L’escalation dei falchi e i missili Atacms: così il raid sull’Ucraina può cambiare la guerra di Putin (e degli Usa)

Lo Zar bombarda per compiacere i falchi. Ma può scatenare una reazione inaspettata. Ecco come

Il bombardamento di Kiev e delle altre città ucraine rischia di cambiare la guerra di Vladimir Putin. La rappresaglia per il ponte di Kerch in Crimea, attuata dopo le pressioni dei falchi, è un passo verso lo scontro totale. Perché potrebbero dare nuova spinta alle richieste di Zelensky di avere sistemi missilistici più sofisticati e di armi a lungo raggio. Come gli Atacms, Army Tactical Missile System, progettati per colpire fino a 300 km di distanza, quattro volte la gittata degli Himars, già forniti dagli Usa alle forze ucraine. E sui quali Joe Biden potrebbe rivedere la propria posizione. Ma Washington si sta muovendo anche attraverso un canale diplomatico. Che per adesso è occupato prevalentemente dal dossier atomico. Per evitare l’Armageddon. E per gestire i prossimi mesi di guerra.


L’esultanza per le bombe in Ucraina

La «massiccia offensiva» lanciata ieri dalla Russia contro l’Ucraina ha visto attacchi alle infrastrutture e vittime civili. La scelta di rispondere così all’attentato al ponte di Crimea era ventilata da giorni ai vertici della Difesa. A spingere erano i falchi, come ha dimostrato l’esultanza di Kadyrov. L’obiettivo di lasciare il popolo ucraino senza acqua e riscaldamento non è soltanto una risposta all’affronto di Kerch. Serve anche a gettare nel panico la società ucraina e a spingere l’Occidente a negoziare. Anna Zafesova su La Stampa spiega che l’esultanza della parte della nomenclatura e dell’opinione pubblica più assetata di sangue riappacifica il Cremlino con i suoi sostenitori. E, soprattutto, incorona subito Sergey Surovikin, il generale della guerra in Siria, come il nuovo eroe al suo esordio nella nuova carica di comandante di tutta l’«operazione militare speciale».


Ma l’intelligence di Kiev sostiene che i missili fossero puntati già da una settimana. Ovvero da prima dell’attentato in Crimea. Ovvero da quando i falchi chiedevano un attacco ai centri decisionali ucraini. E alle infrastrutture dell’energia. Sganciando anche una bomba nucleare tattica. Un attacco come quello di ieri segna un cambio di strategia e una nuova fase della guerra. Il partito dei falchi ha prevalso. E questo peggiora la situazione, perché tornare indietro è difficile, se non impossibile. «Se i tentativi di compiere attacchi terroristici continueranno, la risposta della Russia sarà dura. Le risposte saranno della stessa portata delle minacce che la Federazione Russa deve affrontare. Nessuno dovrebbe avere dubbi su questo», ha detto ieri Putin.

La risposta degli Usa

Ma proprio mentre la pioggia di missili verso le città ucraine si stava esaurendo, Zelensky era al telefono. Prima con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Poi con Macron, Truss e gli altri leader occidentali. Infine, dopo un colloquio con l’ambasciatrice Usa a Kiev Bridget Brink, è arrivata la dichiarazione di Biden. «Resteremo al fianco degli ucraini finché servirà e forniremo alle forze di Kiev il supporto necessario a difendere il loro Paese e la loro libertà», è la frase da Washington che Zelensky aspettava. Perché fino ad oggi l’amministrazione Biden si era opposta a consegnare i tanto richiesti Atacms. Il rifiuto della Casa Bianca era stato motivato finora dalla necessità di evitare un’escalation della guerra. Mosca ha già messo in guardia di ritenerli una linea rossa che segnerebbe l’entrata della Nato in guerra. Ma ora la Casa Bianca potrebbe cambiare idea.

Anche se nel frattempo si è aperto, inaspettatamente, anche un filo di dialogo. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha confermato a La Stampa che c’è un canale di confronto aperto. Sul quale giocano due fattori. Il primo è l’arrivo dell’inverno. Che potrebbe porre in stallo la situazione militare sul campo. E quindi favorire la riapertura di un dialogo. L’altro sono le elezioni di mid-term in America. I repubblicani potrebbero vincere e mettere in difficoltà l’amministrazione. Meglio quindi muoversi prima che dopo il voto, è il ragionamento. Intanto la Germania, presidente di turno, ha annunciato per domani una riunione del G7 in video conferenza. Alla quale interverrà anche Zelensky, che a tutti i suoi interlocutori ha ribadito la necessità di «una dura risposta europea ed internazionale, nonché di aumentare la pressione sulla Russia». Il presidente ucraino parlerà giovedì anche all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Dal quale Mosca è stata espulsa a marzo subito dopo l’invasione dell’Ucraina.

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