Salta l’asta dei doni di Giorgia Meloni ricevuti dai leader esteri: nei guai chi doveva occuparsene

L’asta dei doni istituzionali ricevuti da Giorgia Meloni si ferma prima ancora di cominciare. Palazzo Chigi ha deciso di sospendere l’aggiudicazione dopo la pubblicazione di un’inchiesta del Fatto Quotidiano che ha puntato i riflettori sulla casa d’aste incaricata dell’operazione. La presidenza del Consiglio ha disposto il congelamento del contratto con la società selezionata, Bertolami Fine Art, spiegando che la decisione è stata presa «in attesa di ulteriori verifiche». Il fondatore e titolare della casa d’aste è stato infatti raggiunto da una misura interdittiva nell’ambito di una vasta inchiesta giudiziaria.
L’inchiesta giudiziaria sulla «Bertolami Fine Art»
Il decreto di affidamento risale allo scorso 24 ottobre, mentre l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Catania è arrivata solo a inizio dicembre, al termine di un’indagine durata anni. Un fascicolo imponente, con decine di indagati e l’ipotesi di un sistema strutturato di traffico illecito di reperti archeologici. Secondo gli inquirenti, proprio alcune case d’asta avrebbero svolto un ruolo chiave nel ripulire i beni trafugati, consentendone l’ingresso nel mercato legale. Palazzo Chigi si difende sostenendo che l’indagine fosse coperta dal segreto istruttorio. E che, dunque, non vi fossero elementi formali per escludere la società al momento della scelta. Una spiegazione che può reggere sul piano giuridico, ma che lascia dubbi sul fronte della diligenza politica.
Il precedente con il volantino di Aldo Moro
A rendere ancora più delicato il caso è un precedente che coinvolge la stessa casa d’aste. Nel 2022 finì al centro di una bufera per aver messo in vendita, e battuto a una cifra superiore ai trentamila euro, il volantino con cui le Brigate Rosse rivendicarono il sequestro di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della sua scorta. Vendita che suscitò indignazione trasversale e interrogazioni parlamentari, oltre a una verifica avviata dal ministero della Cultura sull’origine del documento. All’epoca, esponenti di diversi schieramenti politici denunciarono la mercificazione di un pezzo tragico della storia repubblicana. Parlando di una violazione dei principi di decenza e rispetto verso le vittime del terrorismo. Tra loro anche Giorgia Meloni, allora solo all’opposizione, definì «una vergogna» la messa all’asta di quel volantino.
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Quali sono i regali della premier in vendita
Ora l’asta dei doni della premier che è stata sospesa avrebbe dovuto mettere in vendita una selezione dei regali istituzionali ricevuti da Meloni durante le missioni ufficiali all’estero, limitatamente a quelli di valore superiore ai 300 euro. In totale, i doni catalogati dall’inizio del mandato sono 273, e tra questi figurano oggetti di ogni tipo e provenienza. Tappeti ricevuti nei Paesi arabi, gioielli, porcellane pregiate, quadri, cofanetti e abiti tradizionali. Alcuni omaggi hanno attirato particolare attenzione per la loro singolarità, come le scarpe di pitone blu con tacco dorato regalate in Arabia Saudita, la statuetta che ritrae il presidente argentino Javier Milei con la sua motosega, un busto argenteo di Gandhi e una statuetta d’oro donati dal premier indiano Narendra Modi, oppure il foulard consegnato dal premier albanese Edi Rama con una scenografica genuflessione.
800 mila euro
Completano l’elenco un servizio da tè in porcellana ungherese, una ciotola di ceramica proveniente dagli Stati Uniti e un abito tradizionale indonesiano. Il valore complessivo stimato dei beni destinati alla vendita si aggira intorno agli 800 mila euro, come rivelato da Open, una cifra che aveva giustificato l’operazione come scelta di razionalizzazione degli spazi di Palazzo Chigi, prima che l’intera procedura venisse congelata.
