Mario Draghi e le dimissioni come un “divorzio unilaterale”: «Tutto era stato già deciso»

Un retroscena riepiloga le difficoltà degli ultimi mesi. Salvini che non risponde al telefono e il lapsus di un esponente di centrodestra

La caduta del governo Draghi è frutto di un «divorzio unilaterale». In cui il centrodestra (ovvero: Salvini e Berlusconi) ha sfruttato l’occasione offerta da Giuseppe Conte e il Movimento 5 Stelle. Per anticipare la corsa alle urne a cui puntava dall’inizio. Questo pensa Mario Draghi sulle sue dimissioni secondo un retroscena del Corriere della Sera. In cui si riepilogano le tante difficoltà degli ultimi mesi, con il leader della Lega accusato di non rispondere nemmeno alle telefonate e il Cavaliere pronto a giocare a specchio. «Siete dei rompiscatole», diceva Draghi al termine dei colloqui con alcuni settori della maggioranza: «Tanto lo so che domani vi inventerete un’altra cosa». Per questo, spiega SuperMario, non sarebbe servito a nulla un atteggiamento più accomodante in Senato. «Perché tutto era stato già deciso», conclude il premier in carica ormai solo per gli “affari correnti“.


La ricostruzione del premier

Anche ieri Draghi aveva fatto trapelare alcune delle sue verità sulle dimissioni. In una serie di retroscena circolati dopo l’intervista in cui Berlusconi lo definiva «stanco» aveva fatto sapere di sentirsi «mandato via». Il che è un modo elegante per dire “cacciato“. Il presidente del Consiglio ha fatto anche trapelare la sua «irritazione» per come sono andate le cose. Dicendosi convinto che l’offerta del centrodestra di un nuovo governo senza M5s fosse una trappola. E che il nuovo esecutivo sarebbe durato «un giorno». Nel retroscena a firma di Francesco Verderami si fa un passo in più. La storia comincia dall’«errore di Conte», che spinge Draghi a salire al Quirinale. Lì Sergio Mattarella lo convince invece a presentarsi in Parlamento: «Mi ha detto di andare e io ci vado», avrebbe spiegato ai collaboratori. Ma il «tentativo genuino» di provare a rimettere insieme i cocci della maggioranza si scontrava con la percezione che mancasse la volontà dei partiti di collaborare. Come se questo fosse «l’epilogo naturale delle elezioni del 2018».


Una resa dei conti con lui protagonista involontario. E un aneddoto che si riferisce all’incontro serale di martedì, con il centrodestra, convocato in fretta e furia dopo quello con Letta che aveva provocato le lamentele di Salvini e Berlusconi. «Letta aveva chiesto di vedermi», risponde il premier all’obiezione. «Allora gli ho detto di venire qui. Sarà stato un errore ma…». «Mario», lo interrompe Tajani: «Nessuno di noi ha mai messo in dubbio la tua malafede». Soltanto un lapsus, certo. Ma indicativo del clima costruito intorno a lui. Subito dopo arriva la richiesta di elezioni a marzo in cambio dell’appoggio al governo. «Fosse per me si potrebbe votare anche a febbraio», risponde Draghi, «ma non sono io a decidere la data delle elezioni». Così come la richiesta di tenere fuori il M5s da un nuovo esecutivo avrebbe comunque rotto qualcosa. Perché Draghi si è sempre sentito un premier super partes grazie all’appoggio di gran parte del Parlamento. Così sarebbe cambiato tutto.

«Basta con la politica»

Draghi fa anche sapere che alcune forze politiche – e non è difficile indovinare quali – gli avevano chiesto il permesso di usare la sua immagine per la campagna elettorale. Ponendosi come una continuazione dell’esperienza del suo esecutivo. «Lasciatemi fuori», è stata la prima reazione. La seconda è stata ancora più convinta: «Basta con la politica. Ho altre idee per me in futuro». Le altre ricostruzioni, come quella di Renzi su Franceschini e Speranza che cercano di convincere Conte a votare la fiducia, sembrano stare più sullo sfondo. Anzi, il premier riconosce che il ministro della Cultura si è «adoperato per ricucire» ed evitare la crisi. Ora ha intenzione di completare il lavoro fatto – il Decreto Aiuti Bis è il primo punto all’ordine del giorno – e poi lasciare al nuovo governo le incombenze più politiche. «D’altronde – dicono i suoi collaboratori – era la prima volta nella sua lunga esperienza che si trovava con tante persone intorno. Nemmeno alla Bce».

Il pranzo da Berlusconi per decidere su Draghi

Intanto Politico.eu pubblica un retroscena in cui dà conto di un grande pranzo organizzato da Berlusconi per decidere le sorti di Draghi. A Villa Grande martedì 19 luglio c’era anche Salvini oltre a Giorgia Meloni. «Nel giro di 24 ore, il destino di Draghi era segnato. I complottisti avevano ritirato il loro appoggio alla sua grande coalizione e al primo ministro non restava altro che andare al Quirinale, dove giovedì mattina ha rassegnato le dimissioni», si legge nell’articolo firmato dal corrispondente a Roma. E gli effetti, per Politico.eu, sono chiari. «L’Italia si trova ora ad affrontare mesi di agitazione. Probabilmente ci vorranno diverse settimane dopo le elezioni del 25 settembre prima che si possa mettere insieme una nuova coalizione».

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