Così la richiesta d’aiuto dell’Italia è stata ignorata dall’Ue. Il Guardian svela i fallimenti europei davanti alla pandemia

Dai primi di gennaio fino all’allarme lanciato dall’Italia a fine febbraio, tra agenzie e organi europei si sono susseguiti una serie di tentativi falliti di reagire alla pandemia. Quando ormai l’Europa è stata dichiarata l’epicentro dei contagi dall’Oms, ogni sforzo europeo per procurarsi dispositivi di protezione è stato vanificato anche dall’egoismo dei Paesi membri

Il 26 febbraio scorso il premier Giuseppe Conte ha chiesto aiuto all’Unione europea con un messaggio urgente, ma a quella richiesta è seguito solo silenzio. Lo rivela un’inchiesta del Guardian, che ha analizzato i registri interni di Bruxelles e raccolto decine di interviste a funzionari ed esperti europei. A confermare quanto avvenuto in quei drammatici giorni, quando solo in Italia i contagi triplicavano ogni 48 ore, è lo sloveno Janez Lenarčič, commissario europeo responsabile della gestione della crisi.


«Nessuno Stato membro ha risposto alla richiesta dell’Italia e alla richiesta di aiuto della Commissione – denuncia il diplomatico – Il che significava che non solo l’Italia non era preparata… Nessuno era preparato. La mancanza di risposta alla richiesta italiana non è stata tanto una mancanza di solidarietà. Era una mancanza di equipaggiamento».


Il primo avviso a Capodanno

La prima valutazione di una minaccia del Centro europeo per il controllo e la prevenzione per la salute pubblica (Ecdc) era partita il 9 gennaio, quando sono arrivate le prime informazioni su alcune polmoniti sospette in Cina di origine sconosciuta. Il 17 gennaio è stata convocata una prima videoconferenza dal Comitato per la sicurezza sanitaria, che comprende i rappresentanti dei ministeri della Salute dell’Ue.

A quella chiamata però risposero solo 12 dei 27 Stati membri, più il Regno Unito. A quella riunione l’Italia era assente, perché secondo il Guardian il funzionario italiano non aveva visto l’email di convocazione. Nella commissione era stato proposto di lanciare raccomandazioni per aumentare i controlli alle frontiere. Ma i partecipanti a quella riunione si sono dimostrati contrari.

Distratti dalla Brexit

D’altro canto, le prime mosse della Commissione europea per affrontare l’inizio di quella che si sarebbe rivelata una pandemia sono state incerte e inefficaci. Il commissario Lenarčič ricorda che una prima riunione del comitato di coordinamento della crisi era stata convocata il 28 gennaio. Il giorno dopo la Commissione ha vietato al suo personale ogni viaggio non essenziale per la Cina e ha convocato una conferenza stampa per avvertire l’Europa a prepararsi.

Ma in quella sala davanti ai commissari non c’era praticamente nessuno, perché tutti erano concentrati sulla Brexit che si stava consumando: «Tutta l’attenzione dei media a Bruxelles – ricorda il commissario Ue – era a quel tempo dedicata all’ultima sessione della plenaria del Parlamento europeo alla quale hanno partecipato i membri del Regno Unito».

Scorte di mascherine già esaurite o scadute

Negli ultimi anni prima dell’arrivo del Coronavirus, le scorte europee di dispositivi di protezione erano diminuite. Le mascherine erano o scadute o distrutte, senza essere mai sostituite. E i piani di preparazione a una pandemia non erano aggiornati. Secondo un consulente scientifico sentito dal Guardian, buona parte delle mascherine a disposizione dei singoli Paesi membri erano obsolete: «La maggior parte era stata distrutta da poco».

E quando la pandemia ha cominciato a mostrare la sua violenza, gli Stati membri hanno agito in solitudine. A cominciare dalla Francia di Emmanuel Macron, che aveva deciso di requisire tutti i dispositivi di protezione necessari. La Germania di Angela Merkel decideva di chiudere unilateralmente i suoi confini, imitata da altri Paesi. Un fenomeno che ha reso più complicato il flusso delle merci, dice Lenarčič: «Pericoloso anche per la risposta al Covid, perché alcuni di questi beni sono essenziali come le attrezzature medica, per non parlare del cibo».

Con il passare dei giorni, la disponibilità sul mercato dei Dpi era praticamente azzerato. Il 12 marzo, continua il Guardian, gli esperti dissero alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che lo scoppio della pandemia non poteva essere più fermato. Il giorno dopo, l’Oms ha dichiarato l’Europa come epicentro della pandemia.

A poco e niente era servita l’idea della Commissione di far diventare l’Ue un «grande acquirente» dei Dpi a metà gennaio, visto che nel frattempo buona parte degli Stati membri non ha dimostrato particolare interesse all’iniziativa. Ci sono volute due settimane perché ogni Paese fornisse le informazioni sulle proprie scorte. Ormai la disponibilità globale era ridotta al minimo, e ogni Stato membro ha fatto ricorso all’iniziativa personale per procurarsi i mezzi necessari per affrontare la pandemia, facendo così impennare i prezzi.

Intanto procedevano con estrema lentezza le procedure per l’appalto europeo sui Dpi, ci sono volute almeno due settimane per individuare un produttore, dopo che il primo avviso del 12 marzo era andato deserto. La prima consegna alla richiesta europea di Dpi è arrivata solo l’8 giugno.

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