Camilleri e quella lettera rinnegata al Duce: «Contro il fascismo avrei dovuto fare di più»

La storia di Andrea Camilleri che scrive al Duce è diventata parte del suo testamento. È la storia dell’inganno – e del risveglio – di un’intera generazione

Caro Duce ti scrivo. Della lettera scritta dal giovane Andrea Camilleri a Benito Mussolini non ci sono più tracce, ma rimane la testimonianza diretta dell’autore che più volte ha parlato dell’episodio, della sua fede fascista e della sua successiva emancipazione.


Un cammino personale che lo ha portato nel corso degli anni a essere un attento critico di comportamenti autoritari e xenofobi in politica e anche, recentemente, dell’attuale Governo. Ma anche la storia dell’inganno e del successivo risveglio di un’intera generazione.


In un racconto autobiografico incluso nel volume ‘I racconti di Nené’ l’autore, nato a Porto Empedocle (Agrigento) nel 1925, spiega di essere stato «un bambino allevato in pieno regime fascista» e, seguendo l’esempio di suo padre, di aver ascoltato, rapito, i discorsi di Mussolini trasmessi dagli altoparlanti.

Allora la propaganda politica non si faceva in televisione o sui social media, ma tramite le tecnologie dell’epoca che permisero al Duce di ‘presenziare’ in ogni angolo di Italia, reinventando nuovamente l’idea di Italia come ‘comunità immaginaria’ unita – anche ma non solo – nella sua immagine e nella sua voce.

GI / Un’immagine dell’Operazione Nazionale Balilla

A questo scopo servivano anche le varie associazioni fasciste che, sin dall’infanzia, instradavano i giovani nati in Italia verso l’adulazione del Duce e del Partito Nazionale Fascista, principale incarnazione della Patria a cui tutto era – o doveva essere – sottomesso, inclusa la vita famigliare, sociale e associativa, oltre che del militarismo. Così anche il giovane Camilleri divenne un ‘balilla’, con tanto di moschetto dotato di baionetta.

Erano anni in cui l’Italia guardava all’estero – e sopratutto al Mediterraneo – imperiosa e, seguendo l’esempio di altri poteri coloniali europei, come la Francia e il Regno Unito, che aggiungevano nuovi stati africani ai loro imperi globali, bramava un ‘posto al sole’. E così che, nel 1935, il Regime fascista – che già aveva conquista la Libia, Eritrea e la Somalia – decise di lanciare una sanguinosa campagna militare alla conquista dell’Etiopia.

Il giovane Camilleri, in preda al delirio espansionistico, prese carta e penna senza dire nulla i suoi genitori e scrisse al Duce per renderlo partecipe al suo desiderio di partecipare alla guerra in Abissinia e riuscire laddove la precedente generazioni di soldati italiani era stata umiliata dal Re Menelik II.

Camilleri narra che il segretario politico di Porto Empedocle lo chiamò un giorno per riferirgli la riposta del Duce: «Vi preghiamo di comunicare al giovane Balilla Andrea Camilleri che è troppo giovane per fare la guerra, ma non mancherà occasione. Firmato M di Mussolini». 

In seguito, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, lo scrittore disse che avrebbe voluto dire un “no” più convinto al Fascismo «ma a essere onesti ci sarebbe voluto un coraggio inumano. Ho detto no, ma tardi, dopo averci creduto come tutti. A guardarmi indietro ora ai miei occhi appaio come uno che ci è cascato e questo mi fa tanta rabbia».

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