Accordi bilaterali e timori sulla tenuta del governo: cosa c’è dietro lo scontro sulla candidatura di Belloni

Tra i partiti che sostengono la presidente del Dis montano i malumori. Sullo sfondo restano vive le opzioni Casini, Mattarella e Cartabia

«Non è che possono chiudersi in una stanza, decidere un nome e pretendere che noi lo accettiamo a priori. Io Belloni non la voto». Un grande elettore del Pd, nel Transatlantico ormai semi deserto, scorre le agenzie stampa sul cellulare. Il nome di Elisabetta Belloni è rimbalzato ovunque dopo che Matteo Salvini e Giuseppe Conte hanno dichiarato che si stava lavorando alla candidatura congiunta di una donna. «Due tecnici, uno a Chigi e uno al Quirinale? Non esiste. Piuttosto Sergio Mattarella», dice una parlamentare leghista. L’elemento portante di questa giornata, alla Camera, è che nessuno dei leader dei partiti ha davvero sotto controllo i propri gruppi. Tutt’altro: dai parlamentari M5s che questa mattina sono stati “bloccati” dai propri compagni di partito per far rispettare l’indicazione di astensione, agli oltre 70 franchi tiratori del centrodestra che hanno carbonizzato, non bruciato, Maria Elisabetta Casellati. Poi, nel sesto scrutinio, l’ennesima manifestazione dello scollamento tra segretari e grandi elettori: l’exploit delle preferenze per Sergio Mattarella, a scapito dell’indicazione di consegnare la scheda bianca nel campo progressista.


Il rischio di una spaccatura nella maggioranza

«È un segnale, è evidente – dice a Open una deputata dem -, dobbiamo cospargerci il capo di cenere e andare a chiedere la disponibilità a Mattarella». Pareva chiuso l’accordo per tentare la candidatura della presidente del Dis. Ma Giuseppe Conte, Enrico Letta – che è stato il meno esplicito dei tre – e Matteo Salvini non avevano fatti i conti né con i propri grandi elettori né con gli altri partiti della maggioranza che sostiene il governo. Per Italia Viva, «che il capo dei servizi segreti in carica diventi presidente della Repubblica è inaccettabile», ha dichiarato Matteo Renzi. «Si tratta di una deriva senza precedenti». Dello stesso parere Forza Italia: «Ci sono molte perplessità». Anche Leu, partito più piccolo ma che è costitutivo di quel campo progressista insieme a Pd e M5s, ha espresso contrarietà: «In un Paese democratico è assolutamente inopportuno che il capo dei servizi segreti diventi presidente della Repubblica». Seppure M5s, Lega e Pd avrebbero, insieme, i numeri necessari per tentare l’elezione di Belloni al settimo scrutinio, andare avanti su questa strada significherebbe creare una spaccatura pericolosa tra i partiti della maggioranza.


Crepe nei partiti che sostengono Belloni

Non solo nella maggioranza di governo, le crepe sono anche nei partiti che sostengono ufficialmente Belloni. Il Pd è balcanizzato: da giorni i parlamentari ritengono un precedente pericoloso consentire il passaggio diretto dal Dis al Colle. E i capi corrente agiscono in maniera così esplicita che il discorso di insediamento del segretario di un anno fa – quello contro il sistema correntizio – suona come una filastrocca per bambini. Andrea Orlando, durante il quinto e il sesto scrutinio, è stato loquace come pochi altri membri del suo partito. Mentre Simona Malpezzi veniva cooptata dalla forzista Anna Maria Bernini – forse per sondare la carta Pier Ferdinando Casini -, il ministro del Lavoro cercava di spiegare a quanti più delegati possibile la necessità di chiedere un secondo mandato a Mattarella. Dario Franceschini, invece, avrebbe provato a indirizzare qualcuno verso Casini. Il segretario, che ha dovuto abdicare alla sua stessa linea pro Draghi al Colle in virtù del compromesso con Conte e Salvini, ha a che fare con questo sistema di partiti.

Le divisioni nel M5s

Anche il Movimento 5 stelle, altro sponsor ufficiale di Belloni – Beppe Grillo l’ha gridato ai quattro venti sui social -, è tutto fuorché compatto sul suo nome. Il ministro Federico D’Incà ha fatto campagna per Mattarella nel corso della giornata. Luigi Di Maio, con una nota, si è posto di traverso alla scelta di Belloni, anche se due giorni fa, in Transatlantico, aveva risposto così a una nostra domanda sulla sua candidatura: «Elisabetta è una sorella». «Trovo indecoroso – ha detto alle 22.20 di oggi, 28 gennaio – che sia stato buttato in pasto al dibattito pubblico un alto profilo come quello di Elisabetta Belloni. Senza un accordo condiviso». Insomma, il nome di Belloni si scontra con tre livelli di disgregazione: nella maggioranza di governo, nelle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra e nei partiti, con il cortocircuito istituzionale che vedrebbe nel passaggio dai servizi segreti alla presidenza della Repubblica un rigurgito della politica partitica contro la collocazione simultanea di due tecnici nei palazzi apicali della politica, il Quirinale e Chigi, dove resterebbe Mario Draghi.

Un tentativo di depistaggio dietro il nome di Belloni?

Mentre i grandi elettori del Pd pubblicano comunicati duri sulla decisione di Belloni, sorge il dubbio che, in realtà, il suo nome sia stato fatto per disorientare gli avversari e la stampa su quella che sarà la vera mossa dei leader delle forze che reggono il governo. Esiste un accordo bilaterale tra Conte e Salvini? Sono diversi i parlamentari dell’area progressista che mormorano l’ipotesi tra i corridoi del Transatlantico. Di certo, appare scelta incauta quella di spifferare sottovoce alla stampa – come hanno fatto i leghisti – o proclamare a gran voce – come ha fatto Grillo – il nome del candidato presidente il giorno prima dello scrutinio per eleggerlo. Verrebbe da pensare che l’intento vero sia quello di bruciare Belloni, coprendo con questa notizia il nome vero. Italia Viva e Forza Italia credono ancora che l’operazione Casini possa riuscire. Marta Cartabia è un’altra opzione ancora percorribile, se vengono superate le resistenze grilline. E poi c’è Mattarella per il quale oggi si è mossa una marea di grandi elettori.

Foto: elaborazione grafica di Vincenzo Monaco

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