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Le falle del Dpcm “me ne lavo le mani”: dalla scuola alle chiusure di piazza, senza responsabili. Nulla di fatto sui trasporti

19 Ottobre 2020 - 22:30 Angela Gennaro
Firmato il decreto per il 50% di smart working nella PA. Speranza aveva parlato del 75%. E i privati? Tanti i punti di un decreto che sembra decidere di non decidere

Un provvedimento «confuso». Su trasporti e scuola «il nulla assoluto». E ancora: «Tutto scaricato sui sindaci». Le opposizioni – ma non solo loro – non stanno lesinando in queste ore critiche sul nuovo Dpcm entrato in vigore tra domenica 18 ottobre e lunedì 19. Un provvedimento annunciato e atteso con le nuove misure restrittive alla luce dei contagi in esponenziale aumento. E un testo che alla fine, a detta dei detrattori, sceglie di non scegliere.

Il ruolo dei comuni

Quello della rabbia dei sindaci è un filone attivatosi fin da pochi istanti dopo la fine della conferenza stampa con cui il premier Giuseppe Conte ha annunciato le nuove misure in vigore. Nelle ultime ore si succedono prove di mediazione e tentativi di distensione. Il fatto è che, spiegava il sindaco di Bergamo Giorgio Gori – tra i protagonisti, suo malgrado, della prima ondata di marzo e aprile e della portata devastante della pandemia nell’epicentro della crisi – il coinvolgimento dei sindaci è per i sindaci stessi una novità.

Secondo una delle ultime bozze del dpcm (e stando a quanto detto dallo stesso Conte in conferenza stampa da palazzo Chigi) i sindaci dovrebbero disporre la chiusura delle piazze in caso di assembramenti. La frase in bozza è, per la precisione: «2-bis. I sindaci dispongono la chiusura al pubblico, dopo le ore 21,00, di vie o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, fatta salva la possibilità di accesso e deflusso agli esercizi commerciali legittimamente aperti e alle abitazioni private». Ma poi, nella versione definitiva del Dpcm pubblicato in Gazzetta, la frase scompare nonostante l’annuncio del premier da palazzo Chigi.

ANSA/Claudio Peri, Massimo Percossi |Movida nel quartiere Trastevere a Roma, 11 ottobre 2020

«È sembrato un modo per scaricare i sindaci davanti all’opinione pubblica per fare una sorta di coprifuoco», si lamenta il sindaco di Bari e presidente Anci Antonio Decaro. «Il sindaco è l’autorità sanitaria locale ma non agisce in autonomia. La competenza sanitaria è delle asl». Nel Dpcm andato in Gazzetta si legge ora: «Delle strade o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, può essere disposta la chiusura al pubblico, dopo le ore 21, fatta salva la possibilità di accesso, e deflusso, agli esercizi commerciali legittimamente aperti e alle abitazioni private». Saranno i sindaci, sembra infine, a individuare le situazioni di potenziale assembramento e quindi le aree su cui intervenire. Ma lo si farà con le forze dell’ordine e con lo Stato.

Ristoro sì, ma come?

L’unico target che sembra essere stato effettivamente preso in carico resta comunque quello della movida. Da un lato si interviene sugli orari dei locali del settore della ristorazione: potranno rimanere aperti dalle 5 sino alle 24 «con consumo al tavolo, e con un massimo di sei persone per tavolo, e sino alle 18 in assenza di consumo al tavolo». La regione Lombardia ha già chiesto al governo – e ottenuto – un coprifuoco dalle 23 alle 5 e centri commerciali chiusi nel weekend. Non solo: sulle perdite economiche, «consapevoli che chiediamo sacrifici economici agli imprenditori, c’è l’impegno del governo a venire incontro agli esercenti». Con quanto? In che modo? Chi ne avrà diritto esattamente?

Scuola

Ansa/Matteo Corner | Presidio ‘priorità alla scuola’ a Palazzo Lombardia, Milano, 16 ottobre 2020

Non si dà pace, in queste ore, Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Luigi Sacco di Milano. Bisognava fare di più, è il suo ragionamento. Bisognava fare di più sulle scuole e favorire la didattica a distanza. Perché se i contagi negli istituti sono ancora limitati (e lo ripete spesso la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina) a scuola si va. E si va anche usando quei mezzi pubblici ancora stracolmi e che possono costituire occasione di contagio. E invece l’ultimo decreto su questo è assai timido, accogliendo di fatto la posizione «oltranzista» della ministra («La scuola non si tocca», ha sempre ripetuto) – ma anche la richiesta di tanti genitori che, con figli e figlie a casa (soprattutto i più piccoli, e dopo il lungo lockdown) non saprebbero come fare.

E infatti nel decreto, il secondo in una settimana, per il momento per le scuole per infanzia, primaria e secondaria di I grado non cambia niente. Per il resto, «previa comunicazione al ministero dell’Istruzione da parte delle autorità regionali, locali o sanitarie delle situazioni critiche e di particolare rischio riferite agli specifici contesti territoriali, le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica», da un lato implementando il ricorso alla Dad, «che rimane complementare alla didattica in presenza», dall’altro, per evitare assembramenti negli orari di punta, «modulando ulteriormente la gestione degli orari di ingresso e di uscita degli alunni, anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani». Con ingresso dalle nove in poi: un orario che è stato il punto di compromesso trovato nel corso delle trattative.

Probabilmente quindi ci saranno doppi turni, molta più didattica a distanza, classi anche divise. Norme che comunque erano in nuce già nel protocollo per la riapertura della scuola con la previsione della didattica integrata e che saranno in vigore – ha poi specificato il ministero – da mercoledì 21 ottobre fino 13 novembre. L’applicazione negli istituti viene lasciata alla “contestualizzazione” rispetto alla situazione dei contagi. Contagi che però sono ormai diffusi e in numeri importante in tutto il territorio nazionale. Qual è la soglia di allerta?

Le indicazioni dovrebbero arrivare – secondo la nota di chiarimento del ministero dell’Istruzione – dalle regioni e su segnalazioni dei tavoli regionali, previa comunicazione al ministero. Sindacati come Anief invitano «i propri rappresentanti sindacali a vigilare su quanto potrebbe essere deliberato dagli enti locali in assenza di un piano sussidiario di potenziamento dei trasporti». E le università? «Sentito il Comitato universitario regionale di riferimento predispongono» – anche qui «in base all’andamento epidemiologico» – la didattica in presenza o a distanza.

Smart working

A intasare i trasporti, si sa, non è solo chi si reca a scuola. Ma anche chi va al lavoro. Eppure il capitolo smart working, nell’ultimo Dpcm, non c’è. «Incrementeremo con un provvedimento della ministra Dadone le modalità per far ricorso allo smart working, quindi al lavoro a distanza», ha detto il premier in conferenza stampa. Il decreto in effetti arriva a 24 ore di distanza:

Fabiana Dadone è a capo del dicastero della Pubblica amministrazione. Cosa si può fare e si farà per il lavoro agile anche nel privato? Di certo era stato un tema sul tavolo nelle trattative con Regioni ed enti locali. «Lavoriamo insieme sui trasporti. Serve una mossa netta sullo smart working, direi di arrivare anche al 70-75%», aveva detto il ministro della Salute Roberto Speranza. Alcune regioni facevano notare che per questo serve un provvedimento nazionale perché la loro azione, spiegano, è limitata. Mentre con il decreto appena firmato da Dadone – impegnata da tempo sul tema – «il lavoro agile sarà attuato almeno al 50% del personale impegnato in attività da poter svolgere a distanza, con l’invito, per le amministrazioni dotate di adeguata capacità organizzativa e digitale, a raggiungere le percentuali più elevate possibili».

Trasporti, capienza mezzi

ANSA/Mourad Balti Touati | Passeggeri in un vagone della metropolitana a Milano, 19 ottobre 2020.

Quello che sarebbe insomma essere il dossier dei dossier, ovvero il tema dei trasporti, e l’affollamento dei mezzi nelle ore di punta, non sembra aver ricevuto degna risposta. Servono più mezzi, chiosano da molte regioni. Di certo nell’esecutivo sembrano minimizzare il tema. «Tutti gli studi internazionali sostengono che il contributo all’epidemia è bassissimo, l’1.2%. Se parliamo di trasporto pubblico locale, dove si resta poco tempo, il rischio si abbassa ulteriormente», ha detto la ministra alle Infrastrutture Paola De Micheli.

«Le aperture del trasporto dal 18 maggio sono state governate da un calcolo preventivo di flussi e abbiamo portato la capienza all’80%». Capienza che non vede modifiche in questo dpcm. «Il risultato del primo monitoraggio ci ha detto che negli orari di punta non superiamo il 70-75% ma visivamente, e giustamente, l’80% significa cinque persone per metro quadro». Quante sono le persone a metro quadrato nella metropolitana di Roma o di Milano all’ora di punta? I 40 minuti (nella migliore delle ipotesi) da Battistini a Cinecittà – per fare un esempio a caso – corrispondono al «poco tempo» di cui sopra?

Palestre

Una settimana di moratoria. Tanto è il tempo che il premier Giuseppe Conte ha dato ieri alle palestre per «mettersi in regola». E poi? Secondo quanto annunciato dal presidente del Consiglio in conferenza stampa, poiché «ci arrivano molte segnalazioni che, a fronte di tante strutture che rispettano le regole, ce ne sono altre che non lo fanno», il governo ha deciso di dare una settimana alle palestre eventualmente per mettersi in regola. Poi cosa succede? Verranno controllate tutte le palestre sul territorio nazionale? E da chi? Ma poi cosa significa, che nel frattempo sono state consentite realtà dove le regole anti-contagio non erano o non potevano essere rispettate?

In copertina ANSA/Filippo Attili/Ufficio Stampa Palazzo Chigi | Un momento della conferenza stampa del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, dopo la firma del nuovo Dpcm con le misure restrittive per l’emergenza Coronavirus, Roma, 19 ottobre 2020.

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