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Storie di studenti italiani all’estero: «Ecco perché non torniamo nell’Italia distrutta dal Coronavirus»

30 Marzo 2020 - 07:00 Fabio Giuffrida
Gabriele, Joseph, Roberta, Claudia e Francesca. Storie di ragazzi italiani responsabili che hanno deciso di non tornare nonostante la paura. «Vedere tutti i tuoi nuovi amici andare via, aiutarli a fare le valigie, cenare per l'ultima volta insieme è stata una botta fortissima», confessano

Gabriele è in Russia, Joseph in Repubblica Ceca, Roberta in Giordania, Claudia in Spagna e Francesca in Belgio. Sono tantissimi gli studenti italiani che in queste ore si trovano ancora all’estero e che, per diverse ragioni, non rientreranno in Italia. Storie di giovani responsabili ma che hanno paura, essendo lontani dal loro Paese, il più colpito d’Europa, finito in mezzo a una tempesta, a un’emergenza sanitaria, quella del Coronavirus, che ha già fatto 10mila vittime.

Gabriele, Russia

Open | Gabriele studia sicurezza internazionale e si trova in Russia

Gabriele Marchionna, 23 anni, dell’università di Bologna, studia Sicurezza internazionale e si trova a Mosca, in Russia, grazie a una borsa di studio. «Io non torno perché qui mi sento protetto, mi hanno assicurato le cure in caso di contagio, ho un’ottima assistenza da parte del consolato che ha anche creato un gruppo Whatsapp per aggiornarci giorno dopo giorno sull’evoluzione del virus e sullo stato dei voli» ci spiega. Poi c’è anche la preoccupazione per i genitori «che non sono giovanissimi» oltre alla volontà di non mandare all’aria il sogno di una vita: «Tornare significherebbe annullare tutti i sacrifici fatti fino ad ora. E, comunque, tornare in Italia significherebbe esporsi a maggiori rischi». Gabriele continua a lavorare in smart working, si trova in un college e si sente al sicuro anche se in Russia, ci confida, «non c’è ancora la percezione del rischio»: «Si vede ancora gente fuori, nonostante l’invito a restare a casa. Il russo medio ha fiducia nello Stato e in Dio. La religione qui ha segnato la cultura del Paese».

Francesca, Belgio

Open | Francesca ha sognato l’Erasmus per tutta la vita

Francesca Gastaldi ha 22 anni, studia Scienze della formazione all’università di Torino e si trova in Belgio per l’Erasmus. «Restare non è stata una decisione semplice. Vedere tutti i tuoi nuovi amici andare via, aiutarli a fare le valigie, cenare per l’ultima volta insieme è stata una botta così forte da aver avuto fatica a riprendermi». Francesca ha pianto, non lo nasconde, ma alla fine ha fatto una scelta coraggiosa: restare. «Tornare significherebbe prendere l’unico volo disponibile per Roma, e prendere poi ben tre treni per tornare a casa, visto che abito in provincia di Cuneo, moltiplicando di fatto le mie possibilità di entrare a contatto con il virus». Per Francesca l’Erasmus è tutto: «L’ho sognato per tutta la vita. Non avendo mai avuto le possibilità economiche per farlo, quando ho scoperto di aver vinto la borsa di studio non stavo più nella pelle all’idea di partire. Niente potrà fermare la mia esperienza all’estero ora, nemmeno il Coronavirus». In Belgio, conclude, «le misure non sono così restrittive come in Italia, per cui almeno una passeggiata ogni tanto si può fare, al massimo in due».

Claudia, Spagna

Open | Claudia dal balcone della sua stanza in Spagna

Claudia Brunetti, 22 anni, è di Torino e si trova in Erasmus a Granada, in Spagna. «Non torno perché temo per la salute dei miei genitori. Hanno 65 anni, avrebbero dovuto assistermi loro durante la quarantena in Italia e non mi sembrava proprio il caso di metterli a rischio. Partire per me sarebbe stato pericoloso, non vorrei stare ammassata in aerei con centinaia di persone, senza il rispetto delle distanze di sicurezza. Senza considerare poi che avrei dovuto prendere un treno per tornare a casa o comunque avrei dovuto chiedere ai miei genitori di venirmi a prendere. No, non sarebbe stato giusto». Ad aiutarla in questa difficile scelta ha pesato il fatto che gli altri tre coinquilini, due ragazze e un ragazzo, tutti italiani, di Roma e Siena, abbiano deciso di restare lì: «Siamo tutti insieme, la stiamo vivendo bene. Certo, forse stare da sola sarebbe stato un problema. Facciamo le lezioni online, cerchiamo di trasformare questa emergenza in un’esperienza formativa, di vita, anche se non vi nascondo che non era di certo questo l’Erasmus che sognavo. Fuori, poi, ci sono 25 gradi, giornate fantastiche, e noi siamo costretti giustamente a stare a casa».

Due dei suoi coinquilini avevano valutato l’idea di tornare a casa: «Gliel’avevano chiesto proprio i loro genitori. Poi, però, ascoltando le testimonianze di chi è partito, tra assembramenti in aeroporto, viaggi al limite dell’assurdo, con gente accalcata sulle navi, hanno ritenuto che fosse troppo rischioso». «Introvabili» le mascherine, «vuoti gli scaffali dei supermercati» nel primo periodo dell’emergenza: «Piano piano la situazione si sta normalizzando, nonostante l’alto numero di contagiati e decessi. Inizialmente il governo ha gestito malissimo l’emergenza, ora hanno capito. Pensate che l’8 marzo hanno organizzato manifestazioni e parate per la festa delle donne». Adesso solo «strade vuote e molti appostamenti di polizia».

Roberta, Giordania

Open | A sinistra Roberta, a destra la distribuzione del pane in Giordania

Discorso diverso per Roberta Zappulla, 26 anni, che si trova ad Amman, in Giordania, per un tirocinio con l’università Bicocca di Milano. «Per ora sono bloccata perché i confini sono chiusi. Non c’è nessun volo in entrata né in uscita. L’ambasciata giovedì scorso ci ha chiesto chi volesse rientrare in Italia, facendoci compilare un form, ma ancora nessuna notizia». In Giordania, racconta a Open, la situazione «è stata presa molto seriamente» con «chiusura dei confini interni e serrata di tutti gli esercizi commerciali oltre a un coprifuoco con sirena a partire dalle sei del pomeriggio»: «Pensate che qualche giorno fa i poliziotti hanno distribuito il pane in città». Roberta resterebbe volentieri in Giordania «per non pesare ulteriormente sul sistema sanitario italiano, in particolare quello siciliano» ma il suo tirocinio termina il 30 aprile con «visto e assicurazione in scadenza a fine aprile»: «Da quel momento non avrei più nessuna garanzia. Come dovrei fare?».

Joseph, Repubblica Ceca

Open | Joseph in Erasmus in Repubblica Ceca

Joseph Insirello, invece, è siciliano, si trova in Repubblica Ceca per un Erasmus con l’università di Catania e non torna in Italia soprattutto perché «non ci sono voli diretti con il nostro Paese»: «Adesso dovrei fare una traversata infernale con un autobus che impiegherebbe 20 ore. Qui, poi, c’è una gestione rigida dell’emergenza con un numero di contagi cinque volte più basso rispetto a dove abito io. Non torno perché ho paura di contagiare mia madre, da asintomatico», ammette. Joseph continua a studiare, segue le lezioni online anche se la gestione dell’università di Brno «è stata caotica»: «Non tutte le lezioni sono online, a differenza della tempestività che ho visto nell’ateneo di Catania. Per questo continuo a seguire i corsi di Unict».

In Italia la campagna #ioresto

Infine c’è chi ha deciso di tornare a casa ma si è dovuto scontrare con «voli fantasma, viaggiatori ammassati sugli aerei e università che hanno risposto “arrangiatevi”», così come documentato da Open. Intanto in Italia, mentre alcuni fuorisede siciliani hanno chiesto a gran voce il rientro nell’isola in maniera protetta, prosegue l’iniziativa di Stefano di “Un terrone a Milano” che fin dall’inizio, con l’hashtag #ioresto, ha chiesto ai fuorisede del Nord di restare lì, di non raggiungere per nessuna ragione i propri familiari. Il motivo? Evitare di contagiare mamme, papà e nonni.

Foto in copertina di Claudia Brunetti insieme ai suoi coinquilini in Spagna

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