Migranti, Usa e Onu contro l’Italia: «Il governo non fa abbastanza per eliminare la tratta»

Il dipartimento di Stato americano ha declassato l’Italia nella lotta contro il traffico di essere umani: «Il governo non soddisfa gli standard minimi». E l’Unhcr ribadisce: «Nessun porto in Libia può essere considerato sicuro»

Mentre continua il braccio di ferro tra Sea Watch e il Viminale che continua a non autorizzare lo sbarco dei migranti a bordo della nave della Ong tedesca – ferma a 15 miglia da Lampedusa – da oltreoceano arriva la bocciatura dell’Onu e di Washington delle politiche dell’Italia rispetto alla questione migranti.


«Il governo non soddisfa gli standard minimi»

Il dipartimento di Stato americano ha declassato l’Italia nella lotta contro il traffico di essere umani. Il rapporto, presentato dal segretario di Stato americano Mike Pompeo, sottolinea come «il governo italiano non soddisfi pienamente il minimo standard per l’eliminazione della tratta di esseri umani».


Gli sforzi fatti «non sono stati importanti e non al livello del rapporto precedente». Nonostante «l’impegno del governo per spezzare gli anelli di traffico in Italia, c’è stato un calo nel numero di arresti e di indagini sulla tratta rispetto al precedente periodo di riferimento».

«Italia declassata»

Ma a penalizzare Roma, si legge nel rapporto, c’è anche la scarsa valutazione «dei rischi da parte del governo per le potenziali vittime prima delle procedure di rimpatrio forzato e di espulsione». Così come «non è stata fornita la protezione legale per atti illeciti che le vittime hanno commesso sotto costrizione dei trafficanti».

Per questo «l’Italia è stata declassata al livello 2». Una bocciatura che arriva a pochi giorni dalla visita del ministro dell’Interno Matteo Salvini negli Stati Uniti.

Calo nelle indagini

Il rapporto mette in luce come nel 2018 l’Italia abbia «indagato per crimini commessi alla tratta di essere umani 314 persone, rispetto alle 482 del 2017». E ancora: «la polizia ha arrestato 99 sospetti trafficanti, rispetto ai 133 del 2017. Gli imputati sono stati 139, nel 2017 furono 73 nel 2017. I condannati furono 46 nel 2018, 28 nel 2017 e 340 sono state indagate per riduzione in schiavitù, rispetto ai 412 del 2017».

Nel rapporto vengono criticate inoltre la lentezza delle indagini e la scarsa collaborazione tra le forze di polizia e le procure.

La collaborazione con la guardia costiera libica

Un calo delle indagini che, secondo il rapporto, potrebbe essere collegato alla riduzione degli arrivi di migranti irregolari dell’80% rispetto al 2017.
All’Italia viene anche contestata la diminuzione degli sforzi per la protezione delle vittime delle tratte.

In particolare, viene sottolineata la «collaborazione con la guardia costiera libica che, secondo le denunce delle Ong, ha facilitato il rimpatrio di persone in difficoltà verso la Libia». Così come viene criticata «l’esclusione da parte delle politiche del governo del ruolo delle navi delle Ong che soccorrono le persone in mare».

«La Libia non è un porto sicuro»

La bocciatura di Washington arriva in contemporanea con quella di New York dove, dal Palazzo di Vetro dell’Onu, l’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati, ha chiesto all’Europa di consentire lo sbarco delle 43 persone a bordo della Sea Watch, in mare da otto giorni. «Hanno urgente bisogno di un porto sicuro», ha dichiarato l’Alto commissario per i rifugiati «e questo porto non può essere in Libia».

«L’Europa ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione dell’architettura legale che sorregge il diritto internazionale in materia di asilo», ha dichiarato Vincent Cochetel, inviato speciale Unhcr per il Mediterraneo centrale.

«È giunto il momento di invocare quella storia gloriosa di assistenza alle persone in fuga da guerre, violenza e persecuzione, e di permettere ai rifugiati soccorsi di scendere a terra in sicurezza», ha ribadito Cochetel.

L’Unhcr continua con il dire che «nessun porto in Libia può essere considerato sicuro in questo momento e che nessuna persona soccorsa nel mar Mediterraneo dovrebbe essere riportata in quel Paese».

«Sono necessari – aggiunge – sforzi rinnovati per sviluppare un approccio regionale alla gestione del soccorso nel Mediterraneo e del successivo sbarco».

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