Quando comincia il Ramadan e perché tutti vogliono un’intesa Israele-Hamas prima che inizi

Il mese sacro dell’Islam inizia tra pochi giorni: cosa prevede, come Hamas vuole «usarlo» e cosa temono gli Usa

Ramadan Mubarak, si diranno tra pochi giorni milioni di persone in tutto il mondo. Si avvicina per i fedeli islamici il mese più sacro dell’anno – quello dedicata alla preghiera, al digiuno e all’introspezione – e l’appuntamento è stato raramente atteso come quest’anno. Non solo per ragioni di ordine strettamente spirituale. Anzi. Il timore diffuso in Israele, negli Usa e in molte cancellerie occidentali è che il mese di “riconnessione” dei fedeli con la tradizione islamica e i suoi precetti, nel pieno di quella guerra a Gaza che in cinque mesi si calcola abbia fatto oltre 30mila vittime palestinesi e causato una catastrofe umanitaria nella Striscia, possa dar luogo a una sollevazione di massa araba contro lo Stato ebraico in grado di far esplodere ulteriormente caos e violenza. Per questo ormai da settimane, e in modo più esplicito negli ultimi giorni, si susseguono gli appelli alle parti in guerra perché trovino un’intesa in grado di portare a un cessate il fuoco, per lo meno transitorio, prima dell’inizio del Ramadan. Ma in cosa consiste esattamente questa ricorrenza, quando inizia di preciso e perché quest’anno è tanto “temuta”?


Il senso del Ramadan

«È nel mese di Ramadan che è stato fatto scendere il Corano, guida per gli uomini e prova di retta direzione e distinzione. Chi di voi ne testimoni [l’inizio] digiuni», recita il verso 185 della seconda Sura del libro sacro dell’Islam. Trae origine da qui, dal ricordo della rivelazione al Profeta Maometto secondo la tradizione, uno dei cinque pilastri su cui si basa l’architettura di fede musulmana: digiunare dall’alba al tramonto per un mese all’anno, il nono del calendario. Non una privazione fine a se stessa, ma una testimonianza di fede e una rinuncia funzionale alla riconnessione, appunto, con la fede e il Dio dell’Islam. In questa stessa direzione di riflessione, autocontrollo e concentrazione sulla sfera spirituale del proprio “io” vanno anche le altre prescrizioni per il periodo – come l’astenersi dal fumo o dai rapporti sessuali, ma anche lo studio del Corano, la preghiera e la carità. Precetti questi cui sono tenuti a confarsi tutti i fedeli di età adulta, ad eccezione di anziani, malati e donne incinte o che allattano. Soltanto prima dell’alba e dopo il tramonto chi rispetta il Ramadan consuma due pasti, chiamati rispettivamente suhoor e iftar, mentre nel periodo diurno non è permesso mangiare, né bere. Per questo in molti Paesi a maggioranza musulmana in questo mese dell’anno gli orari di lavoro sono ridotti, e molti ristoranti sono chiusi durante la giornata.


Quando inizia e quando finisce

Il Ramadan è tecnicamente il nono mese del calendario islamico. Calendario basato sui cicli della Luna, e non del Sole, e i cui mesi hanno dunque durata compresa tra i 29 e i 30 giorni. Per questo si produce ogni anno uno slittamento rispetto al calendario gregoriano, e anche il Ramadan cambia gradualmente periodo di anno in anno rispetto alle stagioni: “scivola” indietro ogni anno di circa 10 giorni. Quest’anno il Ramadan inizierà lunedì 11 oppure martedì 12 marzo, a seconda di quando sarà osservata la nascita della nuova luna. Secondo la tradizione islamica infatti, si è certi dell’inizio di un nuovo mese quando è osservato con certezza il novilunio: il primo spicchio di luna deve calare dopo il tramonto del sole. Tecnicamente, nel 2024. la prima luna del Ramadan dovrebbe comparire nel tardo pomeriggio di domenica 10 marzo. Ma è possibile che quella sera non si riesca ancora ad osservarla ad occhio nudo in buona parte del mondo, compreso il Medio Oriente. Più probabile che i testimoni chiamati a verificare il novilunio, consultati in Arabia Saudita ed altri Paesi islamici per avere certezza del passaggio di mese, scorgano il primo nuovo spicchio la sera di lunedì 11 marzo. In tal caso il Ramadan inizierebbe di fatto dall’alba del giorno dopo, martedì 12 marzo. Un mese dopo – in chiave lunare – la fine del periodo, segnata dai festeggiamenti dell’Eid al-Fitr (festa di rottura del digiuno), in predicato tra il 10 e l’11 aprile.

Gerusalemme e Al-Aqsa

Se tra gli altri pilastri della fede islamica vi è anche il precetto di recarsi almeno una volta nella vita in pellegrinaggio alla Mecca, là dove il Profeta Maometto iniziò la sua predicazione, vi è anche un’altra città che assume per i musulmani un valore speciale: Gerusalemme. Qui sorge infatti la Moschea di Al-Aqsa, considerata il terzo luogo più sacro dell’Islam. Con le prime pietre poste alla fine del settimo secolo sotto il Califfato Omayyade, è considerata il più antico luogo di culto islamico costruita da un sovrano musulmano e si ritiene contenga le più antiche epigrafie con le proclamazioni di fede nel Profeta. Se nel periodo sacro del Ramadan i fedeli si radunano ovunque nelle moschee per rinnovare le preghiere, ma anche i legami sociali di comunità che riguadagnano massima importanza, recarsi in questo periodo in pellegrinaggio in luoghi sacri come Al-Aqsa dà secondo la tradizione a chi lo fa una sorta di «bonus», spiega a Open Mohammed Hashas, docente di pensiero islamico all’Università Luiss di Roma. Che ricorda anche come la sacralità di Gerusalemme per l’Islam nasca sulla base di una tradizione fondativa che la intreccia in modo costruttivo alle altre due grandi religioni monoteistiche: quella del viaggio notturno che si racconta compì il Profeta dalla Mecca a Gerusalemme (e ritorno) per incontrare in cielo gli altri grandi profeti che lo precedettero, da Abramo a Mosé a Gesù, con cui si confrontò su questioni teologiche.

Una Spianata per due

Nella pratica, però, da secoli Gerusalemme è sinonimo di rivalità con le altre religioni, e in modo particolare negli ultimi decenni dopo la fondazione dello Stato di Israele e poi l’annessione a questa di Gerusalemme, considerato soprattutto il riferimento parallelo e distinto a una stessa area sacra. La moschea dalla famosissima Cupola d’oro di Al Aqsa sorge infatti sulla stessa collina di Gerusalemme dove gli ebrei credono fosse edificato il loro antico Santuario, distrutto nel 586 a.C. dai Babilonesi, ricostruito e poi distrutto una seconda ed ultima volta dai romani nel 70 d.C. Da secoli gli ebrei di tutto il mondo pregano rivolti in direzione di Gerusalemme, e del Tempio che non c’è più, e considerano il luogo più carico di spiritualità dove farlo il Muro del Pianto che sorge dirimpetto alla collina: in ebraico semplicemente Kotel Ha Ma’aravi, il Muro Occidentale di quella che si ritiene fosse l’area sacra del Santuario. Proprio per questa geografia fisica e spirituale estremamente delicata, l’amministrazione dell’area è gestita in parte da Israele e in parte da autorità islamiche. La gestione del sito religioso è affidata alla cura dell’associazione islamica Waqf, che opera sotto controllo giordano, ma Israele mantiene il controllo della sicurezza, con l’impegno ad assicurare l’accesso alla Spianata delle Moschee ai fedeli musulmani, fatte salve restrizioni temporanee per ragioni di sicurezza. Un impegno ribadito proprio nelle scorse ore dall’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha confermato l’intenzione di non applicare particolari restrizioni per l’inizio di questo Ramadan, anche se una «valutazione di sicurezza» verrà operata di settimana in settimana per eventuali aggiornamenti.

In bilico tra tregua ed escalation

Da ormai oltre tre mesi – quando si è chiusa la finestra di tregua di una settimana a fine novembre – i negoziatori internazionali cercano di trovare un terreno d’intesa tra Israele e Hamas. Se sino a qualche settimana fa gli sforzi erano diretti ufficialmente a dar luogo a una nuova tregua – nell’ambito della quale assicurare la liberazione di ostaggi israeliani nella Striscia in cambio di detenuti palestinesi in Israele, oltre all’ingresso di aiuti umanitari ingenti a Gaza – ora anche gli Stati Uniti, principale alleato dello Stato ebraico, chiedono esplicitamente che si arrivi a un «immediato cessate il fuoco». Non una pausa temporanea nei combattimenti, insomma, ma la fine delle ostilità, sia pur ottenibile con step graduali. Tutti gli sforzi diplomatici sin qui messi in campo – con la mediazione soprattuto di Egitto e Qatar – sono però falliti, con Israele e Hamas di volta in volta a rimpallarsene la responsabilità. Nelle ultime due settimane gli Usa hanno tentato di infondere nuova linfa alle trattative, con il presidente Joe Biden che si era spinto addirittura a “pronosticare” il raggiungimento di un’intesa entro lunedì 5 marzo. Obiettivo mancato, pare principalmente per il rifiuto di Hamas di consegnare a Israele una chiara lista di quali e quanti ostaggi siano ancora effettivamente in vita.

La tentazione di Sinwar

L’impressione in realtà è che anche dentro al movimento islamista (così come all’interno del gabinetto di guerra israeliano) si confrontino linee diverse. Anche per questo la situazione pare costantemente in bilico tra tregua ed escalation. Secondo Haaretz, l’ultima tentazione di Yahya Sinwar, l’imprendibile capo di Hamas nella Striscia, andrebbe in quest’ultima direzione: l’establishment di difesa israeliano sospetta che si sia messo in testa di far saltare il banco delle trattative e puntare sull’effetto “fuoco alle polveri” con l’inizio del Ramadan. L’obiettivo sarebbe quello di far accadere ora quello che non avvenne all’indomani del 7 ottobre: una sollevazione contro Israele dei palestinesi di Gerusalemme e della Cisgiordania, manifestazioni di massa nei Paesi arabi e «idealmente» la rottura degli indugi militari, da nord, anche di Hezbollah. La scorsa settimana l’altro capo di Hamas, quello in esilio in Qatar Ismail Haniyeh, è sembrato dar corpo a questa stessa linea quando in un discorso tv ha invitato i palestinesi di Gerusalemme e della Cisgiordania a recarsi in massa ad Al Aqsa nel primo giorno del Ramadan, e evocando al contempo l’appello ali altri attori dell’«Asse della resistenza» (che lega Hamas a Iran, Hezbollah ed altre milizie regionali alleate) a rinnovare i propri attacchi contro Israele. Se questo è davvero il piano di Hamas, restano pochissimi giorni per evitare il rischio di un’ulteriore, imprevedibile deflagrazione.

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