler rilasciare ulteriori dichiarazioni nell’ambito della polemica rilanciata da Galli e Crisanti.

E Bassetti?

ANSA/LUCA ZENNARO | L’infettivologo Matteo Bassetti durante il suo intervento al Forum Ambrosetti dedicato alla Liguria, Genova, 14 Luglio 2020

All’attacco, anche in questo caso, è andato sempre Galli, dandogli solo pochi giorni fa del «ballista» e «farneticante». Per altri, le posizioni di Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova sono solo “ragionevoli” e contestualizzate, con un costante invito a non cedere alla paura. I dati di queste ore «sono importanti», spiega a Open. «Guardando l’indicatore della percentuale di positivi su tamponi vediamo una salita lenta, progressiva, praticamente raddoppiata nelle ultime due settimane. Però bisogna sempre guardare l’indicatore del numero di tamponi fatti, col record assoluto di quasi 170mila oggi e quasi un milione nella settimana». È normale aspettarsi quindi questi numeri, prosegue. E che aumentino le ospedalizzazioni e i ricoveri di terapia intensiva.

«Siamo preoccupati, certo, perché dobbiamo trovare un posto letto per tutti. C’è una circolazione di virus importante, un’anticipazione di almeno tre-quattro settimane rispetto a quello che si poteva pensare succedesse tra novembre e dicembre. È cominciato il freddo, le persone stanno al chiuso e la circolazione così è favorita. Ma siamo ancora lontani dalle soglie di paura, siamo a 550 ospedalizzati in terapia intensiva. Eravamo a oltre 4200», prosegue Bassetti. «Siamo al 10% della capienza a cui eravamo arrivati, e che a marzo-aprile riguardava solo alcune regioni, mentre oggi il contagio è molto più distribuito a livello nazionale. Siamo ancora lontani dalla situazione di allora, insomma. È chiaro che se ogni giorno aumentano di 100 unità le TI la situazione diventa sempre più complicata».

L’infettivologo fa riferimento, dice, alla sua esperienza, «non a tutta Italia»: «In questo momento ho 40 ricoverati in malattie infettive e ho solo un casco. A marzo avevo 40 ricoverati in TI e 35 caschi. Siamo più bravi, abbiamo delle terapie, li intercettiamo prima». Quindi rimanda al mittente tutte le polemiche su una comunicazione troppo “ottimista” che avrebbe favorito l’inopportuno relax di italiani e italiane? «Che qualcuno abbia usato espressioni forti come quella del ‘virus clinicamente morto’, mi sembra lo abbia riconosciuto lo stesso Zangrillo, così come che forse era una frase che si poteva evitare», chiosa Bassetti. «Sul fatto di dire che oggi siamo più bravi a gestire questa infezione… Allora non dovremmo neanche dire alla gente che oggi curiamo il tumore al polmone perché sennò vuol dire che li facciamo fumare».

È giusto, rilancia l’infettivologo, dire «alla gente che facciamo progressi nella gestione di una malattia. Se ho delle buone notizie, le do. Ho sempre richiamato all’uso di mascherine e distanziamento. Basta andare a vedere cosa è successo quando ho detto alle persone di vaccinarsi: il mio profilo è stato inondato di minacce e insulti. Oggi sentire da alcuni che questi contagi sono colpa di chi ha detto che la malattia è più gestibile mi fa sinceramente schifo».

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