Manovra, oggi il via libera alla legge di Bilancio: quali mine restano sulla strada del governo

La revoca delle concessioni autostradali, il caso Casaleggio e le dimissioni del ministro Fioramonti. Tutti i temi della caldissima agenda del gennaio 2020

Il governo giallorosso è in procinto di raggiungere il suo primo obiettivo, quello minimo dichiarato, per cui è nato poco più di tre mesi fa: una legge di Bilancio in grado di neutralizzare le famigerate clausole di salvaguardia, quindi l’aumento dell’Iva e un potenziale effetto domino disastroso sull’economia del Paese.


La quadra è stata trovata non senza difficoltà e mal di pancia, soprattutto da parte di Italia Viva, il partito fondato da Matteo Renzi con la scissione dal Pd subito dopo la nascita del Conte 2. Partito che ha posto numerosi veti, soprattutto su nuove forme di tassazione e regolamentazione dell’uso del contante.


Raggiunto il compromesso che ha portato al Milleproroghe, varato dal Consiglio dei ministri del 21 dicembre, e che porterà oggi all’approvazione definitiva della Manovra blindata alla Camera dalla fiducia e dall’azzeramento degli emendamenti, rimangono ancora diversi nodi da sciogliere all’indomani della chiusura delle Camere per la pausa natalizia. Pausa che, ragionevolmente, si configurerà come una tregua, almeno ufficiale, fra le diverse posizioni in gioco.

La revoca delle concessioni autostradali

Manovra e Milleproroghe hanno lasciato sul tavolo, tra le altre, tre criticità da risolvere. La prima è il rapporto con i concessionari, soprattutto quelli autostradali, su cui il Movimento 5 Stelle non intende indietreggiare da quella che, dal crollo del Ponte Morandi, è la sua posizione irremovibile: la revoca. E anche se Autostrade non sembra arrendersi.

Il capo politico del Movimento Luigi Di Maio ha usato parole inequivocabili: «Ho notato che qualcuno continua a lamentarsi della norma sulle concessioni autostradali entrata proprio nel Milleproroghe. Che sia chiaro: bisogna avviare un percorso che ci porti alla revoca delle concessioni autostradali».

Zingaretti però, da Mezz’ora In Più, aveva frenato: «Non credo (che il testo uscito dal Consiglio dei ministri del 21 dicembre, ndr) sia un primo passo verso la revoca. È un atto che rende più forte la dimensione pubblica nei confronti dei concessionari – ha detto il segretario dem – perché sono diversi e non uno solo. Non vanno fatti giudizi sommari o colpi di mano o pregiudizi verso chi gestisce le autostrade, non solo la più famosa di cui sempre si parla. Siamo contro qualsiasi persecuzione, ma uno Stato più forte non è uno scandalo».

Il caso Casaleggio

Insomma, posizioni che sembrerebbero inconciliabili e fra le quali bisognerà trovare una mediazione. Il secondo nodo da sciogliere sarà quello del Piano Innovazione, stoppato dai dem e da Italia Viva proprio nel Cdm che ha approvato il Milleproroghe. Il caso Casaleggio, cioè il contributo che – secondo le parole della stessa ministra Pisano – sarebbe stato dato dall’imprenditore digitale alla stesura del Piano, sembra non essersi stemperato.

Se il Pd è stato chiarissimo, sia attraverso le parole dello stesso Zingaretti, che quelle del ministro Franceschini (che ha sottolineato che «c’è bisogno di un approfondimento e le norme, frutto di un’intesa nella maggioranza, potranno essere inserite in un emendamento in sede di conversione del decreto»), dal fronte pentastellato non sono arrivate particolari prese di posizione in difesa della ministra o del figlio del fondatore del Movimento. Segnale d’imbarazzo o forse di una tregua armata, in attesa della battaglia.

Le dimissioni di Fioramonti

Il terzo fronte è quello delle dimissioni, annunciate ma poi rimandate, del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. L’ora X potrebbe scattare proprio oggi, subito dopo l’approvazione definitiva alla Camera della Manovra. Secondo i ben informati, il ministro, che non ha ottenuto né nella legge di Bilancio, né nel Milleproroghe i 3 miliardi di fondi richiesti, sarebbe disposto a tornare sui suoi passi se arrivasse il sostegno dei colleghi di governo (già arrivato quello di Provenzano, titolare del dicastero per il Sud), dei parlamentari del M5S e dei sindacati (per ora il riconoscimento c’è stato solo da parte della Cisl).

Ma è chiaro che le parole che convincerebbero Fioramonti a restare, e in qualche modo gli permetterebbero di salvare la faccia, sono quelle che potrebbero arrivare dal premier Giuseppe Conte. Se il presidente del Consiglio gli chiedesse di non andarsene, il ministro si potrebbe sentire legittimato ad andare avanti e a continuare a chiedere ciò che fino a ora non ha ottenuto.

L’agenda (spinosa) del gennaio 2020

Questi gli strascichi delle ultimissime settimane di fibrillazione all’interno del governo. Ma oltre a questi “postumi” del 2019, l’esecutivo dovrà mettere mano e trovare soluzioni di compromesso – o se si preferisce, di sintesi – su numerosi dossier, pena probabilmente la stessa sopravvivenza del Conte 2.

I temi sul tavolo da gennaio 2020 sono molti e spinosi: la prescrizione (Italia Viva e Pd vorrebbero ora una riforma del processo penale), la trattativa con ArcelorMittal sull’ex Ilva, il voto sul caso Gregoretti/Salvini, le Autonomie (ancora), il rebus legge elettorale che si intreccia con il taglio dei parlamentari (e l’ormai molto probabile referendum) e l’eterno tavolo di scontro fra alleati di governo: le nomine Rai.

Gli equilibri politici

Parallelamente all’agenda, però, il governo dovrà gestire le questioni più prettamente politiche: pesa, soprattutto, l’endorsement a Conte di Zingaretti che, in un’intervista al Corriere della Sera, ha definito il premier «un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste». Al segretario dem sono sì arrivate numerose critiche per l’esternazione, ma è evidente che l’operazione ha lo scopo di “spostare” il presidente del Consiglio dal campo pentastellato a quello del centrosinistra.

Conte, dal canto suo, sembra aver tirato la volata a Zingaretti con quella conferma di avere «il cuore a sinistra» consegnata a Giovanni Floris poche ore prima delle parole del governatore del Lazio. A fronte di quello che sembra un idillio fra il premier e i dem, nel campo del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio deve gestire quella che è ormai una crisi aperta e che nemmeno il rilancio del Movimento, con la nuova organizzazione e l’investitura dei facilitatori, sembra aver sanato.

Foto in copertina – I banchi del Governo durante il voto di fiducia sul decreto fiscale al Senato, Roma, 17 dicembre 2019. ANSA/Riccardo Antimiani

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