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Papa Leone XIV, prima messa nella Cappella Sistina. L’omelia in inglese e in italiano: «Siamo una comunità, la Chiesa sia faro nel mondo» – Il video

09 Maggio 2025 - 12:02 Ygnazia Cigna
Papa Leone XIV in omelia nella Cappella Sistina
Papa Leone XIV in omelia nella Cappella Sistina
Davanti ai cardinali, la prima messa celebrata da papa di Robert Francis Prevost. Il richiamo all'unità della Chiesa nell'omelia partita a braccio in inglese e poi letta in italiano. Tra i presenti anche il cardinale Becciu. Ecco il testo integrale

La prima messa di Papa Leone XIV si è svolta nella Cappella Sistina. Alla celebrazione hanno partecipato tutti i cardinali, sia elettori che non elettori. Durante la messa pro Ecclesia, le letture sono state in inglese e spagnolo: due lingue comunemente usate nelle liturgie internazionali in Vaticano, ma anche le principali lingue parlate dal nuovo pontefice. La lingua liturgica della celebrazione, come avviene in tutte le messe solenni, è il latino. Tra i presenti, appare anche il cardinale Angelo Becciu che, nelle scorse settimane, si è ritirato dal conclave. «Comincio in inglese poi vado avanti in italiano. Sono felice di essere qui con voi cari fratelli. La benedizione del signore continui ad essere su di noi. Siamo una comunità», così il Santo Padre ha iniziato l’omelia.

La figura di Gesù e l’«ateismo di fatto» sempre più diffuso

Nel corso dell’omelia, Papa Leone XIV ha voluto sottolineare il cuore della fede cristiana proclamando, come Pietro, che «Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Un messaggio teologico denso che si traduce in un forte richiamo alla responsabilità missionaria della Chiesa in un mondo spesso indifferente o ostile alla fede. Il Pontefice ha denunciato le due principali risposte mondane all’identità di Gesù: c’è chi lo ritiene «fastidioso per le istanze di onestà e le esigenze morali», e chi lo ammira ma lo riduce a «una specie di leader carismatico o superuomo», atteggiamenti che oggi si riflettono in un diffuso «ateismo di fatto» anche tra i battezzati. Papa Leone XIV ha annunciato che si ispira all’esempio di Sant’Ignazio di Antiochia.

Il testo integrale della prima omelia da Papa di Prevost

Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Affidate a noi, da Lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno (cfr Ger 1,5), rigenerati nell’acqua del Battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore (cfr 1Cor 4,2) a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte (cfr Ap 21,10), arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture o per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel «popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9).

Tuttavia, a monte della conversazione in cui Pietro fa la sua professione di fede, c’è anche un’altra domanda: «La gente – chiede Gesù –, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Non è una questione banale, anzi riguarda un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni. «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Pensando alla scena su cui stiamo riflettendo, potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte, che delineano altrettanti atteggiamenti. C’è prima di tutto la risposta del mondo. Matteo sottolinea che la conversazione fra Gesù e i suoi circa la sua identità avviene nella bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonata in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon, ma anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà. Questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo “mondo” non esiterà a respingerlo e a eliminarlo.

C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un “ciarlatano”: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi. Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo. Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, perpersone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito.

Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco. Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Gesù Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia (cfr CONC. VAT. II, Cost. Dogm. Lumen gentium, 1). Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro, mentre inizio la mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di Sant’Ignazio di Antiochia (cfr Lettera ai Romani, Saluto).

Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo» (Lettera ai Romani, IV, 1). Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa.

L’elezione di Papa Leone XIV

Ieri pomeriggio 8 maggio 2025, la Chiesa cattolica ha eletto il suo 267° Papa: il cardinale statunitense Robert Francis Prevost, che ha scelto il nome di Leone XIV. La fumata bianca è apparsa alle 18:07, seguita dall’annuncio ufficiale del cardinale protodiacono Dominique Mamberti: «Habemus Papam». Prevost è il primo papa nordamericano nella storia e appartiene all’ordine di Sant’Agostino. La sua elezione è avvenuta al quarto scrutinio del conclave, convocato dopo la morte di Papa Francesco il 21 aprile, e tra gli applausi e la commozione di una piazza San Pietro gremita. Nel suo primo discorso dalla Loggia delle Benedizioni, Leone XIV ha salutato la folla con le parole: «La pace sia con tutti voi», esprimendo gratitudine verso il suo predecessore e lanciando un appello alla costruzione di ponti di pace.

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