Recovery Fund, il vertice del sogno europeo è diventato un incubo: l’ultimo giorno per evitare il flop sugli aiuti

Dopo due giorni di negoziati intensi, quello che doveva essere il Consiglio europeo straordinario che avrebbe dato il via a un rinascimento della solidarietà europea dopo la lunga notte della pandemia si è concluso con un disaccordo su tutte le questioni chiave

Quando il 27 maggio Francia, Germania e Commissione europea proposero un fondo per il rilancio europeo, dopo l’emergenza sanitaria del Coronavirus, si era parlato di una svolta per l’Europa, dopo neanche due mesi quel momento di concordia e dichiarazioni solenni è ufficialmente un lontano ricordo. Il summit ricomincia oggi a mezzogiorno, ma con un’atmosfera completamente diversa.


In teoria non sarebbe un dramma, i vertici sul budget europeo sono sempre stati difficili e più lunghi del previsto, ma stavolta il capitale politico investito su questo appuntamento era di gran lunga superiore alla media: vale per la Cancelliera tedesca Angela Merkel, per il Presidente francese Emmanuel Macron, per la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e, naturalmente, per il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, che rischia di tornare a Roma con un risultato magro e l’incombenza di negoziati altrettanto intricati per tenere insieme il governo e la maggioranza alle prese con quello che sarà un assedio delle opposizioni. 


Un accordo a malapena sfiorato

A fermare la firma dell’accordo è stato il gruppo dei cosiddetti “quattro frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca), rappresentati dal premier olandese Mark Rutte, leader del suo Paese, dei frugali e di tutti i falchi dei Paesi europei, italiani compresi. 

Una delle ultime proposte su cui si è trattato ieri, 18 giugno, è stata quella del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel: un fondo intatto nei suoi 750 miliardi di euro, ma con 50 miliardi in meno di sovvenzioni, da allocare come prestiti (quindi 450 di prestiti e 300 di sovvenzioni). Sembrava vicino anche un accordo per un meccanismo che permettesse di bloccare all’ultimo momento il trasferimento dei fondi ai Paesi che non si impegnano a realizzare le riforme stabilite, ma alla fine non si è raggiunto nessun compromesso. 

L’importanza dei frugali

Rutte è riuscito a polarizzare l’attenzione del vertice. Era lecito aspettarsi che Merkel e Macron avrebbero esercitato una pressione più forte sul leader olandese, specialmente dopo che il Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni aveva presentato un pacchetto di misure europee per il contrasto del fenomeno dell’elusione fiscale, definendola uno scandalo non più tollerabile. Invece non si è visto niente del genere. 

Al contrario, Rutte si è fatto carico anche del rispettabile compito di dire alla Polonia e all’Ungheria che le risorse del Recovery Fund devono essere legate al rispetto dei principi fondamentali dello Stato di Diritto e della libertà di stampa, costantemente a rischio nei governi di alcuni giovani repubbliche dei paesi dell’Est. Un errore molto diffuso nelle ultime ore è pensare che Rutte rappresenti solo la sua Olanda, invece il suo ruolo è molto più ampio. 

Il problema per l’Italia

Mentre la diplomazia informale è al lavoro in attesa del vertice ufficiale, di sicuro si può dire che il Recovery Fund non sarà generoso come previsto, non sarà raggiunto un compromesso sulle condizionalità e ci si darà appuntamento a un nuovo vertice nel giro di un paio di settimane.

Comunque andrà a finire, il meccanismo del Recovery Fund richiederà a ogni Paese di presentare un piano di aggiustamento strutturale esaustivo negli obiettivi e nel percorso di attuazione. Il principio dell’unanimità desiderato da Rutte non sarà mai accettato così com’è, perché tramuterebbe il fondo in una commissariamento degno della Troika, ma difficilmente si arriverà a un compromesso che vada oltre una maggioranza qualificata. 

A quel punto, Conte si ritroverà a dover andare in Parlamento a presentare un fondo inferiore alle aspettative e con vincoli superiori a quelli del Mes sanitario che parte delle opposizioni e parte della maggioranza chiedono a gran voce. Il tutto alla vigilia delle elezioni Regionali di settembre, della presentazione della legge di bilancio e con una recessione all’orizzonte. Presto in Italia l’ambizioso negoziato europeo di questi giorni sarà solo un ricordo, sostituito da una bellicosa e meno suggestiva guerriglia politica interna.

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