Polmoniti in Cina: quanto c’entra realmente il Mycoplasma pneumoniae?

Spieghiamo cos’è il batterio che si ipotizza collegato all’epidemia di polmonite che sta colpendo i bambini cinesi

Dal 13 novembre Pechino segnala un aumento delle malattie respiratorie, soprattutto nelle regioni settentrionali, simile a quello registrato nei tre anni precedenti. Per l’OMS restava da chiarire la causa dell’epidemia di polmonite pediatrica, che oggi si ipotizza essere dovuta probabilmente al Mycoplasma pneumoniae. Solo l’ospedale pediatrico di Pechino ha registrato un afflusso massiccio, con una media di oltre novemila pazienti al giorno, mantenendo un’operatività a pieno regime negli ultimi due mesi. Intanto circolano sui social le immagini delle sale d’attesa affollate con letti disposti lungo i corridoi di un ospedale nell’Hebei. Il batterio è stato indicato anche come causa dell’aumento anomalo di polmoniti pediatriche in Francia. Il professor Gianni Rezza, epidemiologo ed ex direttore della prevenzione del ministero della Salute, non vede attualmente pericoli significativi in Italia legati alle polmoniti in Cina.


Il gap immunitario

Le autorità sanitarie cinesi imputano l’epidemia alle restrizioni anti-Covid, che hanno contribuito a limitare la diffusione degli altri patogeni. Questo potrebbe aver creato un «gap immunitario». Tale vulnerabilità potrebbe aumentare quando le persone riducono le precauzioni. Ma va tenuto che questa epidemia in Cina è dovuta solo parzialmente al Mycoplasma pneumoniae, mentre giocano un ruolo anche altri patogeni che abbiamo visto ricomparire lo scorso inverno, agevolati da questo “effetto pandemia”.


Con la sua politica di Covid zero, Pechino ha azzerato la circolazione di tutti gli altri patogeni respiratori. Così oggi la Cina si trova con milioni di bambini in cui hanno potuto proliferare non solo il Mycoplasma pneumoniae, ma anche i virus influenzali e le bronchioliti da virus respiratorio sinciziale (tanto per citare due esempi); semplicemente perché non erano mai entrati in contatto con questi patogeni. Quelli più grandi generalmente se la sono cavata con sintomi lievi o moderati. I bimbi sotto i due anni invece, essendo più vulnerabili, sono i pazienti che stanno maggiormente subendo questa ondata di polmoniti.

Il “mistero” delle polmoniti in Francia

In Italia non dovremmo preoccuparci. Per lo meno non se ne vedono le evidenze. «Nel nostro Paese tutti gli anni abbiamo casi di Mycoplasma pneumoniae – ha spiegato l’infettivologo Massimo Andreoni alla redazione di Dire – quindi avere alcuni casi non è una stranezza, ma qualcosa che certamente vedremo; avere invece dei focolai così ampi ed epidemici sarebbe una stranezza. E probabilmente se questo accade in altre parti del mondo, lo vedremo anche in Italia». E allora in Francia? Secondo quanto riporta Elisa Doré per Le Figarò, rifacendosi ai dati disponibili, solitamente «il batterio Mycoplasma pneumoniae circola regolarmente in Francia ma in minoranza rispetto ad altre infezioni polmonari come l’influenza o la bronchiolite». La ragione per cui si è registrata recentemente una presenza così abnorme è considerata dunque un “mistero”. Il dottor Gilles Pialoux, capo del dipartimento di malattie infettive e tropicali dell’ospedale Tenon di Parigi, ha spiegato al quotidiano francese che «al momento nessuno lo sa. Siamo di fronte a una popolazione che da secoli non ha più una risposta immunitaria ed è quindi poco attrezzata per difendersi».

L’ipotesi ritenuta più attendibile è che si tratti delle conseguenze di un allentamento delle misure di restrizione adottate durante la pandemia. Secondo il PhD in gestione antimicrobica Alexandre Bleibtreu «questo agente patogeno diventa epidemico ogni 5-7 anni. L’ultima grande epidemia in Europa si è verificata nel 2019. Ha colpito soprattutto i paesi del nord, risparmiando la Francia». Ma entrambi gli esperti invitano a non cadere nel panico: «È troppo presto per parlare di una epidemia», rassicura Pialoux. «Non siamo in una situazione simile al Covid. È semplicemente la ricomparsa di un agente patogeno noto», aggiunge Bleibtreu. Nondimeno i numeri ci dicono che è sempre meglio non abbassare la guardia. Quelli più aggiornati, riportati da Giulia Alfieri per Start Magazine (basati sul bollettino del sistema di monitoraggio dei pronto soccorso francesi), ci parlano di casi che raggiungono il 44% dei contagi nei pazienti fino ai due anni; del 23% tra i due e i 14 anni.

Il batterio, la malattia e i sintomi

I batteri oltre alla parete cellulare hanno anche quella batterica. Una protezione che normalmente viene presa di mira dalle penicilline. Il Mycoplasma pneumoniae invece non ha tale protezione. Ed è un intracellulare obbligato, quindi – similmente a un virus – necessita di parassitare le cellule per moltiplicarsi al loro interno, cosa che porta a necessitare antibiotici appositi, in grado di penetrare nella cellula. I farmaci macrolidi, come l’azitromicina, sono tra i pochi efficaci contro i Mycoplasmi. A seguito di una infezione acuta abbiamo una fase asintomatica piuttosto lunga, dell’ordine di settimane o addirittura mesi. Durante questo periodo il bimbo infetto è in grado di contagiare gli altri, ma la trasmissione è possibile attraverso un contatto ravvicinato con quel che durante la pandemia abbiamo imparato a chiamare droplet, per indicare le goccioline respiratorie infette. In tutto l’incubazione dura circa 23 giorni, con una diffusione dentro il nucleo familiare che può arrivare fino al 90% e una immunità di breve durata.

I sintomi possono variare a seconda di come colpisce l’infezione. Giocano un ruolo importante anche l’età e le pregresse condizioni di salute. Generalmente la malattia si manifesta in forma lieve o moderata. Esistono però casi in cui emergono febbre alta, tonsillite, cefalea e dolori muscolari. Se sono coinvolte le vie aeree inferiori si manifesta la polmonite. Solo in casi rari l’infezione si diffonde in altre parti dell’organismo.

Cosa dovrebbe insegnarci la pandemia di Covid-19

Il 23 novembre The Lancet ha pubblicato un articolo di Patrick Meyer Sauteur (infettivologo dell’Ospedale pediatrico universitario di Zurigo) e Michael Beeton (microbiologo della Cardiff Metropolitan University) in cui i due scienziati illustrano quella che hanno definito una «ri-emergenza ritardata dopo le restrizioni pandemiche della COVID-19». Il batterio «è atipico sotto molti aspetti», spiegano gli autori «la cui patogenesi potrebbe coinvolgere l’immunità mediata dalle cellule dell’ospite». Per chi volesse approfondire, dell’immunità cellulo-mediata avevamo trattato in un precedente articolo. Riportiamo giusto alcuni passaggi:

Il Sistema immunitario deve innanzitutto riconoscere l’antigene, [in questo caso parliamo delle proteine che legano all’epitelio, come accennavamo prima]. I linfociti B (cellule B) producono quindi gli anticorpi specifici (immunoglobuline M e G); ma intervengono anche i linfociti T (cellule T), queste possono determinare anche la presenza delle cellule B, e dei macrofagi, in grado di fagocitare i patogeni. L’immunità cellulo-mediata in genere può implicare anche la presenza di cellule NK (natural killer), le quali attaccano le cellule infette, uccidendole o mandandole in apoptosi (morte programmata). A seguito di questi processi vengono prodotte le citochine, le quali coordinano la risposta immunitaria attirando nuovi linfociti, si crea quindi una infiammazione.

Non è la prima volta che si è registrata una emergenza da Mycoplasma pneumoniae. «L’epidemia più recente – continuano Sauteur e Beeton – si è verificata tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 contemporaneamente in più nazioni, prevalentemente in Europa e Asia». Ma col contemporaneo emergere dalla Covid-19 il fenomeno è passato comprensibilmente in sordina. Del resto proprio l’introduzione in quasi tutto il mondo degli interventi non farmaceutici (NPI) contro la pandemia, dal marzo 2020 ha portato a una scomparsa di queste epidemie, così come si registrò anche per l’influenza. Avevamo visto che proprio questi fenomeni erano un’importante traccia dell’efficacia dell’uso di mascherine e distanziamento sociale. Così, se l’emergenza dovuta al batterio dovesse interessare anche l’Europa, al solito quanto ci ha insegnato l’epidemiologia e il buon senso ci illumineranno la via.

L’ipotesi (da dimostrare) della resistenza ai farmaci

Prendiamo ad esempio un fenomeno che ormai riguarda tutti i batteri e funghi che minacciano l’Uomo, quello della resistenza ai farmaci. L’infettivologo Matteo Bassetti ha fatto notare recentemente su Twitter che il batterio è particolarmente resistente alla azitromicina, che come accennavamo appartenente alla categoria degli antibiotici macrolidi. Proprio quell’antibiotico assieme a diversi altri era “sparito” dalle farmacie a inizio anno, perché considerato erroneamente (in alcuni casi anche in modo fraudolento) un farmaco per le cure domiciliari della Covid-19. Al momento però non è dimostrata alcuna correlazione tra un eventuale abuso di azitromicina e le polmoniti. Noi non sappiamo praticamente niente di come sono stati prescritti gli antibiotici in Cina durante l’anno. È noto soltanto che in Europa e negli Stati Uniti la farmaco resistenza di alcuni ceppi di Mycoplasma pneumoniae al gruppo dei farmaci macrolidi è stimata a circa il 10%. Resta il fatto che dobbiamo comunque stare attenti a fare un uso parsimonioso degli antibiotici.

https://twitter.com/riccardotani4/status/1729198920855892328

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