Quirinale, la corsa di Berlusconi: i voti mancanti e il «fuoco amico» contro il Cavaliere

Mancherebbero all’appello 52 voti ma l’ex premier sembra essere convinto di poterli pescare anche fuori dal centrodestra. Nonostante le prime uscite pubbliche scettiche sulla sua elezione

Il tempo stringe e il sogno di Silvio Berlusconi di diventare presidente della Repubblica si fa sempre più concreto (o per i detrattori, sempre più lontano). La corsa al Quirinale entrerà nel vivo a gennaio – ormai manca pochissimo – ma il numero uno di Forza Italia è già con la calcolatrice in mano per capire quanti voti gli mancano per salire al Colle. Al momento il centrodestra, che dice di voler votare compatto il Capo dello Stato, può contare su 452 voti mentre il centrosinistra su 436. Per spuntarla bisognerà superare la soglia di 504 voti. Dunque mancherebbero all’appello ancora 52 voti. Non pochi, in realtà, anche se Berlusconi sembra essere convinto di poterli pescare anche fuori dal recinto del centrodestra, facendo convergere addirittura 150 grandi elettori che sono estranei alla sua coalizione. E i franchi tiratori? Nessun problema a quel punto non avrebbero alcun rilievo secondo il Cavaliere. A giurargli fedeltà sono anzitutto Salvini e Meloni, seguiti da Toti e ovviamente da Tajani e Ronzulli. Meloni lo ha fatto pubblicamente parlando della necessità di un presidente della Repubblica «patriota» e facendo proprio il nome di Silvio Berlusconi. Anche perché, al di là delle simpatie personali, tutti sanno che se il centrodestra si spacca in occasione del voto del presidente della Repubblica, la coalizione rischia di frantumarsi. «Senza Berlusconi il centrodestra non c’è più», per usare parole di Enrico Letta. Ma è anche vero che l’elezione a Capo dello Stato di Berlusconi porterebbe quasi sicuramente alle dimissioni dell’esecutivo. Lo scontro, dunque, è aperto ma a parlare sono e saranno i numeri.


Cosa sta succedendo

Il collegio dei “grandi elettori” – dunque del Parlamento che si riunirà in seduta comune per eleggere il Capo dello Stato – è formato da 1.009 membri: 630 deputati, 315 senatori, 6 senatori a vita e 58 delegati regionali (che sono quelli che potrebbero fare la differenza, sono 3 per regione, tranne la Valle d’Aosta che ne esprime solo uno). Al momento, però, i componenti sono 1.006, tre in meno: resta vacante il seggio del nuovo sindaco di Roma, Roberto Gualtieri (si voterà il 16 gennaio 2022) mentre al Senato risultano ancora vacanti due seggi. È verosimile che alla fine i grandi elettori saranno 1.007. Il presidente della Repubblica, visto il ruolo delicato e di unità che riveste, deve essere letto con una maggioranza qualificata dei due terzi dell’assembra, ovvero 671 grandi elettori. Solo dalla quarta votazione è sufficiente la maggioranza assoluta, in questo caso 504 voti. Ed è qui che Berlusconi potrebbe entrare in scena. La strategia del centrodestra potrebbe essere questa: scheda bianca per le prime tre votazioni – tanto è impossibile raggiungere un risultato prima – salvo poi sfoderare il proprio nome, il proprio “cavallo di battaglia”. I voti su cui Berlusconi può contare sono, dunque, 452 tra Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia contro i 436 di Pd, Movimento Cinque Stelle (che ha espresso uno no secco al Cavaliere, nonostante l’apertura al reddito di cittadinanza) e Leu.


I “no” che gelano il Cavaliere

A questi bisognerà aggiungere i voti del gruppo Misto e dei delegati regionali che, in parte, restano un’incognita e su cui si giocherà la vera partita del Quirinale. Berlusconi, dunque, punta a convincere anche quei grandi elettori che temono di non essere rieletti nel caso in cui si dovesse andare a elezioni anticipate. Perché, se tornasse in campo l’ipotesi Draghi al Quirinale, potrebbe aprirsi una crisi di governo con un ritorno immediato alle urne. Un timore sia per alcuni esponenti del gruppo Misto sia per alcuni grillini che, visto che il voto è segreto, potrebbero appoggiare il leader di Forza Italia. Eppure iniziano a emergere anche “generali” del centrodestra che iniziano a lasciare da solo il loro storico “capitano”: è il caso del Senatur Umberto Bossi che, in un’intervista a La Stampa, sostiene che il prossimo Capo dello Stato potrebbe essere Casini. «Ricordiamoci sempre che il presidente della Repubblica è anche il capo dei magistrati. E i magistrati sappiamo che rapporto hanno con Berlusconi», ha spiegato. Da qui la profezia (che farà infuriare il Cavaliere): «Volete sapere come andrà a finire? Dovrebbe farcela Casini». Più duro, invece, Giuliano Urbani, uno dei pionieri di Forza Italia, ex ministro dei governi Berlusconi secondo cui il Cavaliere è un candidato «divisivo»: «In questo momento storico al Paese serve una presidenza che unisce, non che divide. Come è stata quella di Mattarella. Berlusconi sarà capace di cambiare pelle? Ma soprattutto, gli altri lo accetteranno?», ha detto a Repubblica. Si sfila anche il partito guidato da Matteo Renzi: «Serve un presidente della Repubblica che abbia un ampio consenso in Parlamento. E Berlusconi non ha queste caratteristiche», ha detto il coordinatore nazionale di Italia Viva, Ettore Rosato ad Affaritaliani.it.

La strategia del centrodestra

Il centrodestra, insomma, sta facendo credere che al momento non esistano piani alternativi a Berlusconi presidente. Ma la verità potrebbe essere un’altra. Nessuno – come scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera – controlla i propri gruppi, tranne Meloni che inizia a fiutare anche un possibile e futuro posto da premier. Quindi, nessuno si fida di nessuno e intanto di piani B non si parla, nemmeno all’ultimo pranzo del centrodestra dove «tutti guardavano nel piatto per evitare l’imbarazzo della situazione». L’unica a prendere parola è stata la leader di Fratelli d’Italia che ha chiesto alla colazione di esprimere compatta il no a un Mattarella bis o a un Draghi al Quirinale senza, però, sciogliere le Camere. A questo si aggiunga la richiesta di votare scheda bianca nelle prime tre votazioni «così da impedire ogni possibile accordo preventivo». Eppure, se l’ipotesi Berlusconi dovesse sfumare, potrebbe essere proprio lui a dire di sì a Draghi Capo dello Stato evitando, dunque, che a scegliere il presidente sia ancora una volta il centrosinistra, magari coi voti dei centristi. Nel frattempo, però, Berlusconi prova a compattare il centrodestra e si prepara – con dichiarazioni non più urlate, con toni sempre pacati, con appoggi incondizionati agli alleati come è successo per il ddl Zan e addirittura senza la spilletta di Forza Italia nel messaggio di auguri di Natale – a diventare (spera lui) il prossimo presidente della Repubblica.

Foto in copertina di repertorio: ANSA/LUIGI SALSINI

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